A dispetto della dottrina maggioritaria, la giurisprudenza sembra amare particolarmente il processo sommario di cognizione, tanto da ritenerlo sovrapponibile anche alle cause sottoposte al rito del lavoro.
Il Tribunale di Napoli con provvedimento storico per quanto riguarda la tempistica (6 mesi!!!) decide una controversa astrattamente riconducibile al modello lavoristico ex art. 447 bis c.p.c., pronunciandosi con una articolata e complessa motivazione a favore della compatibilità.
In tal senso di segnala anche Lamezia Terme.
Gli argomenti della dottrina sono noti:
– l’art. 702 ter richiama l’art. 183 c.p.c. (e non il 420 c.p.c.);
– il processo sommario di cognizione è alternativo al rito ordinario non ai riti speciali;
– il processo sommario appare incompatibile con il sistema di preclusioni previsto nel rito del lavoro;
– l’art. 54 legge 69/2009 individua nel processo sommario di cognizione uno dei tre modelli di riferimento oltre al processo ordinario e al rito del lavoro.
Gli argomenti a favore sono questi:
- a) il secondo comma dell’art. 702 ter c.p.c. subordina la dichiarazione di ammissibilità della domanda alla ricorrenza della condizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. (evidentemente del primo comma di tale articolo), il quale si limita a stabilire che il rito sommario di cognizione è precluso per le cause che rientrano nella competenza decisoria del collegio, indipendentemente dal rito prescritto;
- b) d’altro canto, il rito sommario di cognizione è un rito alternativo, da un canto, al rito ordinario di cognizione e, dall’altro, al rito ordinario (rectius speciale) delle cause di lavoro e assimilabili;
- c) la stessa collocazione sistematica del procedimento sommario di cognizione nel libro quarto dei procedimenti speciali del c.p.c. ex artt. 702 bis e seg. lascia intendere la sua compatibilità sia con le cause instaurabili con il rito ordinario che con le cause che seguono il rito del lavoro;
- d) il terzo comma dell’art. 702 ter c.p.c., il quale prevede la fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c. (rectius udienza di trattazione), qualora le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria, non ha un significativo selettivo dell’utilizzabilità del rito sommario ma deve essere interpretato quale riconoscimento del passaggio da un rito all’altro, in difetto dei presupposti del rito sommario (con la conseguenza che l’omesso richiamo all’art. 420 c.p.c. costituisce una mera svista, integrabile in via ermeneutica);
- e) peraltro, a tale conclusione può pervenirsi anche in guisa di un’interpretazione costituzionalmente orientata o adeguatrice della norma, poiché diversamente l’esclusione del rito sommario per le cause ex artt. 409 e 447 bis c.p.c. sarebbe priva di ragionevolezza;
- f) ad ogni modo, l’utilità del rito sommario può essere rintracciata anche in confronto alle cause di lavoro ed assimilabili, benché il relativo rito speciale sia connotato dai caratteri della speditezza e celerità, poiché l’introduzione della procedura ex art. 702 bis e seg. c.p.c. si fonda sull’autonomo presupposto della sufficienza di un’istruttoria sommaria, che garantisce una trattazione della causa ancora più snella e deformalizzata (sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, rimessa all’opportunità del giudice l’assunzione degli atti di istruzione rilevanti, e tutto ciò alla prima udienza), e soprattutto una definizione del giudizio con modalità più elastiche e semplificate (decisione con ordinanza e non già con sentenza).
