Questa settimana è dedicata alla problematica del frazionamento del credito. E’ ormai noto che con la sentenza n. 23726/2007, le Sezioni Unite, ribaltando una precedente pronuncia sempre a Sezioni Unite (108/2000), hanno affermato il divieto di frazionare il credito e quindi di poter agire separatamente sia contestualmente, sia consequenzialmente.
Le motivazioni della Corte, in sintesi sono queste.
- La soluzione adottata dalla pronuncia del 2000 deve essere rivista alla luce del canone del giusto processo e della valorizzazione della regola di correttezza e buona fede;
- In particolare l’obbligo di comportarsi secondo corretteza e buona fede deriva dall’art. 2 dellla costituzione che sancisce gli inderogabili doveri di solidarietà.
- Il processo non può essere giusto ove sia frutto di abusi, attraverso l’esercizio in forme eccedenti e devianti rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale.
- Il criterio di buona fede autorizza il giudice a modificare o integrare il negozio giuridico e ciò vale anche nella fase giudiziale.
- La parcellizzazione del credito danneggia la posizione del debitore sia perchè prolunga il vincolo coattivo, sia per il profilo dell’aggravio di spese e dell’onere di molteplici opposizioni (per evitare la formazione di un giudicato pregiudizievole) cui il debitore dovrebbe sottostare, a fronte della moltiplicazione di (contestuali) iniziative giudiziarie, come nel caso dei processi a quibus.
- La parcellizzazione inoltre costituisce anche un abuso del processo, che comporta anche il rischio di giudicati contraddittori.
- Infine, l’effetto inflattivo riconducibile ad una moltiplicazione di giudizi sarebbe in contrasto rispetto all’obiettivo, costituzionalizzato nello stesso art. 111 Cost., della “ragionevole durata del processo“, per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata.
Cassazione civile , sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726
Fatto-Diritto
1. Con quattro distinti ricorsi (R.G. nn. da 13142 a 13145/05), la Au. s.r.l. ha impugnato per cassazione le sentenze da n. 28 a 31 del 28 febbraio 2005, con le quali il Giudice di Pace di Giulianova – in parziale accoglimento di altrettanti opposizioni proposte dalla DE…… s.n.c. avverso i decreti ingiuntivi (dell’importo, rispettivamente, di Euro 825,70, Euro 902,80, Euro 985,60 ed Euro 984,00) emessi in favore di essa società ricorrente – ha confermato, nel merito, la condanna della medesima opponente al pagamento delle somme portate dai singoli provvedimenti monitori, previa revoca, però, dei decreti opposti – dichiarati nulli, in condivisione della tesi della DE……, per cui sarebbe stato contrario a buona fede e correttezza da parte della società opposta aver chiesto ed ottenuto un distinto decreto ingiuntivo per ogni fattura (o gruppo di fatture) non pagata, ben potendo essa chiedere un solo decreto ingiuntivo per la totalità del preteso credito – ed ha compensato, quindi, le spese di lite, in ragione appunto della reciproca soccombenza.
Con i due motivi, di cui si compone ciascuno dei quattro riferiti ricorsi la Au., rispettivamente, denuncia ora violazioni di legge (artt. 1175, 1374, 1181 c.c.; art. 633 c.p.c.) e vizi di motivazione, sostenendo che il G. di P. abbia, in primo luogo, errato, in linea di principio, con il ritenere contraria a correttezza e buona fede la parcellizzazione in plurime e distinte domande di un unico credito pecuniario; ed abbia altresì, in fatto, poi del pari errato nel non rilevare che, nella specie, non si trattava comunque di un unico credito ma di crediti distinti e diversi per ciascuna fattura posta a base delle istanze monitorie.
Resiste in tutti i giudizi, la DE….., in ciascuno preliminarmente eccependo l’inammissibilità del ricorso avversario, sul rilievo che, alla domanda azionata in sede monitoria dalla Au. s.r.l., si sarebbe aggiunta quella risarcitoria da essa proposta, con superamento, quindi, del limite di valore delle controversie entro il quale soltanto sarebbe possibile ricorrere direttamente per cassazione.
