ECC.MA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE CIVILE
RICORSO EX ART. 360 C.P.C.
per
PRIMO RICORRENTE (C.F.: _____________), nata a _____________ il _____________ ed ivi residente alla _____________, rappresentata e difesa dall’Avv. Mirco Minardi del Foro di Ancona (C.F. MNRMRC69T06A271W; fax 071.7912550; pec mirco.minardi@pec-ordineavvocatiancona.it), iscritto nello speciale Albo degli Avvocati Cassazionisti dal 17/4/2015, in forza di procura speciale rilasciata in data _____________, allegata alla busta telematica di notifica e quindi da considerarsi in calce al presente atto, il quale dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni e le notificazioni di cancelleria e delle parti private, presso l’indirizzo pec sopra indicato, iscritto nel registro RE.G.IND.E. e già comunicato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ancona, ove elegge domicilio ex art. 366 c.p.c.
ricorrente
contro
Geom. PRIMO INTIMATO (C.F. _____________), residente in _____________, rappresentato e difeso nel giudizio di secondo grado dall’Avv. _____________ ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in _____________
intimato
nel giudizio che ha visto in secondo grado come litisconsorti anche
Geom. DI SECONDOINTIMATO GIUSEPPE (C.F. _____________), residente a _____________, rappresentato e difeso nel giudizio di secondo grado dall’Avv. _____________ ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in _____________, mero notiziato del ricorso
e
DI SECONDOINTIMATO FRANCESCO (C.F. _____________), residente _____________, Via _____________, mero notiziato del ricorso
e
ZURICH INSURANCE PUBLIC LIMITED COMPANY – Rappresentanza Generale per l’Italia (P.IVA 05380900968), in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede a Milano, Via B. Crespi n. 23, rappresentata e difesa nel giudizio di secondo grado dall’Avv. Santo Spagnolo (C.F.: SPGSNT54B10C356R) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, sito in Catania, Corso Italia n. 244, mera notiziata del ricorso e dunque, unitamente agli altri due che precedono, in questo giudizio non vengono intimati, ferma la notifica del ricorso nei loro confronti quale litis denuntiatio.
PER L’IMPUGNAZIONE
della sentenza n. ________, pubblicata il giorno ___________, repert. n. __________ del __________, emessa dalla Corte di Appello di _______, Seconda Sezione Civile, a definizione del giudizio n. R.G. ________,notificata il _______.
OGGETTO: contratto di appalto – responsabilità dell’impresa e dei professionisti.
SCADENZA IMPUGNAZIONE: la sentenza è stata notificata il giorno _________, pertanto si applica il termine breve con scadenza al giorno _________.
VALORE CONTROVERSIA: €. 24.452,00 (unica domanda ancora sub iudice)
I
SINTESI DELLA VICENDA E DEI MOTIVI DI RICORSO
PRIMO RICORRENTE, committente di un contratto di appalto privato, conveniva in giudizio la ditta appaltatrice _________ al fine di sentirla condannare al risarcimento del danno per vizi costruttivi dell’opera e al pagamento della penale; chiedeva inoltre di accertare e dichiarare la responsabilità solidale di tutti i convenuti per quanto denunciato in citazione e, in particolare: il geom. PRIMO INTIMATO per omessa cura e sorveglianza nell’accertamento della corrispondenza tra il progetto e le opere, per mancato rispetto del capitolato, dei calcoli del cemento armato, per mancata sorveglianza delle maestranze e per omesso controllo sui lavori ed errata contabilizzazione.
Il Tribunale accoglieva la domanda proposta nei confronti della Ditta appaltatrice e del geom. PRIMO INTIMATO, rigettando quella proposta nei confronti degli altri professionisti evocati in giudizio.
La Corte d’appello, adita dal geom. PRIMO INTIMATO in via principale, e da altri in via incidentale, accoglieva l’appello del primo, così rigettando la domanda della odierna ricorrente nei suoi confronti.
Nel merito, ad avviso della Corte d’appello (a) il geom. PRIMO INTIMATO, quale direttore dei lavori, non aveva l’obbligo di sorvegliare il cantiere quotidianamente; (b) il D.L. non è responsabile della qualità dei materiali e (c) comunque a maggior ragione non lo è qualora per l’accertamento del danno siano necessarie indagini chimiche; (d) infine, il D.L. non poteva essere ritenuto responsabile dell’esecuzione del lavoro non a regola d’arte, in quanto non gli era stato permesso di fare il collaudo.
