Cosa fare se, notificata l’opposizione a decreto ingiuntivo, ci si dimentica di iscrivere la causa a ruolo o la si iscrive tardivamente? Semplice, se non è ancora scaduto il termine basta notificarne un’altra e poi iscrivere tempestivamente.
Non la pensavano così il Tribunale di Trieste e poi la Corte d’Appello, ma la Cassazione ha censurato la sentenza, richiamando, come fatto dal ricorrente, una sentenza della Corte Costituzionale la quale ha affermato:
a) che “l’art. 647 c.p.c., secondo il suo inequivoco tenore testuale condiziona il decreto di esecutività solo alla mancata opposizione nel termine stabilito, senza alcun riferimento al preteso divieto di riproporre l’opposizione prima che sia scaduto il termine fissato nel decreto”;
b) che, essendo, pertanto, consentito rinnovare l’opposizione sempre nel rispetto dei termini fissati nel decreto, detta rinnovabilità deve ammettersi non solo in relazione ad un vizio dell’atto di opposizione in sè considerato, ma anche alla mancata o intempestiva costituzione in giudizio dell’opponente, non sussistendo alcun motivo, in pendenza dei termini per l’opposizione, per ammettere la rinnovazione in un caso ed escluderla nell’altro (…), con l’ovvia conseguenza che – pur in assenza di una tempestiva costituzione in giudizio – il decreto di esecutività non può essere emesso se non sia anche interamente decorso il termine per l’opposizione;
c) che “priva di qualsiasi rilevanza ai fini de quibus è, infine, la non riassumibilità dell’opposizione non iscritta a ruolo. La ratio dell’art. 647 c.p.c., è, infatti, quella di assicurare l’intangibilità del decreto ingiuntivo qualora, nel termine perentorio previsto dall’art. 641 c.p.c., e salva l’ipotesi di cui all’art. 650 c.p.c., l’ingiunto non abbia provocato la trasformazione del procedimento monitorio in procedimento ordinario, mediante una opposizione seguita da una valida costituzione in giudizio. Ed una ratio siffatta, connessa alle esigenze di celerità tipiche del procedimento monitorio, sarebbe evidentemente frustrata se all’opponente fosse consentito, in caso di opposizione non seguita da iscrizione a ruolo della causa, riassumere la causa stessa nell’ampio termine previsto dall’art. 307 c.p.c., in tal modo di fatto differendo in maniera del tutto arbitraria la definitività del decreto.
Cassazione civile , sez. I, 23 ottobre 2008, n. 25621
Fatto
Con atto di citazione notificato il 24 ottobre 2001, P. L. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Giudice del Tribunale di Trieste per il pagamento, in favore di Z.U., della somma di L. 22.891.511.
Si costituiva l’opposto eccependo la tardività della iscrizione a ruolo della causa, atteso che, da un lato, erano stati ridotti i termini a norma dell’art. 645 c.p.c., comma 2, e, dall’altro, l’iscrizione a ruolo era avvenuta sei giorni dopo la notificazione dell’opposizione.
Il Tribunale di Trieste, con provvedimento depositato il 1 dicembre 2001, dichiarava la esecutività del decreto ingiuntivo opposto e l’improcedibilità dell’opposizione, stante la tardiva costituzione dell’opponente.
La P. proponeva appello, deducendo di avere proposto nei termini altra opposizione. Costituitosi lo Z., che proponeva appello incidentale sul capo relativo alle spese del primo giudizio, la Corte d’appello di Trieste, con sentenza depositata il 22 marzo 2005, rigettava l’appello.
La Corte d’appello, premesso che correttamente nei confronti del provvedimento del Tribunale era stato proposto appello, riteneva che, anche a prescindere da qualsiasi questione circa la reiterabilità dell’opposizione all’ingiunzione una volta spirato il termine per la costituzione, la eventuale nullità della prima sentenza non integrava alcuna delle ipotesi di rimessione del procedimento al primo giudice a norma degli artt. 353 e 354 c.p.c.. Il Giudice d’appello, quindi, doveva conoscere del merito della lite, ma in proposito l’appellante non aveva dedotto alcunchè circa le ragioni per le quali l’opposizione all’ingiunzione prima e l’appello poi avrebbero dovuto essere accolti nel merito. Pertanto, sia per la già avvenuta consumazione della possibilità di opporsi al decreto ingiuntivo, stante la tardiva costituzione in giudizio, sia per la carenza dei motivi di gravame, non esplicitati nel merito, la Corte d’appello riteneva che l’impugnazione principale dovesse essere disattesa.
