Onere della prova: una breve introduzione

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Tradizionalmente si insegna che la decisione del giudice è il risultato di una attività cosiddetta di sussunzione che muovendo da una fattispecie concreta mira a ricondurla ad una determinata fattispecie legale ricavata dal diritto sostanziale, al fine di dedurne le conseguenze giuridiche da dichiarare nel proprio provvedimento (BALENA).

Il primo passo che il giudice deve compiere è quello di interpretare la domanda e l’eccezione rispettivamente proposta e sollevata, qualificandole giuridicamente.

Il secondo passo, consiste nel ricercare e interpretare la norma che astrattamente regola la fattispecie costitutiva e quella fatta valere in via di eccezione.

A questo punto il giudice deve anzitutto stabilire se la fattispecie concreta è astrattamente sussumibile sotto una norma di carattere sostanziale. Difatti, qualora non lo sia il giudice potrà rigettare direttamente la domanda. Facciamo un esempio di scuola: Tizio conviene in giudizio l’amico Caio al fine di sentirlo condannare al risarcimento dei danni morali subiti, per non avere Caio invitato lo stesso Tizio alla festa di laurea, alla quale egli teneva tanto. L’ordinamento giuridico, però, non tutela la situazione invocata da Tizio; pertanto, il giudice rigetterà la domanda senza nemmeno valutare le richieste di prova di Tizio.

Qualora, invece, la fattispecie concreta sia riconducibile ad una fattispecie legale, il giudice dovrà porsi il problema di stabilire quali fatti le parti dovranno provare in giudizio affinché la domanda o l’eccezione possa essere accolta. Se, ad esempio, l’attore, pur invocando il risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., non offre di provare il danno subito, il giudice dovrà rigettare la domanda de plano, senza necessità di ammettere gli altri mezzi di prova, in quanto quand’anche ammessi difetterà la prova di un fatto costitutivo e cioè il danno ingiusto subito.

In questa fase il giudice non deve porsi il problema di “chi deve provare cosa”, in quanto la prova dei fatti costitutivi potrebbe essere offerta, consapevolmente o meno, dalla parte convenuta; del pari, la prova dei fatti impeditivi, estintivi o modificativi potrebbe essere offerta dalla parte attrice. Ma al giudice non deve interessare, in quanto per il “principio di acquisizione” ciò che conta è che i fatti rilevanti vengano dimostrati, non importa da chi.

Stabilire “chi deve provare cosa” sarà invece fondamentale allorquando il giudice si renderà conto che alcuni fatti non sono stati provati tout court o che non sono stati provati con certezza. È solo a questo punto che il giudice dovrà porsi il problema di stabilire su chi grava l’onere di provare quei fatti e, quindi, si chi debba conseguire le conseguenze negative della mancata prova ai sensi dell’art. 2697 c.c..

Pertanto, una volta stabilito che:

a)    la situazione soggettiva prospettata è astrattamente tutelata dall’ordinamento;

b)    le prove offerte e richieste consentono in astratto di dimostrare l’esistenza o l’inesistenza del fatto,

il giudice potrà dar corso all’ammissione delle prove rilevanti, negando l’ingresso a quelle vietate, quelle superflue, quelle sovrabbondanti.

Quale funzione svolge, dunque, la prova nel processo? La funzione essenziale della prova consiste nell’eliminare una incertezza sulla verità o falsità di un enunciato relativo ad un fatto principale o secondario che sia rilevante per la decisione.

Questa incertezza sussiste in quanto l’esistenza del fatto è controversa fra le parti. Pertanto, in giudizio un fatto può considerarsi «vero» solo in quanto l’enunciato che lo riguarda sia sorretto da prove che lo confermano, il che significa che ogni enunciato di fatto è per definizione incerto fino a quando una prova non ristabilisca la verità o la falsità.

È evidente che c’è una certa corrispondenza tra onere di allegazione e onere della prova, perché intanto si potrà procedere alla prova di un fatto, in quanto questo fatto sia stato prima tempestivamente allegato in maniera specifica nel processo. Tuttavia non tutti i fatti allegati dalla parte debbono essere provati e ciò essenzialmente per tre motivi:

a)    il primo motivo è che non vi è esatta coincidenza tra oneri di allegazione e onere di prova (ad esempio il creditore di una prestazione contrattuale ha l’onere di allegare l’inadempimento del debitore, ma non ha anche l’onere di provarlo; del pari, il debitore che eccepisce l’inadempimento del creditore non ha anche l’onere di dimostrare detto inadempimento);

b)    il secondo motivo è che non devono essere provati i fatti pacifici, quelli non contestati (o contestati solo genericamente);

c)     il terzo motivo è che non devono essere provati i fatti notori.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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