Tribunale di Napoli – Sezione terza civile – ordinanza 15 – 25 maggio 2010
Giudice Troncone
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato il 16 dicembre 2009, i coniugi T. V. e D. L. R. deducevano:
– che erano conduttori dell’appartamento in omissis, alla Via omissis, locatogli dal convenuto R. D. nato a omissis il omissis;
– che nel fabbricato nel mese di omissis erano iniziati lavori di manutenzione straordinaria, tra cui il rifacimento delle facciate perimetrali esterne, con rimozione totale dei clinker e conseguente loro ripristino;
– che dalla fine dell’anno omissis si erano verificati all’interno dell’abitazione loro locata, fenomeni di umidità diffusa che avevano interessato il soggiorno e le due camere da letto e che si erano verificati in concomitanza con la rimozione e sostituzione dei clinker delle facciate esterne del fabbricato, in un periodo di copiosissime piogge e basse temperature, che avevano costretto gli stessi a rimuovere i mobili dalle pareti ed il vestiario dagli armadi ed a lasciare l’immobile e trovare un alloggio di urgenza; – che oggi avevano fissato la loro nuova residenza in omissis alla via omissis, costretti per i motivi esposti a comunicare al locatore la loro disponibilità a rilasciare l’immobile; – che per il peggioramento delle condizioni abitative dell’immobile e delle condizioni personali e fisiche dei figli, costretti a cure ospedaliere per asma bronchiale, ricorrevano alla ASL che accertava il omissis una situazione di insalubrità dell’appartamento; – che a seguito di raccomandate del omissis invano vi era stato un sopralluogo con l’amministratore del Condominio, con il responsabile della ditta che stava eseguendo i lavori alle facciate e con il sig. P. proprietario dell’appartamento soprastante da cui si erano verificate infiltrazioni nel soffitto del soggiorno; – che a seguito del sopralluogo il loro C.t.p. arch. F. C. accertava che i danni erano da attribuirsi ai lavori di ristrutturazione del fabbricato da parte della X Costruzioni, nonché, solo in parte marginale, ai lavori di ristrutturazione del quartino soprastante di proprietà P. – V.;
– che erano stati costretti a chiedere un A.T.P., espletato dall’arch. R. S. che ha calcolato i danni all’immobile in euro 5,800,00 ed i danni agli arredi, suppellettili e biancheria in euro 8.000,00 ed attribuito la responsabilità per il 60% al locatore D. R., per il 30% all’X Costruzioni s.r.l. e per il 10% ai coniugi P. – V. proprietari dell’appartamento soprastante;
– che avevano diritto al rimborso di euro 1.809,26 pagati al C.t.u., di euro 612,00 pagati al C.t.p., di euro 103,63 per il certificato dell’Asl, di euro 1.176,50 pagati all’hotel omissis dal sig. D. L. V., padre della ricorrente, di euro 5.800,00 per i danni all’immobile, di euro 8.000,00 per danni materiali a cose, oltre ai danni morali, alla salute, patrimoniali diretti ed indiretti ed immediati, causati ad essi ed ai loro figli minori, quantificati in euro 20.000,00 o nel maggiore o minore importo che il Tribunale ritenesse, oltre interessi e rivalutazione monetaria, ai danni ex art. 96 c.p.c., il tutto nel limite di euro 26.000,00 oltre le competenze legali.
Radicatasi la lite si costituivano i resistenti che si opponevano all’avverso dedotto, di cui chiedevano l’integrale rigetto.
In particolare, R. D., coinvolto nel giudizio quale locatore del predetto appartamento, oltre ad impugnare recisamente le conclusioni cui era giunto il tecnico nominato in sede di Atp, spiegava domanda riconvenzionale nei confronti dei ricorrenti nei confronti dei convenuti T. V. e D. L. R. per il pagamento dei canoni di locazione da omissis a omissis, ciascuno di euro 300,00, pari ad euro 3600,00, oltre rimborso degli oneri condominiali e per il pagamento di euro 1800,00 per gli ulteriori sei mesi di preavviso, avendo i conduttori rilasciato l’immobile il omissis, oltre interessi legali; nei confronti del condominio dell’edificio in omissis, alla Via omissis per il risarcimento dei danni subiti dall’immobile in ragione di euro 4800,00, oltre interessi legali, al netto di euro 1000,00 relativi al ripristino del soggiorno di competenza dei proprietari dell’appartamento soprastante; nonché nei confronti di P. B. e V. M. P., quali proprietari dell’appartamento soprastante per il risarcimento dei danni a soffitto ed alle pareti del soggiorno, calcolati in euro mille in base alla c.t.u. oltre interessi legali dalla data di maturazione del credito fino a quelle dell’effettivo pagamento.
Del pari, l’X Costruzioni Srl, quale impresa che aveva realizzato i lavori di manutenzione straordinaria appaltati dal condominio in omissis, alla Via omissis, impugnava l’avverso dedotto, spiegava domanda riconvenzionale subordinata nei confronti del condominio affinché esso fosse condannato a rimborsare alla società quanto la stessa dovesse essere condannata a pagare ai ricorrenti.
Concludevano per il rigetto anche P. B. e V. M. P., i quali denegavano ogni loro responsabilità per l’accaduto, causato invero da un fenomeno di condensa.
Il Condominio, costituitosi, anch’esso denegava ogni responsabilità per l’occorso, respingendo ogni addebito mosso con le riconvenzionali spiegate nei suoi confronti.
Va in primo luogo esaminata, in punto di mero rito, la questione dell’ammissibilità di siffatta forma di procedimento sommario nel caso che occupa.