Quanto all’appello incidentale, la Corte d’appello rilevava che non vi erano ragioni per le quali le spese anche del primo giudizio non dovessero seguire il criterio della soccombenza.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre P.L. sulla base di due motivi; resiste, con controricorso, Z. U..
Diritto
Dopo aver ricostruito le vicende processuali, definendo detta ricostruzione come primo motivo di ricorso, la ricorrente, con il secondo (ma in realtà primo) motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 647 c.p.c., censurando la sentenza impugnata perchè la Corte d’appello non ha fatto applicazione di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18 del 2002, in tema di rinnovabilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo entro i termini di legge. In particolare, illogicamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che da una pronuncia di questa Corte (Cass. n. 17915 del 2004) potesse desumersi un diverso principio, trattandosi di pronuncia relativa a fattispecie del tutto diversa.
Con il terzo (secondo) motivo, la ricorrente denuncia l’erroneità dell’assunto contenuto nella sentenza impugnata, secondo cui la declaratoria di nullità e inefficacia del provvedimento di primo grado, che aveva dichiarato la esecutività del decreto ingiuntivo opposto, non avrebbe potuto essere pronunciata senza conoscere il merito della lite. Il denunciato error in procedendo, sostiene la ricorrente, avrebbe dovuto essere accertato senza procedere all’esame del merito della causa.
Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è fondato e merita accoglimento.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 18 del 2002, ha dichiarato non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 647 c.p.c., comma 3, nella parte in cui, in caso di mancata o intempestiva costituzione dell’opponente in giudizio, preclude la possibilità di riproporre l’opposizione a decreto ingiuntivo anche nel caso in cui sia ancora pendente il termine per l’opposizione e l’improcedibilità non sia stata dichiarata. La Corte costituzionale ha affermato: a) che “l’art. 647 c.p.c., secondo il suo inequivoco tenore testuale condiziona il decreto di esecutività solo alla mancata opposizione nel termine stabilito, senza alcun riferimento al preteso divieto di riproporre l’opposizione prima che sia scaduto il termine fissato nel decreto”; b) che, essendo, pertanto, consentito rinnovare l’opposizione sempre nel rispetto dei termini fissati nel decreto, detta rinnovabilità deve ammettersi non solo in relazione ad un vizio dell’atto di opposizione in sè considerato, ma anche alla mancata o intempestiva costituzione in giudizio dell’opponente, non sussistendo alcun motivo, in pendenza dei termini per l’opposizione, per ammettere la rinnovazione in un caso ed escluderla nell’altro (…), con l’ovvia conseguenza che – pur in assenza di una tempestiva costituzione in giudizio – il decreto di esecutività non può essere emesso se non sia anche interamente decorso il termine per l’opposizione; c) che “priva di qualsiasi rilevanza ai fini de quibus è, infine, la non riassumibilità dell’opposizione non iscritta a ruolo. La ratio dell’art. 647 c.p.c., è, infatti, quella di assicurare l’intangibilità del decreto ingiuntivo qualora, nel termine perentorio previsto dall’art. 641 c.p.c., e salva l’ipotesi di cui all’art. 650 c.p.c., l’ingiunto non abbia provocato la trasformazione del procedimento monitorio in procedimento ordinario, mediante una opposizione seguita da una valida costituzione in giudizio. Ed una ratio siffatta, connessa alle esigenze di celerità tipiche del procedimento monitorio, sarebbe evidentemente frustrata se all’opponente fosse consentito, in caso di opposizione non seguita da iscrizione a ruolo della causa, riassumere la causa stessa nell’ampio termine previsto dall’art. 307 c.p.c., in tal modo di fatto differendo in maniera del tutto arbitraria la definitività del decreto.
Questa Corte, nella sentenza n. 22338 del 2004, sulla base delle considerazioni svolte nella citata sentenza della Corte costituzionale, ha quindi affermato il seguente principio:
“l’opponente a decreto ingiuntivo che abbia proposto opposizione non seguita da costituzione in giudizio ovvero seguita da ritardata costituzione, può legittimamente riproporre l’opposizione, entro il termine fissato nel decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 641 c.p.c., commi 1 e 2, accompagnata da rituale e tempestiva costituzione in giudizio”.
