Non di rado accade che una parte dichiari espressamente di non voler invertire l’onere probatorio anche se, di fatto, articola una serie di capitoli di prova volti a dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di un certo fatto la cui prova è a carico della controparte. Questo accade, ad esempio, quando è incerta la natura di alcuni fatti.
Va anzitutto premesso che l’inversione dell’onere della prova, in mancanza di apposito patto ex art. 2698 c.c., può risultare anche dal comportamento processuale della parte, ma, affinché ciò si verifichi, non è sufficiente che la parte sulla quale non grava l’onere deduca o anche offra la prova, occorrendo, invece, la inequivoca manifestazione della parte medesima di voler rinunciare ai benefici e ai vantaggi che le derivano dal principio che regola la distribuzione dell’onere stesso e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta.
Detto ciò, il problema riguarda l’ammissibilità della prova. È tenuto il giudice ammettere la prova in questi casi, vista la dichiarazione di non voler invertire l’onere?
La risposta è senz’altro affermativa. La dichiarazione de qua ha un unico effetto e cioè quello di non cambiare la parte su cui cade il rischio della mancata prova. Essa non anticipa la decisione del giudice ad una fase precedente e cioè quella della ammissione dei mezzi di prova. Il convenuto che decide di provare fatti costituitivi della domanda attorea affronta semplicemente il rischio che le prove da lui richieste confermino quanto allegato dall’attore. Qualora invece le prove siano negative (ad esempio perché i testimoni non ricordano), nessun pregiudizio subirà, proprio perché la regola di giudizio è rimasta invariata.

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