Infatti, i dubbi conseguono dalla lettura del ricorso introduttivo nel quale gli esponenti si qualificano espressamente come conduttori dell’appartamento in epigrafe indicato ed interessato, a loro dire, da fenomeni di umidità diffusa. In altre parole, avendo essi agito per ottenere il risarcimento dei danni che assumono di aver subito per quanto è causa anche nei confronti dei locatori, è logico ritenere che l’azione trovi il suo fondamento inter alia anche nel dedotto rapporto locativo.
Il che avrebbe importato, qualora la causa fosse stata introdotta nelle forme ordinarie, l’assoggettamento della controversia alle regole di cui all’art. 447 bis cpc, il quale, appunto, fa riferimento a controversie in materia di (con espressione similare, ma oggettivamente più ampia, rispetto a quella già contenuta nell’abrogato articolo 8 II co. n. 3 c.p.c. che invece recitavacause relative a rapporti di).
Benvero, non ignora dunque questo giudice quell’orientamento dottrinario che opina che il modello processuale per cui si procede non possa essere utilizzato per le controversie assoggettate al rito locatizio.
L’esclusione, a parere di tali autori, si fonda, in primo luogo, sulla lettera dell’art. 702 ter, terzo comma, c.p.c., nella parte in cui afferma che il giudice, una volta verificata la complessità della causa e l’inapplicabilità del procedimento sommario, “fissa l’udienza ex art. 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II”: questo duplice indice relativo al procedimento ordinario, ha indotto a ritenere esclusa la compatibilità del procedimento sommario con ogni procedimento a cognizione piena non regolato dal libro II, ovvero non assoggettabile al rito cd. ordinario.
Tale rilievo trova, sempre per tale teorica, ulteriore conforto nell’ulteriore richiamo compiuto dall’art. 702 bis all’art. 163 c.p.c., in riferimento all’avvertimento previsto dal n. 7 e che l’attore deve dare al convenuto in riferimento al. fatto che la costituzione tardiva in giudizio implica le decadenze previste dall’art. 167 e 38 cpc.
Chi scrive condivide, invece, la tesi di altra autorevole dottrina processualistica che si è espressa per la utilizzabilità dello schema procedimentale de quo anche nelle controversie di lavoro (e, quindi, anche in quelle previdenziali e locative), quale alternativa al rito del lavoro di cui agli artt. 413 e ss. c.p.c., trattandosi di controversie di competenza del Tribunale in funzione di giudice del lavoro (artt. 413 e 444 c.p.c.) e di quelle locative ex art. 447 bis cpc.
In tale prospettiva interpretativa, non depone in senso contrario il disposto di cui all’art. 702 ter, 3° comma c.p.c., il quale impone al giudice che non ritenga possibile la sommaria istruzione di fissare «l’udienza di cui all’articolo 183».
Invero, è a convenirsi sulla non vincolatività del dato letterale, potendosi intendere il menzionato richiamo all’udienza ex art. 183 cpc, anche quale rinvio all’udienza ex art. 420 cpc, comunque non ostandovi tecnicamente il rilievo per cui l’udienza di discussione di cui all’art. 420 c.p.c. è tuttora incentrata sul tentativo di conciliazione delle parti e sull’esperimento del loro libero interrogatorio; incombenti il cui espletamento non è più previsto nell’udienza di prima trattazione.
L’intera normativa va, infatti, interpretata in un’ottica costituzionalmente orientata alla luce della propria ratio: quella di offrire uno rito alternativo, agile, ma al tempo stesso sufficientemente garantista in un’ottica di decisa riduzione dei tempi processuali in relazione a tutte le controversie che non richiedano un iter istruttorio particolarmente complesso.
Conforta tale opinione quanto la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. S.U. 20.11.08 n. 27531) ha di recente affermato: “le norme esistenti vanno interpretate ed applicate in modo da evitarne risultati in conflitto con il principio della ragionevole durata del processo” . Ne consegue che ogni soluzione che si adotti nella risoluzione di questioni attinenti a norme sullo svolgimento del processo deve essere verificata non solo sul piano concettuale, ma anche e soprattutto per il suo impatto operativo sulla realizzazione del detto obiettivo costituzionale.
Alla luce della detta ratio, ed in applicazione di tali coordinate ermeneutiche, deve concludersi nel senso che la locuzione udienza di cui all’art. 183 cpc possa essere interpretata come qualsiasi udienza che apre al procedimento ordinario, ivi compresa anche l’udienza ex art. 420 c.p.c..
