TRIBUNALE DI BUSTO ARSIZIO
08 febbraio 2010
– ordinanza –
Il Giudice,
letti gli atti,
sciogliendo la riserva, osserva quanto segue.
Fatto
Con atto di ricorso ex artt. 702 bis cpc e ss. depositato in data 16/11/2009 il Sig. M.P. ha chiesto che il Tribunale, previ gli incombenti di rito: 1) accerti e dichiari il recesso del Sig. R.M. dalla società M.P. & R.M. S.N.C., come da comunicazione di recesso trasmessa dal resistente con raccomandata pervenuta al ricorrente in data 23/7/2009; 2) condanni il Sig. R.M. al risarcimento dei danni provocati all’attività lavorativa del ricorrente per avere in vario modo ostacolato l’attività di quest’ultimo, giungendo anche a porre in essere minacce, aggressioni, insulti e diffamazioni, fatti tutti per i quali il Sig. M.P. ha sporto denuncia.
Espletati gli incombenti di rito, si è costituito il Sig. R.M. mediante comparsa di risposta con la quale, riconoscendo il proprio recesso dalla società, ha eccepito, quanto a quest’ultimo ed alla conseguente liquidazione della quota, la clausola compromissoria prevista dallo statuto, in forza della quale è già stata avviata la procedura arbitrale.
Ha contestato inoltre in fatto ed in diritto la richiesta risarcitoria, assumendo comunque che questa richiede una trattazione non sommaria.
Per tali ragioni ha chiesto, in primis, la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie e, in secundis, il rigetto all’esito dell’istruttoria delle domande avverse.
All’udienza fissata le parti si sono riportate ai rispettivi atti introduttivi, insistendo in particolare il ricorrente per la dichiarazione di recesso, assumendo la non applicabilità a tale materia della clausola compromissoria, riservando al proseguo del giudizio la trattazione delle ulteriori domande secondo il rito ordinario.
Ciò premesso, osserva lo scrivente che il recesso del Sig. R.M. è fatto pacifico, in quanto ammesso anche dal resistente.
La controversia a cui fa riferimento quest’ultimo riguarda invece lo scioglimento della società e la liquidazione della quota del R.M., come risulta chiaramente dall’atto di nomina che questi ha comunicato al ricorrente (doc. 3 di parte res.).
Le due vicende, il recesso del resistente e la regolamentazione della fase estintiva e liquidatoria della società, sono distinte né la definizione di quest’ultima incide sull’accertamento del recesso (che costituisce l’atto presupposto).
Non sussiste quindi alcuna ragione ostativa all’accoglimento della domanda attorea, che trova la propria ragion d’essere nell’interesse del ricorrente a munirsi di un titolo che gli consenta di provvedere agli adempimenti conseguenti nei rapporti con i terzi (banche, fisco, ecc.).
Per quanto riguarda invece la domanda risarcitoria, si ritiene che questa sia rimasta sfornita di prova e ciò in considerazione del fatto che i capitoli di prova dedotti al riguardo dall’attore sono totalmente inammissibili perché generici (cap. 1) e 2)), valutativi (cap. 4), ovvero irrilevanti (cap. 5).
Tale giudizio rileva non solo sul piano formale (quello appunto dell’ammissibilità delle richieste istruttorie), ma anche su quello sostanziale posto che, quand’anche si ammettesse la deposizione su detti capitoli, in virtù della “deformalizzazione” che caratterizza il rito, ed i testi confermassero queste circostanze (del tutto indeterminate), comunque non si raggiungerebbe la prova di fatti rilevanti ai fini dell’accertamento e quantificazione del danno (e d’altronde la sommarietà del rito non può spingersi al punto da ritenere che tali fatti possano essere individuati successivamente, attraverso l’esame del teste, in spregio al principio del contraddittorio).
Tale lacuna probatoria, che sussiste ab origine, non può essere colmata disponendo la separazione di detta domanda e la trattazione della stessa nelle forme del rito ordinario e ciò per due ordini di motivi.
In primo luogo, la separazione delle domande svolte nel rito sommario, mediante prosecuzione di parte di esse nelle forme ordinarie, è prevista unicamente in relazione alle domande riconvenzionali (art. 702-ter, co. 4, cpc) e non per quelle proposte dal ricorrente.
Il resistente infatti subisce la scelta dell’attore, mentre quest’ultimo può valutare quale rito sia più idoneo in funzione delle domande che intende proporre.
In secondo luogo, il passaggio dal rito sommario a quello ordinario si giustifica solo quando ciò sia necessitato dalle difese delle parti (“se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria..”) e non quando, come nel caso in esame, la giustificazione del mutamento di rito risieda nella carenza probatoria ab origine del ricorso (non sanata nemmeno in udienza).
In quest’ultima ipotesi, infatti, il ricorrente si trova nelle stesse condizione dell’attore che, entro i termini previsti dal rito ordinario, non deduca o produca elementi sufficienti a provare il proprio assunto.
Diversamente opinando, il rito sommario diventerebbe una sorta di pre-processo finalizzato a verificare la sufficienza degli elementi di prova messi a disposizione del ricorrente, che in questo modo si garantirebbe una chance in più, posto che il Giudice, nel caso di incompletezza del quadro istruttorio, dovrebbe disporre la prosecuzione con il rito ordinario, assegnando nuovi termini (il tutto in palese contrasto con gli effetti deflattivi che hanno ispirato il legislatore della riforma).
Per tali ragioni, la domanda risarcitoria non può trovare accoglimento.
Le spese di lite vanno compensate per intero sussistendo giusti motivi in ragione della reciprocità della soccombenza.
Pertanto, il Giudice,
visti gli artt. 702-bis cpc e ss.,
P.Q.M.
Ogni diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede: 1) accerta e dichiara il recesso
del Sig. R.M. dalla società M.P. & R.M. S.N.C. a far tempo dal 23/7/2009; 2) rigetta la domanda risarcitoria svolta dall’attore; 3) compensa per intero le spese di lite.
Si comunichi.
Busto Arsizio, 8 febbraio 2010
Il Giudice
Dr. M. Radici

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