La sentenza del Giudice d’appello si basa sull’applicazione di (frazioni) di massime di legittimità che poco o nulla hanno a che vedere con la fattispecie concreta e in particolare con gli accertamenti effettuati dal CTU; difatti:
- l’affermazione – astrattamente corretta – della non necessità della presenza continua in cantiere, non considera che, tuttavia, secondo il diritto vivente “l’attività del direttore dei lavori … comporta … l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. 7336/2019); la CdA non sì è punto preoccupata di verificare e quindi di motivare in concreto l’effettuazione di detta attività di controllo nella fase di realizzazione delle strutture portanti;
- come anche accertato dal CTU, la normativa all’epoca vigente già imponeva al direttore dei lavori il controllo della qualità del calcestruzzo (l. 1086/1971, la quale all’art. 3, comma 2, stabilisce che “Il direttore dei lavori e il costruttore, ciascuno per la parte di sua competenza, hanno la responsabilità della rispondenza dell’opera al progetto, dell’osservanza delle prescrizioni di esecuzione del progetto, della qualità dei materiali impiegati, nonché, per quanto riguarda gli elementi prefabbricati, della posa in opera”);
- l’affermazione – astrattamente corretta – secondo cui il D.L. non è responsabile qualora l’accertamento del difetto richieda analisi chimiche, non considera che il CTU aveva accertato che il calcestruzzo con cui erano state realizzate le parti difettose era “privo di inerti di pezzatura media e grossa caratterizzano proprio il calcestruzzo. In concreto, ritiene lo scrivente di poter affermare che è arrivata in cantiere una betoniera il cui conglomerato era costituito da un impasto di acqua, sabbia (inerte fine) e cemento, assolutamente inadatto ad essere denominato calcestruzzo di tipo strutturale”, per cui il vizio atteneva a caratteristiche puramente morfologiche e dimensionali facilmente accertabili da qualunque occhio esperto;
- la circostanza della mancata effettuazione del collaudo non può esonerare il direttore dei lavori per l’omessa sorveglianza dell’impresa appaltatrice e la mancata verifica del calcestruzzo, tenuto conto che il collaudo viene eseguito ex post e non durante i lavori. Nel caso di specie l’inadempimento accertato dal CTU si era verificato ben prima del momento del collaudo.
Il ragionamento che ha portato la Corte territoriale ad escludere la responsabilità del D.L. è frutto tanto di una errata individuazione della fattispecie astratta, quanto di una illogica e apparente ricostruzione di quella concreta. Per tale ragione, è apparso opportuno non frammentare le censure con distinti motivi, bensì con un unico articolato motivo, evitando però qualsivoglia mescolanza e tenendo ben distinte le censure in iure, rispetto a quelle motivazionali.
MOTIVO UNICO ARTICOLATO IN PIU CENSURE: (A) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., sotto il profilo della motivazione in alcune parti apparente, in altre illogica e in altre ancora gravemente contraddittoria, in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c., con conseguente nullità della sentenza; (B) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, II° comma, c.c., legge 1086/1971, art. 3, comma 2, art. 64, commi 3 e 5 DPR n. 380/2001, in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., pag. 13.
II
ESPOSIZIONE SOMMARIA DEI FATTI
II.1 IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO
Con atto di citazione notificato l’08.10.2010, PRIMO RICORRENTE conveniva in giudizio la Ditta _________, PRIMO INTIMATO, Di ______ e Di ________, deducendo (per quel che rileva in questa sede; le parti non di interesse sono scritte in caratteri più piccoli):
- di avere commissionato alla Ditta ________ la realizzazione di un fabbricato per civile abitazione in _________, affidando la Direzione dei Lavori e la Redazione della contabilità di cantiere al Geom. PRIMO INTIMATO e nominando Di ________, quale Responsabile dei Lavori e il Geom. Di _____ quale Coordinatore della sicurezza;
- che il geom. PRIMO INTIMATO, recatosi sui luoghi unitamente al collaudatore Ing. ________, al termine dei lavori di scavo, realizzazione delle opere murarie e delle strutture portanti in calcestruzzo cementizio, comunicava che il cantiere era stato abbandonato, che era stato lasciato in condizioni di estrema pericolosità, che vi erano botole e scavi non coperti, che non vi era recinzione e che, a sua insaputa, erano stati effettuati interventi non autorizzati, rassegnando, quindi, le proprie dimissioni;
- che il proprio consulente, incaricato di redigere una perizia, aveva accertato la non collaudabilità del calcestruzzo, la necessità della demolizione dei pilastri, la errata distribuzione delle resistenze, dovuta alla messa in opera non a regola d’arte.
Tanto premesso, chiedeva al Tribunale adito di accertare che la ditta convenuta non aveva osservato le regole della buona tecnica costruttiva, aveva violato il capitolato, il progetto e gli elaborati tecnici esecutivi, aveva ritardato gli interventi e abbandonato il cantiere in stato di pericolo; conseguentemente chiedeva di condannare la DITTA _________ al risarcimento del danno per vizi costruttivi, la cui quantificazione ancorava o ai costi della rimozione o alla diminuzione di valore dell’edificio e della sua fruibilità; al pagamento della penale come da contratto di appalto; chiedeva inoltre di accertare e dichiarare la responsabilità solidale di tutti i convenuti per quanto denunciato e, in particolare: il geom. PRIMO INTIMATO per omessa cura e sorveglianza nell’accertamento della corrispondenza tra il progetto e le opere, per mancato rispetto del capitolato, dei calcoli del cemento armato, mancata sorveglianza delle maestranze, omesso controllo sui lavori ed errata contabilizzazione.
Il geom. Di __________, quale coordinatore della sicurezza, per omessa sorveglianza maestranze e abbandono cantiere in condizioni di totale insicurezza; Di __________, quale responsabile dei lavori, per vizi riscontrati sui lavori eseguiti, per interruzione degli stessi e abbandono del cantiere in condizioni di pericolo.
Si costituiva PRIMO INTIMATO chiedendo dichiararsi l’inammissibilità della domanda per omessa applicazione del procedimento arbitrale, come previsto al punto 2 del contratto di appalto; nel merito, accertare l’infondatezza dei fatti esposti in citazione; respingere o rigettare ogni domanda.