Ulteriore dottrina, peraltro, ha individuato un diverso elemento ostativo nell’art. 54 della legge n. 69/2009 – che delega il Governo ad adottare, entro ventiquattro mesi, uno o più decreti legislativi “in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nella giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legge speciale” – una ragione ulteriore, e di carattere sistematico, a sostegno dell’inapplicabilità del procedimento sommario alle controversie assoggettabili al rito speciale: in buona sostanza, muovendosi dall’assunto che l’esigenza legislativa di porre fine alla proliferazione di riti si realizza tipizzando esclusivamente i tre modelli processuali ivi descritti, all’interno dei quali far confluire i diversi procedimenti di cui sono costellate le leggi speciali, si sostiene che tali modelli non ammettano reciproche interferenze.
Tale specifico argomento non appare però del tutto convincente almeno per due motivi: a) non v’è ragione per assimilare i procedimenti che saranno assoggettati al procedimento sommario secondo i criteri della delega contenuta nell’art. 54, l. n. 69 del 2009 e quello oggi previsto dal codice (artt. 702 bis – 702 quater c.p.c.) caratterizzato, contrariamente ai primi, proprio dalla possibilità di cambiare il rito secondo la scelta del giudice; b) il richiamo all’art. 183 c.p.c. ed al libro secondo non riguarda la disposizione relativa all’ambito di applicazione del rito, incentrata sul discrimine della cognizione monocratica del giudice, ma indica un modello di prosecuzione del giudizio del tutto compatibile con il rito del lavoro, attesa la sostanziale sovrapposizione di disciplina processuale degli atti introduttivi . Ciò non senza considerare che alcune tipologie di controversie lavoristiche (o previdenziali) e locatizie (occupazioni senza titolo, risoluzioni di contratti di comodato) presenterebbero proprio quei caratteri di semplificazione dell’istruzione, della trattazione e della decisione caratteristici del procedimento sommario, mentre non sempre sarebbe possibile, per queste specifiche tipologie di controversie, l’accesso alla tutela d’urgenza, potendo mancare il periculum in mora.
Nella giurisprudenza di merito (Trib. Modena, 18 gennaio 2010) si è tuttavia già registrato un orientamento di segno contrario all’utilizzabilità del rito sommario in ambito locativo, di cui mette conto evidenziare il riscontrato ulteriore argomento negativo in punto di compatibilità fra il processo sommario e le controversie locative. Esso è stato individuato nelle specifiche preclusioni istruttorie che maturano sin dalla costituzione in giudizio delle parti (artt. 414, 416 in correlazione con l’art. 420 c.p.c,); preclusioni viceversa non riscontrabili nel procedimento sommario di cognizione, nel quale le deduzioni istruttorie e la produzione documentale può avvenire, teoricamente, anche in apertura di udienza.
È stato aggiunto, sia pure in via dubitativa, un ulteriore rilievo alla stregua della considerazione per cui la struttura semplificata e deformalizzata degli snodi strutturali caratterizzanti il rito laboristico, (che è concentrato e destinato a concludersi in una sola udienza, l’udienza di discussione, con pronuncia immediata della sentenza; v. l’art. 420 c.p.c.) tendenzialmente non dovrebbe scontare le lentezze ed i tempi lunghi di definizione cui soggiace il rito ordinario di cognizione.
Invero anche queste non sembrano argomentazioni decisive.
Infatti, è chiaro che l’obiezione concernente l’assenza delle preclusioni può essere superata tenuto conto dell’essenza del rito sommario in sé incompatibile con controversie che richiedono approfonditi incombenti istruttori, in relazione alle quali può effettivamente porsi il problema dell’aporia conseguente all’assenza di preclusioni istruttorie.
Inoltre, è a reputarsi che non possa il giudice sindacare l’astratta assenza di un interesse giuridicamente apprezzabile per la parte istante nell’avvalersi di siffatto rimedio processuale in luogo dell’ordinario rito locatizio, per escludere in radice l’adottabilità del primo nella soggetta materia. Infatti, tal tipo di sindacato deve fermarsi laddove l’utilizzo di uno strumento processuale in luogo di un altro non si manifesti prima facie qual abuso del processo o del diritto, rimanendo unicamente nella discrezionalità dell’istante optare, in pieno esercizio del proprio diritto di difesa, per il procedimento ritenuto più confacente al conseguimento del bene della vita richiesto.
Da ultimo, e sotto altro profilo, deve evidenziarsi come il procedimento sommario consenta di superare l’ostacolo allo svolgimento del simultaneus processus in caso di connessione tra controversia soggetta al rito locatizio ed altra non locatizia.
Occorre premettere che il simultaneus processus, cui è finalizzato l’istituto della connessione non è in astratto impedito dalla diversità di rito almeno nei casi di cui agli artt. 31, 32, 34, 35, 36 c.p.c., in base all’espressa previsione dell’art. 40 co. 3 c.p.c..