In tale sentenza si è rilevato che la “ricostruzione ermeneutica operata dal Giudice delle leggi – condotta, ovviamente, alla luce dei parametri costituzionali invocati: diritto alla tutela giurisdizionale e principio di ragionevolezza – può essere integralmente condivisa dal Collegio, sia perchè essa non collide nè con la littera (art. 647 c.p.c., comma 1, primo periodo) nè con la ratio complessiva dell’art. 647 c.p.c.; sia perchè (…) la fattispecie in esame, sotto il profilo processuale specificamente considerato – che attiene esclusivamente alle condizioni, in presenza delle quali il decreto ingiuntivo diviene esecutorio (cfr. art. 656 c.p.c.) e, in particolare, alla possibilità di rinnovare l’opposizione a decreto ingiuntivo viziata o non seguita da rituale costituzione in giudizio dell’opponente, in pendenza del termine per proporla – è analogicamente assimilabile a quelle prefigurate dall’art. 358 c.p.c., (L’appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge) e art. 387 c.p.c., (Il ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge) a fondamento dei quali sta il principio della consumazione dell’impugnazione”. E come tale principio “opera solo dopo che sia intervenuta la dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità dell’appello o del ricorso per cassazione e non preclude, prima che sia intervenuta tale dichiarazione ed ovviamente in pendenza dei relativi termini, la possibilità di rinnovare validamente l’impugnazione, cosi l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo (che, sotto il profilo specificamente considerato, può essere assimilato ad una vera e propria impugnazione del decreto stesso), invalido o non seguito da rituale costituzione in giudizio dall’opponente, può essere rinnovato in pendenza del termine fissato nel decreto ai sensi dell’art. 641 c.p.c.”.
Diversamente opinando, infatti, “potrebbero effettivamente porsi seri dubbi di illegittimità costituzionale dell’art. 647 c.p.c., comma 1, per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, e art. 24 Cost., comma 1, nella misura in cui l’opponente a decreto ingiuntivo si troverebbe ad essere privato, senza alcuna giustificazione connessa alle esigenze di celerità tipiche del procedimento monitorio”, della possibilità di utilizzare pienamente il termine di legge per l’esercizio del proprio diritto alla tutela giurisdizionale e ad essere giuridicamente trattato, senza alcuna ragionevole giustificazione, in modo diverso rispetto alle analoghe situazioni previste dai su richiamati artt. 358 e 387 c.p.c.; sicchè, di fronte a siffatta alternativa ermeneutica, al Giudice è imposto di optare per l’interpretazione dell’art. 647 c.p.c., conforme a Costituzione”.
Accertato, dunque, che l’opponente a decreto ingiuntivo, che abbia proposto opposizione non seguita da costituzione in giudizio ovvero seguita da ritardata costituzione, può legittimamente riproporre l’opposizione, entro il termine fissato nel decreto ingiuntivo, accompagnata da rituale e tempestiva costituzione in giudizio, ne consegue che il Giudice del giudizio di opposizione nel quale l’opponente non si è costituito o si è costituito tardivamente, nel caso in cui sia intervenuta una seconda tempestiva opposizione seguita da rituale costituzione in giudizio, e sempre che di tale seconda tempestiva e rituale opposizione sia messo a conoscenza, non può dichiarare esecutivo del decreto ingiuntivo opposto, non ricorrendo le condizioni previste dall’art. 647 c.p.c., comma 1. Il Giudice, ove non possa o non ritenga di procedere alla riunione dei due giudizi, dovrà limitarsi a dichiarare la improcedibilità dell’opposizione non seguita da costituzione o seguita da costituzione tardiva, ma non anche la esecutività del decreto opposto, essendo siffatta declaratoria preclusa dalla intervenuta proposizione di una ammissibile seconda opposizione entro il termine di cui all’art. 641 c.p.c..
Se, infatti, ai sensi dell’art. 647 c.p.c., comma 1, la dichiarazione di esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto è subordinata alla mancata proposizione dell’opposizione nel termine stabilito ovvero alla mancata costituzione dell’opponente (alla quale è equiparata la costituzione tardiva), deve ritenersi che, ove risulti proposta in relazione al medesimo decreto ingiuntivo una seconda tempestiva opposizione, la dichiarazione di esecutorietà è senz’altro preclusa.