Si costituivano Di ________ e Di __________ per resistere alla domanda. Chiedevano, preliminarmente, l’autorizzazione alla chiamata in causa della _____ Assicurazioni S.p.A., quale società assicuratrice dei rischi professionali di Di __________. Si costituiva la _________, la quale preliminarmente eccepiva la carenza di legittimazione attiva di Di __________e Di __________ alla chiamata in garanzia, risultando la polizza assicurativa stipulata con la DITTA _________
Disposta CTU, rigettate le richieste di prove testimoniali formulate dalle parti, acquisiti i documenti offerti in produzione e precisate le conclusioni, la causa veniva posta in decisione con assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
II.2 LA SENTENZA DI PRIMO GRADO
Il Tribunale, sulla scorta della CTU che aveva ricondotto i vizi accertati alla negligenza/imperizia della Impresa e del D.L., per aver rispettivamente utilizzato e consentito l’utilizzo di calcestruzzo di qualità non adeguata, accoglieva la domanda proposta dall’attrice nei confronti della impresa e del direttore dei lavori Salvatore PRIMO INTIMATO, in parte per i danni (che poneva a loro carico in solido), in parte per l’abbandono del cantiere (che poneva a carico della sola Impresa), mentre la rigettava nei confronti dei Di __________, non essendo responsabili né dei danni, né dell’abbandono del cantiere; emetteva pertanto il seguente dispositivo: “Il G.O. __________; rigetta l’exceptio compromissi, sollevata dal convenuto PRIMO INTIMATO; dichiara il difetto di legittimazione attiva in ordine alla domanda di chiamata in garanzia della _______ effettuata da Di __________ e Di __________; condanna la Ditta _________ e PRIMO INTIMATO al pagamento, in solido, in favore di PRIMO RICORRENTE, dell’importo di €. 24.452,00, oltre interessi e rivalutazione come in parte motiva; condanna la Ditta _________ al pagamento, in favore di PRIMO RICORRENTE, dell’importo di €. della somma di € 22.736,00, oltre interessi e rivalutazione come in parte motiva”. Seguivano le statuizioni sulle spese di lite.
II.3 IL GIUDIZIO DI SECONDO GRADO
Con atto di appello del 26 aprile 2021, PRIMO INTIMATO impugnava detta sentenza, chiedendo la riforma delle statuizioni di condanna emesse nei suoi confronti.
In data 6 settembre 2021 si costituiva Di ____________, il quale, con appello incidentale impugnava la detta sentenza in relazione: a) alla condanna (a carico del medesimo) in favore della ____ per la refusione delle spese di lite per la chiamata in manleva, nonché b) alla determinazione dell’importo delle spese di lite liquidate (anche) a favore del medesimo e poste a carico della PRIMO RICORRENTE.
In data 8 settembre 2021 si costituiva altresì PRIMO RICORRENTE, insistendo per l’inammissibilità e, nel merito, per il rigetto dell’appello principale, nonché, con proprio appello incidentale, insisteva, previo rinnovo della ctu, per l’accertamento della responsabilità dei Di _______ e per la condanna di questi ultimi -unitamente alla DITTA _________ Costruzioni Srl e del PRIMO INTIMATO – al pagamento delle maggiori somme già richieste, a titolo di risarcimento, nel giudizio di primo grado.
In data 27 settembre 2021, infine, si costituiva la ____, la quale insisteva per l’inammissibilità e, nel merito, per il rigetto del primo motivo dell’appello incidentale proposto da Di ______.
Con l’appello principale, PRIMO INTIMATO censurava la sentenza di primo grado con riferimento all’accertamento, da parte del primo giudice, della responsabilità a lui attribuita. In particolare, si doleva dell’attribuzione al medesimo della concorrente responsabilità (al 50%), in solido con l’impresa costruttrice, per i vizi riscontrati sull’immobile della PRIMO RICORRENTE. Deduceva, sul punto, che:
- l’adesione, da parte del primo giudice, alle risultanze della ctu non aveva tenuto conto di alcuni elementi, evidenziati dallo stesso ctu;
- nessun rilievo era stato attribuito alla (dedotta) circostanza che, ove fosse stato possibile eseguire il collaudo, e dunque verificare i vizi poi riscontrati, esso appellante principale, quale direttore dei lavori, avrebbe potuto, in accordo con il collaudatore nominato dalla PRIMO RICORRENTE, impartire all’impresa le istruzioni necessarie alla demolizione e al ripristino degli elementi non coincidenti con quanto previsto nel progetto;
- tuttavia, esso non era stato posto in condizione di poter effettuare alcuna verifica nei tempi previsti dalla normativa applicabile (D. Lgs. 163/2006 e successive modifiche), ovvero “sino alla conclusione dei lavori”, da intendersi coincidente con il collaudo;
- il controllo demandato al direttore dei lavori non si identificava con l’obbligo di una sua presenza costante nel cantiere, e la verifica della corretta esecuzione dell’opera può dunque essere attuata anche successivamente, a campione, sino al collaudo finale;
- in ogni caso, l’eventuale percentuale di responsabilità – in ordine alla causazione dei vizi riscontrati – tra impresa e direttore dei lavori andava determinata, a carico di ciascuno dei detti soggetti, senza alcun automatismo, ex art. 2055 c.c..
Non sono rilevanti in questa sede i motivi di appello delle altre parti che, per scrupolo, vengono comunque riportati in nota[1].