La ratio della disposizione è comunemente rinvenuta nell’esigenza di ridurre il frequente ricorso all’istituto della sospensione necessaria ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (ossia di un temporaneo non liquet), determinata dalla incompatibilità dei riti. Il principio generale fissato dal legislatore è che tutte le cause connesse, assoggettate a riti diversi, sono trattate col rito ordinario, a meno che almeno uno di esse non rientri tra le controversie di lavoro o di previdenza, giacché in tal caso saranno tutte trattate col rito del lavoro.
In giurisprudenza si è tuttavia affermato che il mutamento di rito non è ammissibile se le cause sono connesse solo ai sensi dell’art. 104 c.p.c. (Cass. 266/00), oppure solo ex art.103 c.p.c. (Cass. 347/00) o solo ai sensi dell’art. 33 c.p.c. (Cass. 11297/98), non essendo consentito che il mutamento del rito sia conseguenza di una mera scelta dell’attore, con riferimento a causa non connesse o non collegate da rapporti di evidente subordinazione; in caso opposto, restando vulnerato il principio del giudice naturale precostituito per legge (Cass. 4367/03). È quindi ritenuta preferibile l’interpretazione più restrittiva, anche in considerazione del dato letterale, e cioè della puntuale elencazione fornita dal comma terzo dell’art. 40 c.p.c., il quale si riferisce alle regole di modificazione della competenza per subordinazione, mentre non richiama i casi che dipendono dal cumulo soggettivo. Pertanto, la diversità del rito costituisce ostacolo alsimultaneus processus soltanto in queste ultime ipotesi, mentre negli altri casi la regola generale è quella del simultaneus processus anche nel caso di diversità di riti (Cass. 6660/01). In altri termini, la giurisprudenza ha stabilito che l’art. 40 co. 3 c.p.c. consente il cumulo nello stesso processo di domande soggette riti diversi esclusivamente in presenza di ipotesi qualificate di connessione cd. per subordinazione o forte, e, quindi, esclude la possibilità di proporre più domande connesse soggettivamente ai sensi dell’artt. 33 o 103 c.p.c. e soggetta a riti diversi (Cass. 20638/04; Id., 17404/04).
Pertanto, la diversità del rito costituisce normalmente ostacolo al simultaneus processus, vale a dire le cause non possono essere proposte simultaneamente, né possono essere successivamente cumulate, non potendo il mutamento di rito conseguire ad una mera scelta dell’attore . Corollario finale dell’impostazione della duplicità delle domande – locativa e non – è che, laddove le stesse siano proposte cumulativamente dall’istante, il giudice deve disporre ex artt. 103, 104 c.p.c. la separazione delle cause, senza quindi trasformare il rito, con facoltà di rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza per valore (oggi pari a euro 5000,00 per il giudice di pace).
Viceversa, nel caso di domanda di pagamento di canoni di locazione esperita in via principale cui si oppone in via riconvenzionale un controcredito non di natura locativa di maggiore importo, sussistendo un criterio di connessione forte ex art. 36 cpc, richiamato dall’art. 40 III co c.p.c., avrà luogo il simultaneus processus, con l’applicazione del rito ordinario, previa trasformazione laddove la causa sia stata introdotta con ricorso ex art. 447 bis c.p.c..
Anche in ipotesi di chiamata in causa del terzo non trova applicazione l’art. 40 III co. c.p.c. con conseguente non prevalenza del rito ordinario e necessità di separazione laddove la domanda proposta nei confronti del terzo sia estranea alla materia locativa (si pensi al frequente caso in parte analogo a quello per cui è lite di chiamata in causa di un terzo estraneo al rapporto locativo da parte del locatore-resistente quale preteso responsabile dei danni pretesi dal conduttore-ricorrente).
Ora, è evidente che tali questioni non si pongono nel caso di adozione, in conformità alla tesi qui sposata, del procedimento sommario anche per le controversie locatizie, trattandosi, appunto, di rito pacificamente applicabile anche alle cause ordinarie.
L’esigenza di assicurare in tal guisa il simultaneus processus risponde, così riprendendo nuovamente quanto già in epigrafe anticipato, all’esigenza palesata inter alia da Cass. S.U. 9.10.08 n. 24883, secondo cui la costituzionalizzazione del principio della ragionevole durata del processo stesso impone allora all’interprete una nuova sensibilità ed un nuovo approccio interpretativo, il quale muova dall’affievolirsi dell’idea di giurisdizione civile intesa come espressione della sovranità statale, dovendo essa, invece, essere figurata come un servizio da rendersi alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi appunto ragionevoli.