Con ordinanza interlocutoria 21 maggio 2007 della Sezione Terza, i quattro giudizi, previa loro riunione, sono stati rimessi al Primo Presidente che li ha quindi assegnati a queste Sezioni Unite, per risolvere la questione di massima – sottesa al primo motivo dei ricorsi, e ritenuta comunque di particolare importanza – “se sia consentito al creditore chiedere giudizialmente l’adempimento frazionato di una prestazione originariamente unica, perchè fondata sullo stesso supporto”.
2. Per la sua natura pregiudiziale, va, però, esaminata preliminarmente la formulata eccezione di inammissibilità dei ricorsi.
La quale non è però fondata.
E ciò per l’assorbente considerazione che l’istanza risarcitoria, formulata dalla DE…nei giudizi a quibus in ragione della dedotta “malafede processuale” ravvisata nel frazionamento del credito operato, da controparte, non è altrimenti configurabile che come domanda di condanna dell’avversario per lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c., per cui attiene, propriamente ed esclusivamente, al profilo del regolamento delle spese processuali e non incide, quindi, sul valore della controversia che resta perciò contenuto, in ciascuno dei su riferiti giudizi, nel limite di valore entro il quale il G. d. P. decide (ex art. 113 c.p.c.) secondo equità, con conseguente diretta ricorribilità, appunto, delle correlative decisioni, direttamente in Cassazione.
3. Può quindi passarsi all’esame della questione di massima devoluta a queste Sezioni Unite.
La quale, qui, per altro, rileva unicamente con riguardo alla pronuncia del G. di P. sulle spese – per il profilo della loro mancata attribuzione alla Au., per sua parziale soccombenza – e non anche ala statuizione di accoglimento, e di presupposta ammissibilità dell’esame, delle domande di pagamento frazionato del credito, in ordine alla quale non è stata proposta impugnazione incidentale da parte dell’odierna resistente.
4. Con la sentenza n. 108 del 2000, in sede di composizione di precedente contrasto, queste Sezioni Unite si sono, per altro, già pronunziate, in senso affermativo, sul tema della frazionalità della tutela giudiziaria del credito. Ritenendo, in quella occasione, “ammissibile la domanda giudiziale con la quale il creditore di una determinata somma, derivante dall’inadempimento di un unico rapporto, chieda un adempimento parziale, con riserva di azione per il residuo, trattandosi di un potere non negato dall’ordinamento e rispondente ad un interesse del creditore, meritevole di tutela, e che non sacrifica, in alcun modo, il diritto del debitore alla difesa delle proprie ragioni”.
5. Nel rimeditare questa soluzione – come sollecitato con la su riferita ordinanza di rimessione – il Collegio ritiene ora però di non poterla mantenere ferma, in un quadro normativo nel frattempo evolutosi nella duplice direzione, sia di una sempre più accentuata e pervasiva valorizzazione della regola di correttezza e buona fede – siccome specificativa (nel contesto del rapporto obbligatorio) degli “inderogabili doveri di solidarietà”, il cui adempimento è richiesto dall’art. 2 Cost. – sia in relazione al canone del “giusto processo”, di cui al novellato art. 111 Cost..
In relazione al quale si impone una lettura “adeguata” della normativa di riferimento (in particolare dell’art. 88 c.p.c.), nel senso del suo allineamento al duplice obiettivo della “ragionevolezza della durata” del procedimento e della “giustezza” del “processo”, inteso come risultato finale (della risposta cioè alla domanda della parte), che “giusto” non potrebbe essere ove frutto di abuso, appunto, del processo, per esercizio dell’azione in forme eccedenti, o devianti, rispetto alla tutela dell’interesse sostanziale, che segna il limite, oltrechè la ragione dell’attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi.
5/1. Per il primo profilo, viene in rilievo l’ormai acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce all’un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale (cfr., sull’emersione di questa linea di indirizzo, Cass. sez. 1^ n. 3775/94; Id. n. 10511/99; Sez. un. 18128/2005).