II.4 LA SENTENZA D’APPELLO
Dopo aver rigettato le eccezioni preliminari in rito, non rilevanti in questa sede, nel merito dell’appello principale del PRIMO INTIMATO il Giudice d’appello osservava che dall’istruttoria documentale in atti e dal contenuto della ctu espletata in primo grado si evinceva, in punto di fatto, che:
- l’iter dei lavori di costruzione dell’immobile della PRIMO RICORRENTE aveva avuto inizio nel 2002 (con il deposito, in data 16.7.2002, della prima istanza di concessione edilizia dell’immobile oggetto di causa), con l’iniziale affidamento della direzione lavori ad altro professionista;
- successivamente, l’incarico della direzione lavori (per le fasi di “direzione e contabilità lavori”) era stato affidato al PRIMO INTIMATO con la scrittura del 29 giugno 2007;
- tra la PRIMO RICORRENTE e il PRIMO INTIMATO si erano verificate, nel corso dell’espletamento di tale incarico, plurime discussioni, e tuttavia la PRIMO RICORRENTE aveva poi accettato la contabilità del cantiere predisposta dall’odierno appellante principale (tanto che risultavano, pacificamente, corrisposti i relativi acconti alla DITTA _________);
- in occasione dell’accesso in loco del 26.3.2009 per le operazioni di collaudo, constatati l’effettuazione di lavori non autorizzati e l’abbandono del cantiere da parte dell’impresa, il PRIMO INTIMATO aveva comunicato tempestivamente alla PRIMO RICORRENTE quanto rilevato e le proprie dimissioni;
- il ctu aveva accertato che il difetto di costruzione era relativo unicamente ad alcune parti (ovvero: il pilastro contrassegnato con la sigla P10, il setto 12-7 <parti che vanno ricostruite> e i pilastri al piano terra contrassegnati dai numeri dal 4 al 20 <che vanno rinforzati>), e aveva attribuito la causa all’utilizzo di un carico, trasportato da una betoniera, costituito da un impasto (di acqua, sabbia e cemento) privo di inerti di pezzatura media e grossa e, dunque, privo delle caratteristiche tipiche del “calcestruzzo di tipo strutturale”, come accertato attraverso le prove eseguite nel laboratorio ufficiale dell’Università di Catania.
Dunque, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, nessuna responsabilità poteva essere attribuita al PRIMO INTIMATO per i difetti costruttivi giudizialmente accertati, poiché, pur essendo pacifico l’obbligo di vigilanza, da parte del direttore lavori, sulla corretta esecuzione dei lavori, detto professionista:
- (Cass. n. 3855/2020; Cass. n. 7336/2019);
- nell’appalto privato la vigilanza, da parte del direttore lavori, sulla corretta esecuzione dei lavori non comprende il controllo della qualità dei materiali utilizzati dall’appaltatore (Cass. n. 4454/2012), né le operazioni più semplici, come il controllo della qualità del conglomerato cementizio adoperato dall’appaltatore (Cass. n. 1818/79), tanto più laddove, come nella fattispecie, il vizio accertato era riscontrabile non direttamente, ma solo ricorrendo ad analisi chimiche;
- nel caso in esame, la responsabilità dell’impresa (che ha utilizzato un carico di materiale inidoneo) non poteva essere immediatamente rilevata dal direttore lavori (se non presenziando senza soluzione di continuità a tutte le attività dell’impresa; impegno, questo non pretendibile nei confronti del PRIMO INTIMATO); l’azione posta in essere dall’impresa (utilizzo di materiale scadente) operava come fatto autonomo e imputabile esclusivamente all’impresa, da considerarsi causa efficiente del danno lamentato dalla PRIMO RICORRENTE; nessun concorso – ai sensi dell’art. 2055 c.c. – nella causazione dei danni subiti dalla PRIMO RICORRENTE poteva essere riconosciuto a carico del PRIMO INTIMATO, poiché i difetti indicati dal ctu non erano rilevabili senza appositi accertamenti, che il PRIMO INTIMATO non aveva potuto effettuare (per l’impossibilità di portare a termine la fase del collaudo: circostanza pacifica, poiché la stessa PRIMO RICORRENTE, successivamente alla comunicazione del 26.3.2009, aveva apposto un lucchetto al cancello del cantiere e aveva, poi affidato, l’esecuzione dei lavori ad altri).
Pertanto, in riforma dell’impugnata sentenza, e in accoglimento del proposto appello principale, rigettava la domanda di risarcimento di danni formulata dalla PRIMO RICORRENTE contro PRIMO INTIMATO Salvatore.
Le motivazioni con cui è stato accolto l’appello incidentale di Di ___________ vengono riportate in nota, non essendo rilevanti in questo giudizio[2].
Pertanto, in accoglimento del proposto appello incidentale, e in riforma dell’impugnata sentenza, la CdA emetteva il seguente dispositivo:
- rigetta la domanda di risarcimento di danni formulata da PRIMO RICORRENTE contro PRIMO INTIMATO;
- ferma restando la statuizione di condanna (contenuta nell’impugnata sentenza) di PRIMO RICORRENTE alla refusione delle spese di lite del primo grado in favore di Di __________, condanna PRIMO RICORRENTE alla corresponsione, in favore di Di __________, dell’ulteriore somma di € 1.780,00 per compensi di avvocato (relativamente alla fase istruttoria del giudizio di primo grado), oltre agli accessori di legge;
- annulla il capo di condanna di Di ___________ alla refusione, in favore della _____________, delle spese di lite del giudizio di primo grado;
- dichiara l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto da PRIMO RICORRENTE.