Nel caso di specie, dalla lettura degli atti, consentita in sede di legittimità in considerazione della natura della censura proposta, emerge che al giudice dell’opposizione seguita da tardiva costituzione in giudizio dell’opponente venne rappresentata la proposizione di una seconda opposizione nel termine stabilito e venne anche richiesta la riunione dei due giudizi di opposizione. Ha quindi certamente errato il Giudice dell’opposizione a dichiarare la esecutività del decreto ingiuntivo opposto, essendo tale dichiarazione preclusa dalla proposizione di una seconda tempestiva opposizione, seguita da rituale costituzione in giudizio da parte dell’opponente.
Ed ha errato altresì la Corte d’appello con la sentenza impugnata sotto un duplice profilo. Innanzitutto, perchè, pur dando atto della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2002, ha tuttavia fatto applicazione del principio secondo cui “poichè nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la tardiva costituzione dell’opponente determina l’improcedibilità dell’opposizione e legittima la dichiarazione di (definitiva) esecutività del decreto opposto, non potendo il giudizio di opposizione più proseguire, deve escludersi che, verificatasi – tale situazione di improcedibilità, possa configurarsi un rapporto di necessaria pregiudizialità, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., tra il giudizio di opposizione e la decisione di una diversa causa” (Cass., n. 17195 del 2004), del tutto inconferente rispetto alla questione proposta dall’appellante. In secondo luogo, ha errato nel ritenere che la proposizione della seconda opposizione avesse una efficacia sanante della prima improcedibile perchè non seguita da una tempestiva opposizione. In realtà, la questione che la Corte d’appello avrebbe dovuto risolvere era quella, e solo quella, della sussistenza o meno delle condizioni per la declaratoria di esecutività del decreto ingiuntivo opposto;
condizioni che, come si è visto, erano nella specie insussistenti.
Non era invece devoluto alla Corte d’appello il giudizio sul merito della opposizione, giacchè la proposizione di una seconda tempestiva opposizione al medesimo decreto ingiuntivo, se vale ad escludere la possibilità che il decreto ingiuntivo venga dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c., comma 1, certamente non vale a rendere procedibile un’opposizione che, per non essere stata seguita da tempestiva costituzione in giudizio, è di per sè improcedibile. Le due opposizioni, infatti, danno luogo ad altrettanti giudizi che, ove non vengano riuniti, restano tra loro autonomi e sono destinati a concludersi l’uno con una pronuncia in rito, l’altro, ove ne sussistano le altre condizioni, con una pronuncia sul merito dell’opposizione.
Ciò che certamente deve escludersi è che il Giudice della opposizione a decreto ingiuntivo improcedibile possa decidere nel merito detta opposizione ritenendo che la proposizione della seconda opposizione, seguita da rituale e tempestiva costituzione da parte dell’opponente, valga a sanare la prima opposizione. Analogamente, deve quindi escludersi che il Giudice dell’appello investito del gravame avverso il provvedimento del Giudice che erroneamente abbia dichiarato improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo e abbia dichiarato esecutivo il decreto opposto, possa procedere all’esame nel merito di detta opposizione.
La Corte d’appello di Trieste ha quindi errato nel ritenere che, non ricorrendo una delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., l’appello dovesse essere deciso nel merito, pervenendo ad una statuizione di rigetto della impugnazione sul rilievo che l’appellante non aveva sviluppato le ragioni poste a fondamento dell’opposizione a decreto ingiuntivo. La cognizione devoluta alla Corte d’appello era infatti quella di accertare se, a seguito della proposizione di una seconda tempestiva opposizione, seguita da tempestiva e rituale costituzione in giudizio da parte dell’opponente, il Giudice dell’opposizione potesse dichiarare esecutivo il decreto ingiuntivo sul presupposto della improcedibilità della opposizione ovvero se, risultando provata detta situazione, non dovesse invece limitarsi ad adottare i provvedimenti necessari per pervenire alla riunione dei giudizi, ovvero a statuire sulla improcedibilità della opposizione non seguita da tempestiva costituzione in giudizio da parte dell’opponente, ferma la preclusione della dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo.
Il ricorso deve quindi essere accolto, perchè il Tribunale prima e la Corte d’appello poi non potevano dichiarare la esecutività del decreto ingiuntivo opposto dalla ricorrente. I relativi provvedimenti vanno quindi cassati senza rinvio, giacchè il decreto ingiuntivo opposto non poteva essere dichiarato esecutivo, stante la pendenza di una seconda rituale e tempestiva opposizione, seguita da tempestiva costituzione in giudizio.