Risolta ogni questione sull’ammissibilità del procedimento sommario, può passarsi all’esame del merito della controversia.
Con accertamento tecnico preventivo, le cui conclusioni sono state confermate nel contraddittorio delle parti dal nominato tecnico all’udienza del 30 aprile 2010, l’Arch. R. S. ha riscontrato sulle pareti e sul soffitto dei locali dell’appartamento dei ricorrenti fenomeni di condensa e muffe in atto (presenti negli ambienti dell’appartamento dei ricorrenti al primo piano sono stati rilevati anche nell’appartamento al piano terzo, sulla stessa verticale e di proprietà del sig. M. P., seppur in misura minore). Il Ctu ha altresì riscontrato formazioni di muffa e cattivi odori derivanti da tale fenomeno anche agli arredi e alle suppellettili presenti negli ambienti deteriorati.
Il Ctu ha quindi concluso che i danni lamentati nel ricorso derivano da un vizio di costruzione dell’edificio, in particolare nella costituzione delle murature esterne, dove si genera un ponte termico nei pressi dei pilastri (nella parte della muratura deteriorata in corrispondenza della nicchia dove è posto il contatore del gas, il fenomeno è maggiormente evidente perché è stato eliminato il tompagno in laterizio che ha aggravato la situazione, favorendo il passaggio dell’umidità, visto lo spessore di muratura minore, e l’inesistenza di un reale protezione a copertura della nicchia dall’esterno).
Pertanto, ad opinione del Ctu, durante l’esecuzione dei lavori condominiali, che hanno interessato la sostituzione del rivestimento in klinker, la situazione si è aggravata, generando i fenomeni di condensa descritti lungo le murature dell’appartamento.
Ancora, i danni riscontrati al soffitto del soggiorno sono da attribuirsi a episodi infiltrativi occorsi al piano superiore di proprietà del sig. P., durante l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento, come dallo stesso confermato. Gli armadi e le suppellettili contenute in esse hanno subito deterioramenti derivati dal passaggio dell’umidità dalla parete esterna ai mobili appoggiati su di essa.
Le responsabilità dei suddetti danni sono state attribuite per il 60 per cento proprietario dell’immobile oggetto di ATP, sig. D. R.; – per il 30 per cento alla Ditta X Costruzioni – per il 10 per cento i sig.ri P./V., proprietari dell’immobile sovrastante quello oggetto di ATP.
Esposto lo stato dei luoghi, accertate le cause remote e prossime del fenomeno infiltrativo de quo, il Ctu ha quindi indicato i lavori di ristrutturazione necessari per porvi definitivo rimedio, stimandone il costo l’importo di euro 5.800,00 IVA esclusa.
È opinione del Ctu che i danni agli arredi, alle suppellettili e alla biancheria siano quantificabili in euro 8.000,00.
Ora è noto che i coautori di un danno colposo rispondono sempre in solido nei confronti del danneggiato, quand’anche le rispettive condotte siano state tra loro indipendenti ovvero siano differenti i titoli delle singole responsabilità, a condizione che esse abbiano concorso in modo efficiente alla produzione dell’evento (Cass., n. 12558 del 12/11/1999; Sez. 3, Sentenza n. 5421 del 28/04/2000 (Rv. 536034), atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dall’art. 2055 c.c. deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate (Sez. 3, Sentenza n. 27713 del 16/12/2005).
Ne consegue che, ove esistano più possibili danneggianti, la graduazione delle colpe tra di essi ha una mera funzione di ripartizione interna tra i coobbligati della somma versata a titolo di risarcimento del danno, e non elide affatto la solidarietà tra loro esistente (Cass., n. 19934 del 05/10/2004).
In applicazione delle superiori considerazioni giuridiche, deve concludersi che tutti i convenuti (escluso il condominio) siano tenuti al risarcimento del danno nei confronti dei ricorrenti. A costoro, esclusa ogni loro legittimazione in relazione ai danni subiti all’immobile, tenuto conto delle fotografie in atti, del presumibile costo di mercato dei beni deperiti, della loro apparente vetustà, delle dichiarazioni rese dal Ctu in udienza, del disagio abitativo patito dai ricorrenti specie avuto riguardo all’attestata disabilità del minore T. A., figlio dei ricorrenti e comprovato dalla certificazione Asl in atti del omissis, secondo cui appunto l’appartamento presenta caratteristiche di insalubrità e conseguente inidoneità igienico sanitari, nonché dai certificati medici provenienti da strutture pubbliche attestanti l’asma bronchiale di cui è stato affetto il predetto figlio disabile, va riconosciuta la somma ominicomprensiva liquidata all’attualità di euro 5000,00, oltre interessi a calcolarsi al tasso del 2%, sulla predetta somma siccome devalutata dal omissis al omissis e come poi progressivamente rivalutata anno dopo anno da tale ultima data sino al dì di pubblicazione della presente ordinanza.