Seguivano le statuizioni sulle spese di lite.
III
MOTIVO DI IMPUGNAZIONE
Premessa su questione processuale
Il giudizio di primo grado era stato introdotto anche verso la DITTA _________ Costruzioni s.r.l., tanto ciò è vero che la sentenza di primo grado (doc. 1 fascicoletto) la condannò solidalmente con il geom. PRIMO INTIMATO.
Quest’ultimo, appellante principale, dichiarò di evocare nel giudizio di secondo grado anche detta impresa (doc. 2 fascicoletto).
Di fatto, però, il geom. PRIMO INTIMATO non provvide alla notifica dell’atto di citazione in appello e di ciò, come visto sopra, dà atto espressamente la sentenza impugnata a pag. 7, 3° cpv.; di seguito la fotoriproduzione in parte qua:
[omissis]
Nonostante l’evidente difetto del contraddittorio, la sig.ra PRIMO RICORRENTE non ha un interesse giuridico per proporre un motivo di impugnazione sul punto, in quanto codesta Corte ha affermato (Cass. 2966/2020) che in caso di litisconsorzio processuale necessario, in tanto il ricorrente può dolersi del vizio processuale de quo, in quanto l’instaurazione del contraddittorio gli consenta di ottenere una pronuncia diversa e più favorevole nel giudizio di rinvio. Tuttavia, poiché l’appello incidentale della PRIMO RICORRENTE nei confronti della DITTA _________ Costruzioni e degli altri convenuti originari fu dichiarato inammissibile, siccome tardivamente proposto, l’eventuale instaurazione del contraddittorio con l’impresa appaltatrice non consentirebbe alla PRIMO RICORRENTE di ottenere una pronuncia “diversa e più favorevole”. Da qui la carenza di interesse ex art. 100 c.p.c.
* * *
MOTIVO UNICO ARTICOLATO IN PIU CENSURE: (A) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., sotto il profilo della motivazione in alcune parti apparente, in altre illogica e in altre ancora gravemente contraddittoria, in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c., con conseguente nullità della sentenza; (B) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, II° comma, c.c., art. 3, comma 2, Legge n. 1086/1971, ed art. 64, commi 3 e 5 DPR n. 380/2001, in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c.
Come preannunciato nel paragrafo I, con il presente motivo si intende censurare il capo della sentenza impugnata ove, in accoglimento dell’appello principale proposto del Geom. PRIMO INTIMATO, è stata esclusa la responsabilità contrattuale, o ai sensi dell’art. 1669 c.c., di quest’ultimo nella causazione, per omessa vigilanza, dei vizi afferenti l’immobile di proprietà della ricorrente, e conseguentemente rigettata la domanda risarcitoria proposta da quest’ultima nei suoi confronti, quale coobbligato solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c..
Va preliminarmente rilevato che l’eziologia dei difetti veniva attribuita all’utilizzo, da parte dell’Impresa costruttrice, di materiale scadente ed inidoneo (vd. ultimo capoverso di pagina 11 e primo capoverso di pagina 12 della sentenza ricorsa).
Essendo ovvio ed indiscutibile che, utilizzando il giudizio controfattuale (trattandosi di responsabilità omissiva), l’individuazione preventiva dell’inidoneità del materiale fornito dall’Impresa da parte del D.L. avrebbe sicuramente impedito il suo utilizzo e, conseguentemente, la realizzazione di pilastri e di un setto non a regola d’arte, la Corte territoriale doveva accertare e, pertanto, motivare se detta individuazione preventiva rientrasse o meno nei parametri di diligenza professionale richiesti ad un D.L. “modello”.
Ebbene, la Corte ha escluso la responsabilità del Geom. PRIMO INTIMATO o, meglio, ha ritenuto assolto l’onere probatorio, sullo stesso incombente, circa lo svolgimento con la diligenza professionale richiesta della propria attività, sulla base del seguente iter argomentativo:
- non rientrava nella condotta esigibile dal D.L. “modello” una sorveglianza costante e giornaliera del cantiere, mentre l’utilizzo di materiale difettoso da parte dell’Impresa costruttrice poteva essere rilevato dal D.L. solo presenziando continuamente sul cantiere e supervisionando tutte le attività della medesima;
- non era attività esigibile nemmeno il controllo della qualità dei materiali e, nella specie, del conglomerato cementizio, tanto più in quanto l’inidoneità di tali materiali non era percepibile “a vista”, ma solo tramite analisi chimiche;
- il Geom. PRIMO INTIMATO non aveva potuto effettuare gli accertamenti necessari all’individuazione dei vizi per l’impossibilità di portare a termine la fase di collaudo.
La ratio decidendi da noi rubricata sub a), si basa, in primo luogo, su un’interpretazione superficiale, parziale ed errata dell’indiscusso principio giurisprudenziale secondo cui il D.L. non debba supervisionare costantemente le opere presenziando giornalmente in cantiere.
La Suprema Corte, infatti, ha ripetutamente affermato (da ultimo con sentenza n. 7336/2019, qualificandolo come costante orientamento) che: “l’attività del direttore dei lavori per conto del committente … comporta comunque il controllo della realizzazione dell’opera nelle sua varie fasi e pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati (Cass. Sez. 2, 03/05/2016, n. 8700; Cass. Sez. 2, 24/04/2008, n. 10728; Cass. Sez. 2, 27/02/2006, n. 4366; Cass. Sez. 2, 20/07/2005, n. 15255)”.