Se, infatti, si è pervenuti, in questa prospettiva, ad affermare che il criterio della buona fede costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi (cfr., in particolare, nn. 3775/94 e 10511/99 citt.), a maggior ragione deve ora riconoscersi che un siffatto originario equilibrio del rapporto obbligatorio, in coerenza a quel principio, debba essere mantenuto fermo in ogni successiva fase, anche giudiziale, dello stesso (cfr. Sez. 3^ n. 13345/06) e non possa quindi essere alterato, ad iniziativa del creditore, in danno del debitore.
Il che, però, è quanto, appunto, accadrebbe in caso di consentita parcellizzazione giudiziale dell’adempimento del credito. Della quale non può escludersi la incidenza, in senso pregiudizievole, o comunque peggiorativo, sulla posizione del debitore: sia per il profilo del prolungamento del vincolo coattivo cui egli dovrebbe sottostare per liberarsi della obbligazione nella sua interezza, ove il credito sia nei suoi confronti azionato inizialmente solo pro quota con riserva di azione per il residuo come propriamente nel caso esaminato dalla citata Sez. un. n. 108/00 cit., in cui la richiesta di pagamento per frazione era finalizzata ad adire un giudice inferiore rispetto a quello che sarebbe stato competente a conoscere dell’intero credito, sia per il profilo dell’aggravio di spese e dell’onere di molteplici opposizioni (per evitare la formazione di un giudicato pregiudizievole) cui il debitore dovrebbe sottostare, a fronte della moltiplicazione di (contestuali) iniziative giudiziarie, come nel caso dei processi a quibus.
Non rilevando in contrario che il frazionamento del credito, come in precedenza affermato, possa rispondere ad un interesse non necessariamente emulativo del creditore (come quello appunto di adire un giudice inferiore, più celere nella soluzione delle controversie, confidando nell’adempimento spontaneo da parte del debitore del residuo debito), poichè – a parte la pertinenza di tale considerazione alla sola ipotesi (di cui alla sentenza 108/00) del frazionamento non contestuale – è decisivo il rilievo che resterebbe comunque lesiva del principio di buona fede, nel senso sopra precisato, la scissione del contenuto della obbligazione operata dal creditore, per esclusiva propria utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del suo debitore.
Ad evitare la quale neppure è persuasiva, infine, la considerazione che “il debitore potrebbe ricorrere alla messa in mora del creditore, offrendo l’intera somma”, non essendo tale soluzione praticabile ove, come possibile, il debitore non ritenga di essere tale.
5/2. Oltre a violare, per quanto sin qui detto, il generale dovere di correttezza e buona fede, la disarticolazione, da parte del creditore, dell’unità sostanziale del rapporto (sia pur nella fase patologica della coazione all’adempimento), in quanto attuata nel processo e tramite il processo, si risolve automaticamente anche in abuso dello stesso.
Risultando già per ciò solo la parcellizzazione giudiziale del credito non in linea con il precetto inderogabile (cui l’interpretazione della normativa processuale deve viceversa uniformarsi) del processo giusto.
Ulteriore vulnus al quale deriverebbe, all’evidenza, dalla formazione di giudicati (praticamente) contraddittori cui potrebbe dar luogo la pluralità di iniziative giudiziarie collegate allo stesso rapporto.
Mentre l’effetto inflattivo riconducebile ad una siffatta (ove consentita) moltiplicazione di giudizi ne evoca ancora altro aspetto di non adeguatezza rispetto all’obiettivo, costituzionalizzato nello stesso art. 111 Cost., della “ragionevole durata del processo”, per l’evidente antinomia che esiste tra la moltiplicazione dei processi e la possibilità di contenimento della correlativa durata.
5/3. L’esaminato primo motivo del ricorso va quindi respinto, enunciandosi, in ordine alla questione di massima ad esso sotteso, il principio (con il quale risulta in linea la sentenza impugnata) per cui è contraria alla regola generale di correttezza e buona fede, in relazione al dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e si risolve in abuso del processo (ostativo all’esame della domanda), il frazionamento giudiziale (contestuale o sequenziale) di un credito unitario.