A tanto vanno aggiunti euro 103,63 sborsati dai ricorrenti per il rilascio ad opera dell’Asl del mentovato certificato di inidoneità abitativa dell’alloggio da loro occupato.
Viceversa non può essere accolta la pretesa alla corresponsione di euro 1176,50, trattandosi di ricevute intestate D. L. V., il quale non è parte nel presente processo.
Della detta complessiva somma, come in epigrafe cennato, deve rispondere anche R. D., locatore, senza che possa aver rilievo la circostanza per cui i conduttori, al momento della stipula del contratto, hanno dichiarato di aver trovato l’abitazione in buono stato locativo. Trattasi come è noto di clausola di mero stile, la quale, comunque, non può spendere niun effetto per quanto qui è lite, atteso che il fenomeno di umidità è sopravvenuto in corso di rapporto per effetto del ponte termico, costituente vizio occulto della cosa locata. Infatti, i vizi della cosa locata sussistono già al momento della consegna della cosa locata ed incidono sulla struttura materiale della stessa, alterandone l’integrità in modo da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale (Cass., 18 aprile 2006, n. 8942; Cass., 15 maggio 2007, n. 11198). Essi si distinguono dai guasti perché quest’ultimi sopravvengono in corso del rapporto locativo e danno luogo all’obbligo di riparazione, al contrari dei vizi della cosa locata che legittimano unicamente alla risoluzione del contratto ovvero alla riduzione del corrispettivo, ma non anche all’azione di esatto adempimento, fermo restando però il diritto al risarcimento dei danni patiti.
Quanto precede è utile ai fini della delibazione della riconvenzionale spiegata dal R., il quale, appunto, lamenta che i ricorrenti abbiano omesso di corrispondere il canone di locazione daomissis a omissis, pari a complessive euro 3600,00, oltre al rimborso degli oneri condominiali, oltre interessi come in dispositivo.
Ora, atteso che i ricorrenti non hanno chiesto né la risoluzione del contratto, né la riduzione del canone, né tantomeno hanno sollevato l’exceptio inadimpleti contractus, non resta che condannarli al pagamento della canoni maturati sino al rilascio del cespite.
Il R. ha, inoltre, chiesto il pagamento del periodo semestrale di preavviso.
La pretesa non è accoglibile in quanto, a mente dell’emergenze documentali sopra richiamate, l’operato immediato recesso è giustificato da fatti estranei alla volontà del conduttore in sé imprevedibili al momento della costituzione del rapporto e di tale gravità da rendere oltremodo gravosa la persistenza del rapporto.
E proprio quanto appena in epigrafe lumeggia l’interprete nella lettura del verbale di riconsegna di immobile del omissis, nel quale l’Avv. C., nella qualità, rinunzia al rapporto di locazione, offendo brevi manu le chiavi del cespite.
Ne segue che l’Avv. S., sempre nella qualità, recependo le dette chiavi, con espressa autorizzazione al locatore di disporre liberamente dell’appartamento, ha sostanzialmente accettato l’anticipata riconsegna dell’immobile locato. Donde la locuzione: più ampia reciproca salvezza dei rispettivi diritti, che sempre nel detto verbale si legge, non può essere estesa onde farvi ricomprendere accanto al diritto al pagamento dei canoni sino ad allora maturati e non versati, anche quello alla corresponsione delle mensilità del cennato periodo di preavviso.
Il R. ha poi spiegato riconvenzionale nei confronti del Condominio volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti dall’immobile in ragione di euro 4800,00 e nei confronti dei convenuti P. e V. sempre per la medesima ragione in ragione di euro 1000,00.
Non sussistono gli estremi per accogliere la domanda riconvenzionale spiegata in via principale nei confronti del Condominio.
Infatti, il Ctu ha escluso ogni responsabilità per l’occorso ascrivibile in via diretta in capo al condominio.
Né sussistono gli estremi per accogliere la riconvenzionale spiegata in via subordinata, fondata sulla responsabilità del condominio quale committente. Essa invero può in thesi concernere unicamente il periodo di preavviso, non riconosciuto, come in epigrafe anticipato.