In ragione di ciò, affermare sic et simpliciter che l’inidoneità del materiale non era percepibile se non con una (non esigibile) presenza in cantiere costante e giornaliera, costituisce un grave vizio motivazionale, non essendo, tale generica ed insufficiente argomentazione astratta, parametrata alla singola fase dell’appalto relativa alla realizzazione delle strutture portanti.
Ma anche a voler prescindere dalla grave carenza di cui sopra, la motivazione si appalesa, comunque, del tutto illogica e contraddittoria.
Al punto e) della sentenza ricorsa (pagg. 10 e 11), viene accertato ed affermato, sulla scorta della CTU, che i difetti interessavano 18 pilastri (quelli contrassegnati dalla sigla P10 e dai numeri dal 4 al 20 al piano terra) ed un’intera parete portante (il setto 12-7).
Ebbene, appare del tutto assurdo ed illogico affermare che un’attività edilizia così cospicua, e che ha interessato zone diverse dell’edificio, possa aver impegnato solo qualche giorno lavorativo e potesse essere accertabile, quindi, solo con una presenza costante e giornaliera in cantiere.
Ad ogni buon conto, a fronte dell’illustrata estensione del difetto, nonché della necessità di provare in modo pieno l’assenza di colpa del professionista (vigendo la presunzione di colpa dello stesso), risulta del tutto apodittica o comunque motivata in modo assolutamente e gravemente insufficiente, l’affermazione secondo cui l’idoneità del materiale di costruzione poteva essere rilevata dal D.L. solo “presenziando senza soluzione di continuità a tutte le attività dell’impresa”.
Trattasi, inoltre, di massima d’esperienza del tutto assurda ed implausibile poiché, si ripete, la realizzazione di 18 pilastri e di un’intera parete portante dell’edificio necessità di un lasso di tempo tale da permettere di imbattersi in tali attività edilizie anche con una presenza in cantiere discontinua e non costante.
* * *
Il secondo “pilastro” argomentativo è, a sua volta, diviso in due enunciazioni: la prima secondo cui l’attività di controllo dei materiali non rientrerebbe nei compiti di c.d. “alta vigilanza” del D.L., e la seconda, formulata ad abundantiam, con funzione meramente rafforzativa, in base alla quale il D.L. non avrebbe comunque potuto individuare il difetto dei materiali medesimi, essendo allo scopo necessario compiere delle analisi chimiche.
La prima enunciazione è viziata da violazione di legge, e nella specie degli artt. 1176, II° comma, c.c.,3, comma 2, Legge n. 1086/1971,e 64, commi 3 e 5, DPR n. 380/2001, essendo, infatti, contraria anche alla prevalente giurisprudenza dell’adita Suprema Corte.
La Seconda Sezione, con la già citata sentenza n. 7336/2019, ha ribadito che: “l’attività del direttore dei lavori … comporta … l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati.
Il precedente citato nella sentenza oggetto di ricorso (n. 4454/2012) è, infatti, del tutto isolato (risentendo, forse, della peculiarità della fattispecie concreta ivi scrutinata), e si pone in aperto contrasto con la sentenza n. 4366/2006 (citata nella decisione sopra trascritta) in cui si era attribuita al D.L. la responsabilità connessa proprio al mancato impedimento dell’utilizzo di materiali di cattiva qualità.
A ben vedere, poi, nella motivazione della citata Cass. Civ. n. 4454/2012 non si afferma affatto che il D.L. non sarebbe tenuto a controllare la qualità dei materiali tout court, ma che in quel caso era impossibilitato a farlo direttamente, essendo indispensabile l’esecuzione di analisi chimiche.
Quanto al richiamo, poi, della risalentissima Cass. Civ. n. 1818/1979, va osservato che essa riguardava una fattispecie anteriore alla legge 1086/1971, la quale all’art. 3, comma 2, stabilisce che “Il direttore dei lavori e il costruttore, ciascuno per la parte di sua competenza, hanno la responsabilità della rispondenza dell’opera al progetto, dell’osservanza delle prescrizioni di esecuzione del progetto, della qualità dei materiali impiegati, nonché, per quanto riguarda gli elementi prefabbricati, della posa in opera” (si veda, più di recente, l’analoga disposizione di cui all’art. 64 DPR n. 380/2001).
Alla luce di quanto sopra, non è attualmente revocabile in dubbio il dovere del D.L. di verificare anche i conglomerati cementizi, il che evidenzia come la Corte territoriale sia incorsa in una violazione di legge, non avendo sussunto siffatta attività di controllo nella fattispecie generale di cui all’art. 1176, II° comma, c.c., così come integrata dai commi 3 e 5 dell’art. 64 DPR n. 380/2001, che delimitano uno specifico e peculiare aspetto e contenuto della diligenza professionale del D.L. che si occupi di costruzioni.
Il citato comma 5, in particolare, dispone espressamente: “Il direttore dei lavori e il costruttore, ciascuno per la parte di sua competenza, hanno la responsabilità … della qualità dei materiali impiegati”, e, infatti, le norme tecniche di costruzioni vigenti all’epoca, ancorché nel periodo di esecuzione dei lavori de quibus in via meramente facoltativa, (D.M. 14/01/2008, disposizioni attuative del DPR n. 380/2001) disponevano al punto 11.2.3 che: “Il costruttore resta comunque responsabile della qualità del calcestruzzo, che sarà controllata dal Direttore dei Lavori, secondo le procedure di cui al § 11.2.5”.