6. A sua volta inammissibile, per difetto di autosufficienza, è il residuo secondo mezzo del ricorso, nel quale nessuna indicazione è fornita in ordine alle fonti pretesamente “distinte” dei crediti che si assumono azionati con i decreti di che trattasi.
7. Il ricorso va integralmente pertanto respinto.
8. L’esistenza di un difforme orientamento giurisprudenziale in ordine alla questione principale dibattuta nel presente giudizio, giustifica la compensazione delle spese correlative tra le parti.
P.Q.M
La Corte respinge il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2007
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Scrivo per segnalare un caso limite che mi è capitato con il Tribunale di Milano proprio in materia di eccezione di tardività di un’opposizione ex art. 615 c.p.c.
Ex parte creditoris mi sono costituito in un giudizio di opposizione a D.I. che, secondo le risultanze della Consolle Avvocato, risulta essere stata iscritta tardivamente: ciò in quanto la “data evento” dell’iscrizione e la “data registrazione evento” riportano un data successiva al termine utile di 10 giorni dalla notifica per la tempestiva iscrizione a ruolo dell’opposizione (il termine utile scadeva il 3/4/2023, mentre sulla consolle vi risulta, per enrambe gli accennati eventi/adempimenti di Cancelleria, quella del 5/4/2023); sulla scoart di tale risultanza dela fascicolo telematico ho, quindi, sollevato pregiudiziale eccezione di improcedibilità dell’opposizione per tardiva iscrizione a ruolo e costituzione in giudizio dell’attore opponente.
All’udienza tenutasi pochi giorni fa per trattare la preliminare istanza avversaria di sospensione degli effetti esecutivi del D.I. ex art. 649 c.p.c., il giudice assegnatario del fascicolo mi ha segnalato che, diversamente da quanto registrato dalla Cancelleria, la busta telematica dell’oppoiszione risulta essere stata trasmessa tempestivamente dall’opponente, in data 3/4/2023 e che l’errata indicazione risultante dalla Consolle era l’effetto di un “endemico” (e a quanto pare, irrisolvibile) ritardo del ruolo generale nella registrazione delle iscrizioni a ruolo di tutti i proedimenti civili, per cui la mia eccezione risultava inaccoglibile.
Poiché per chi si costituisce in giudizio non è possibile verificare la tempestività della iscrizione a ruolo, in quanto la Cancelleria non inserisce nel fascicolo telmatico la copia delle ricevute di trasmissione di consegna della busta, è mai possibile accettare la conclusione che le attestazioni del fascicolo telematico, di provenineza dall’ufficio di Cancelleria, siano da considerarre necessariamente inaffidabili e possano essere così facilmente risolte a danno del creditore opposto? E’ mai possibile, giusto ed equo che la parte che formua determinate eccezioni processuali importanti e decisive – come quella qui in commento – confidando nella veridicità ed esattezza di tali attestazioni, possa essere così facilmente paralizzata nella sua iniziativa e la sua eccezione respinta sulla base di documentazione che essa non è stata in grado di verificare preliminarmente? E’ mai possibile che, dunque, il convenuto opposto si veda costretto a formulare eccezioni di improcedibilità “al buio” che assomigliano molto ad un gioco d’azzardo, piuttosto che alla corretta esplicazione di poteri e diritti processuali? Capisco che, secondo la normativa vigente in materia di PCT, per colui che formula l’opposizione, la tempestività della stessa sia attestata dalla data e l’ora in cui viene generato il messaggio PEC di “avvenuta consegna” all’Ufficio Giudiziario della busta, ma, per le ragioni testè evidenziate, mi pare assurdo che l’altra parte sia messa in oggettive condizioni di difficoltà e che le attestazioni rilasciate da un Pubblico Ufficio non possano essere correttamente invocate per la tutela delle proprie ragioni. Ennessima prova che il nostro non è più la “patria del diritto”, bensì quella del “rovescio”?
Avv. Ferruccio Orlandi