Epperò, non può non rilevarsi che l’immediato rilascio trovi la sua giustificazione anche in difetti strutturali dell’appartamento, imputabili unicamente allo stesso R..
Viceversa va accolta la domanda spiegata nei confronti dei proprietari dell’appartamento soprastante, i quali vano condannati al pagamento nei limiti del 10% della somma all’attualità di euro 5800,00, pari ai danni materiali riscontrati dal Ctu. È infatti chiaro che il R. ha chiesto la condanna dei Sigg. P. e V. nei limiti della responsabilità a costoro ascrivibile, erroneamente però quantificata in comparsa in euro 1000,00. Il tutto oltre interessi a calcolarsi al tasso del 2%, sulla predetta somma siccome devalutata dal omissis al omissis e come poi progressivamente rivalutata anno dopo anno da tale ultima data sino al dì di pubblicazione della presente ordinanza.
Va infine rigettata la domanda riconvenzionale spiegata dalla ditta X Costruzioni srl nei confronti del condominio, come detto estranea ai fatti. Singolare è peraltro che l’appaltatrice, riconosciuta in Ctu come responsabile pro parte per i danni occasionati durante l’esecuzione del contratto di appalto, reputi di agire nei confronti del proprio committente, proprio in ragione del rapporto di committenza, per essere sostanzialmente manlevato di quanto eventualmente tenuto a sborsare in caso di accoglimento della domanda attorea.
Le spese seguono la soccombenza.
Esse vanno compensate in ragione della soccombenza reciproca nel rapporto fra i ricorrenti e R. D., ad eccezione di quelle di Atp.
Sussistono i motivi per compensare integralmente le spese fra parte istante ed il Condominio, il quale potrà però rivalersi nei confronti dei ricorrenti in riconvenzionale, motivo della sua costituzione in giudizio.
Sussistono ancora gli estremi per compensare le spese fra questi ultimi e P. B. e V. M. P..
Le spese per Atp e Ctp vanno infine poste definitivamente a carico dei convenuti, ad eccezione del condominio.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente decidendo, così provvede:
Accoglie per quanto di ragione il ricorso attoreo e per l’effetto condanna R. D., P. B., V. M. P., l’X Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante p.t., in solido fra loro, al pagamento in favore di T. V. e D. L. R. di euro 5103,63, oltre interessi a calcolarsi al tasso del 2%, sulla predetta somma siccome devalutata dal omissis al omissis e come poi progressivamente rivalutata anno dopo anno da tale ultima data sino al dì di pubblicazione della presente ordinanza;
Rigetta la domanda attorea avanzata nei confronti del Condomino di Via omissis, omissis;
Condanna P. B., V. M. P., l’X Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante p.t., in solido fra loro, al pagamento in favore di T. V. e D. L. R. delle spese di lite che liquida, tenuto conto della fase di Atp. in euro 250,00 per spese vive; euro 1200,00 per diritti; euro 1450,00 per onorario, oltre rimborso spese generali, Iva e Cpa come per legge;
Pone le spese di Atp e Ctp definitivamente a carico esclusivo di R. D., P. B., V. M. P., l’X Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante p.t., condannandoli in solido fra loro al relativo pagamento in favore di T. V. e D. L. R. di euro 1809,26 per Atp oltre interessi dal 13 novembre 2009 e di euro 612,00 per Ctp., oltre interessi dal 6 aprile 2009,
Compensa le spese fra i ricorrenti, il Condominio di Via omissis e R. D.;
Rigetta le domande riconvenzionali spiegate nei confronti del Condominio di Via omissis;
Condanna R. D. e l’X Costruzioni Srl, in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore del Condominio di Via omissis delle spese di lite che liquida per ciascuno di loro in euro 40,00 per spese vive; euro 450,00 per diritti; euro 550,00 per onorario, oltre rimborso spese generali, Iva e Cpa come per legge;
Accoglie la domanda riconvenzionale spiegata da R. D. nei confronti dei ricorrenti e per l’effetto condanna T. V. e D. L. R. al pagamento nei suoi confronti di euro 3600,00, oltre interessi dal 10 febbraio 2010;
Accoglie la domanda riconvenzionale spiegata da R. D. nei confronti di P. B. e V. M. P. e per l’effetto condanna costoro al pagamento nei confronti del primo di euro 580,00, oltre interessi a calcolarsi al tasso del 2%, sulla predetta somma siccome devalutata dal maggio 2010 al gennaio 2009 e come poi progressivamente rivalutata anno dopo anno da tale ultima data sino al dì di pubblicazione della presente ordinanza;
compensa le spese fra questi ultimi e P. B. e V. M. P..

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