Il successivo punto11.2.4 affermava, inoltre, che “È obbligo del Direttore dei Lavori prescrivere ulteriori prelievi rispetto al numero minimo, di cui ai successivi paragrafi, tutte le volte che variazioni di qualità e/o provenienza dei costituenti dell’impasto possano far presumere una variazione di qualità del calcestruzzo stesso, tale da non poter più essere considerato omogeneo”, ovverosia – aggiunge questa difesa – verificare se un carico anche di una singola betoniera poteva pregiudicare la qualità del calcestruzzo, come effettivamente avvenuto nella fattispecie concreta che ci occupa; il punto 11.2.5 stabiliva che il D.L. ha l’obbligo di eseguire controlli sistematici in corso d’opera per verificare la conformità delle caratteristiche del calcestruzzo messo in opera rispetto a quello stabilito dal progetto e sperimentalmente verificato in sede di valutazione preliminare.
A definitiva conferma di quanto appena argomentato, si evidenzia come la recentissima Cass. 8996/2022 ha confermato la decisione di secondo grado, che aveva condannato un D.L., scrivendo al punto 6.2. che “il giudice del rinvio … ha affermato la responsabilità del direttore dei lavori correlata alla cattiva esecuzione delle opere sulla cui esecuzione e uso del materiale cementizio il ricorrente, quale direttore dei lavori, avrebbe dovuto vigilare quale tecnico e persona di fiducia del committente, e la conseguente sua negligenza nella vigilanza richiesta nella direzione dei lavori, posto che si trattava di una responsabilità collegata al mancato espletamento di una attività da ritenersi “elemento essenziale per la statica delle costruzioni“, citando all’uopo le norme coinvolte, i relativi principi di diritto richiamati dalla stessa Corte di cassazione attinenti alla fattispecie in esame, nonché la circostanza che il direttore dei lavori, per esonerarsi dalla sua responsabilità, non avesse dato prova di contestazione tempestiva agli appaltatori delle modalità di esecuzione delle opere eseguite, né avesse rinunciato all’incarico”.
In quella decisione, codesta Corte ha condiviso l’affermazione del giudice d’appello secondo cui “la cattiva esecuzione delle opere e la conseguente negligenza della vigilanza del direttore dei lavori era desumibile dalle CTU espletate in primo grado, essendo oltretutto prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 64, la presenza del direttore dei lavori per le opere in conglomerato cementizio armato, rispondendo egli in solido con gli appaltatori e con il committente”.
Fermo quanto sopra, appare comunque indubbio che nei c.d. “compiti di alta vigilanza” del D.L. debba ritenersi compresa l’attività di verifica della qualità ed idoneità dei materiali con i quali vengono costruiti gli elementi di natura portante, avente funzione strutturale dell’immobile, stante la fondamentale e rilevantissima importanza di tali elementi costruttivi, che assolvono alla funzione principale di un immobile e ne assicurano la sicurezza e durabilità nel tempo.
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La seconda enunciazione “rafforzativa”, che probabilmente è solo il frutto di una pigra e non meditata trascrizione letterale dell’obiter dictum contenuto nella citata Cass. Civ. n. 4454/2012, è del tutto inconferente con la fattispecie concreta che ci occupa, e si pone in un insanabile contrato con gli accertamenti di fatto compiuti, rendendo la motivazione incomprensibile, contraddittoria ed illogica.
Il Giudice a quo, infatti, all’inizio di pagina 11 della sentenza, riferisce come il CTU avesse accertato che il calcestruzzo con cui erano stati realizzate le parti difettose era “privo di inerti di pezzatura media e grossa”, per cui il vizio atteneva a caratteristiche puramente morfologiche e dimensionali degli inerti, e non chimiche (relative, cioè, alla composizione molecolare dell’impasto).
Per la precisione il CTU aveva affermato quanto segue alla pag. 24 (doc. 3 fascicoletto): “Nel caso specifico, quello che è accaduto nel cantiere in questione, sulla scorta delle risultanze della qualità del cls riscontrate attraverso le prove eseguite nel Laboratorio Ufficiale dell’Università di Catania, riguarda la totale assenza di inerti di pezzatura media e grossa che caratterizzano proprio il calcestruzzo. In concreto, ritiene lo scrivente di poter affermare che è arrivata in cantiere una betoniera il cui conglomerato era costituito da un impasto di acqua, sabbia (inerte fine) e cemento, assolutamente inadatto ad essere denominato calcestruzzo di tipo strutturale”.
In ragione di ciò, affermare successivamente che dette caratteristiche morfologiche (per loro natura accertabili “a vista”, quantomeno per un “occhio esperto”) non fossero riscontrabili direttamente tramite l’esame del materiale, ma solo ricorrendo ad analisi chimiche dello stesso (che nulla avrebbero potuto dire sulla dimensione degli inerti analizzati) è macroscopicamente illogica.
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La terza ed ultima ratio decidendi è del tutto inconferente e contraria anche alla più elementare logica argomentativa: la responsabilità omissiva addebitata al D.L. consisteva nel non aver impedito, avendo l’obbligo contrattuale di farlo, l’utilizzo di materiali inadeguati per la costruzione di alcune parti strutturali dell’edificio, ovverosia di non aver prevenuto la sussistenza dei difetti lamentati dall’odierna ricorrente.