A seguito della cassazione della sentenza d’appello e del provvedimento di primo grado, deve procedersi alla liquidazione delle spese dell’intero giudizio. In proposito, ritiene il Collegio che, in considerazione del fatto che la sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2002 è successiva alla pronuncia del provvedimento di primo grado, le spese di tale giudizio possano essere compensate tra le parti. Le spese del giudizio di appello e quelle del presente giudizio di legittimità vanno invece poste a carico del resistente in applicazione del principio della soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M
La Corte accoglie il ricorso, cassa senza rinvio sia la sentenza della Corte d’appello che il provvedimento del Tribunale; compensa le spese del giudizio di primo grado; condanna il resistente al pagamento delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 36,16, per esborsi, Euro 332,41, per diritti ed Euro 2.640,00, per onorari, nonchè delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00, per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 maggio 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2008

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Scrivo per segnalare un caso limite che mi è capitato con il Tribunale di Milano proprio in materia di eccezione di tardività di un’opposizione ex art. 615 c.p.c.
Ex parte creditoris mi sono costituito in un giudizio di opposizione a D.I. che, secondo le risultanze della Consolle Avvocato, risulta essere stata iscritta tardivamente: ciò in quanto la “data evento” dell’iscrizione e la “data registrazione evento” riportano un data successiva al termine utile di 10 giorni dalla notifica per la tempestiva iscrizione a ruolo dell’opposizione (il termine utile scadeva il 3/4/2023, mentre sulla consolle vi risulta, per enrambe gli accennati eventi/adempimenti di Cancelleria, quella del 5/4/2023); sulla scoart di tale risultanza dela fascicolo telematico ho, quindi, sollevato pregiudiziale eccezione di improcedibilità dell’opposizione per tardiva iscrizione a ruolo e costituzione in giudizio dell’attore opponente.
All’udienza tenutasi pochi giorni fa per trattare la preliminare istanza avversaria di sospensione degli effetti esecutivi del D.I. ex art. 649 c.p.c., il giudice assegnatario del fascicolo mi ha segnalato che, diversamente da quanto registrato dalla Cancelleria, la busta telematica dell’oppoiszione risulta essere stata trasmessa tempestivamente dall’opponente, in data 3/4/2023 e che l’errata indicazione risultante dalla Consolle era l’effetto di un “endemico” (e a quanto pare, irrisolvibile) ritardo del ruolo generale nella registrazione delle iscrizioni a ruolo di tutti i proedimenti civili, per cui la mia eccezione risultava inaccoglibile.
Poiché per chi si costituisce in giudizio non è possibile verificare la tempestività della iscrizione a ruolo, in quanto la Cancelleria non inserisce nel fascicolo telmatico la copia delle ricevute di trasmissione di consegna della busta, è mai possibile accettare la conclusione che le attestazioni del fascicolo telematico, di provenineza dall’ufficio di Cancelleria, siano da considerarre necessariamente inaffidabili e possano essere così facilmente risolte a danno del creditore opposto? E’ mai possibile, giusto ed equo che la parte che formua determinate eccezioni processuali importanti e decisive – come quella qui in commento – confidando nella veridicità ed esattezza di tali attestazioni, possa essere così facilmente paralizzata nella sua iniziativa e la sua eccezione respinta sulla base di documentazione che essa non è stata in grado di verificare preliminarmente? E’ mai possibile che, dunque, il convenuto opposto si veda costretto a formulare eccezioni di improcedibilità “al buio” che assomigliano molto ad un gioco d’azzardo, piuttosto che alla corretta esplicazione di poteri e diritti processuali? Capisco che, secondo la normativa vigente in materia di PCT, per colui che formula l’opposizione, la tempestività della stessa sia attestata dalla data e l’ora in cui viene generato il messaggio PEC di “avvenuta consegna” all’Ufficio Giudiziario della busta, ma, per le ragioni testè evidenziate, mi pare assurdo che l’altra parte sia messa in oggettive condizioni di difficoltà e che le attestazioni rilasciate da un Pubblico Ufficio non possano essere correttamente invocate per la tutela delle proprie ragioni. Ennessima prova che il nostro non è più la “patria del diritto”, bensì quella del “rovescio”?
Avv. Ferruccio Orlandi