Ebbene, la circostanza che il D.L. non fosse stato messo in grado ex post di accertare l’esistenza dei difetti che ormai già affliggevano i pilastri ed il setto oggetto di causa non può in alcun modo giustificare, escludere o anche solo attenuare la colpa afferente alla precedente condotta omissiva, riguardando evidentemente un impedimento non inerente alla possibilità di compiere l’attività che si assume omessa ed insorto successivamente al verificarsi delle conseguenze negative dell’attività materiale non impedita.
Risulta indiscutibilmente irrazionale, infatti, affermare, come fa la Corte catanese, che la negligenza ed imperizia di un comportamento omissivo sarebbero escluse dal fatto che sia poi successivamente impedito all’agente di controllare le conseguenze negative, ormai verificatesi, della propria precedente omissione.
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Concludendo e ricapitolando, quindi, l’apparato argomentativo in base al quale è stata accolta l’impugnazione proposta dal Geom. PRIMO INTIMATO, e conseguentemente rigettata la domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti, è manifestamente inferiore al c.d. “minimo costituzionale”, essendo costituito da enunciazioni manifestamente illogiche e contraddittorie, o prive di motivazione, nonché fondato, in parte, sull’errata mancata sussunzione dell’attività di verifica dei materiali costruttivi nella fattispecie generale della diligenza professionale esigibile da un D.L. ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c., come integrata e specificata dall’art. 64 del Testo Unico dell’Edilizia.
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Tanto premesso, lo scrivente difensore rassegna le seguenti
CONCLUSIONI
Piaccia all’On.le Corte di Cassazione, cassare la sentenza n. ______, pubblicata il giorno _________ del _________, emessa dalla Corte di Appello di _______ a definizione del giudizio n. R.G. ________, con vittoria di spese e compensi di ogni grado di giudizio.
PRODUZIONI
ATTI:
- File .eml contenente il ricorso notificato telematicamente come .pdf nativo, firmato digitalmente in CADES, unitamente alla procura speciale rilasciata in data ________, ed alla relata di notifica, unitamente alle ricevute di accettazione e di consegna;
- Copia per immagine del ricorso in originale, notificato a mezzo del servizio postale al sig. DI _________, con allegata procura speciale, munito di relata di notifica, ricevuta di spedizione, avviso di ricevimento e attestazione di conformità;
- Copia per immagine della procura speciale rilasciata in data _________, attestata conforme all’originale analogico;
- Copia informatica attestata conforme della sentenza n. ____, pubblicata il giorno _________, emessa dalla Corte di Appello di _________ a definizione del giudizio n. R.G. _________;
- File .eml contenente la notifica della sentenza n. _________, pubblicata il giorno _________, emessa dalla Corte di Appello di _________, effettuata dall’Avv. _________in data _________;
- Copia informatica attestata conforme della richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369 c.p.c. vidimata dal cancelliere della Corte d’Appello di _________;
- Autorizzazione alla notifica in proprio.
ATTI E DOCUMENTI SU CUI IL RICORSO SI FONDA
- Sentenza Tribunale di Catania n. _________
- Atto di appello geom. PRIMO INTIMATO
- CTU dott. Ing. _________
Senigallia, 01.07.2022
Avv. Mirco Minardi
[1] Con il proprio appello incidentale, Di _________ si doleva dell’impugnata sentenza per i seguenti motivi: 1) erronea attribuzione, ad esso Di ________, della chiamata in causa -in manleva- della _____, e conseguente erronea condanna (anche) di esso appellante incidentale alla refusione delle spese di lite in favore della _______; 2) erronea liquidazione dell’entità delle spese di lite in favore di esso Di _________, per omessa inclusione, tra tali spese, della fase istruttoria.
A sua volta, PRIMO RICORRENTE con il proprio appello incidentale censurava l’impugnata sentenza formulando vari motivi, ma lo stesso appello incidentale (tardivo ex art. 334 c.p.c.) era ritenuto inammissibile, perché formulato con la comparsa di risposta depositata il giorno 8 settembre 2021 e, pertanto, oltre il termine decadenziale (arti. 333, 343 e 166 c.p.c.) di venti giorni prima dell’udienza di prima comparizione, indicata nella citazione di appello per il giorno 27 settembre 2021 (lunedì), a nulla rilevando – sul punto – il fatto che la prima udienza sia stata effettivamente tenuta il successivo 28 settembre 2021 (martedì), primo giorno al riguardo utile per il primo collegio di questa sezione.
[2] Il Di ______________ si doleva: a) della sua condanna alla refusione delle spese processuali di primo grado in favore della _____, poiché la chiamata in garanzia risulta effettuata solo da Di _______, nonché b) della mancata liquidazione -nella condanna alla refusione delle spese processuali di primo grado a carico della PRIMO RICORRENTE e in favore (anche) di esso Di _________ della fase istruttoria, risultando depositata in atti la memoria istruttoria del 22.1.2016. Le censure in esame erano ritenute fondate in quanto nell’unica comparsa di costituzione depositata, in primo grado, da Di ________ e Di ________, la chiamata in garanzia (della ________) risulta effettuata solo dal primo (pagina 4); nel corso del giudizio di primo grado è stata depositata, in data 22.1.2016, la nota istruttoria del terzo termine in favore dei Di ________.

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