L’onere della prova

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L’avvocato dell’attore, ogni volta che inizia una causa, deve porsi due domande fondamentali: 

  1. quali sono i fatti rilevanti di causa che devo allegare in giudizio?
  2. quali sono i fatti che devo provare in giudizio?

Egli sa che una volta iniziata la causa il giudice dovrà prendere una decisione in un senso o nell’altro:

a) o i fatti a sostegno dell’azione sono provati e allora il giudice (può) accoglie(re) la domanda;
b) o i fatti non sono provati e allora rigetterà la domanda.

Non c’è una terza possibilità. Il giudice non può emettere una sentenza interlocutoria in attesa che l’attore trovi le prove di quanto afferma. Si tratta del cosiddetto divieto di “non liquet”. E una volta rigettata la domanda per mancanza di prova non sarà più possibile agire con la stessa domanda, nemmeno qualora sopraggiunga la prova, salvi i casi di revocazione ex art. 395 c.p.c..

Partiamo allora dalla norma fondamentale in tema di prova e cioè dall’art. 2697 del codice civile, il quale recita così:

Onere della prova.
[I]. Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
[II]. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

Il primo comma detta la regola per l’attore (o per qualunque parte che introduca una domanda nel processo): se vuoi far valere il tuo diritto devi (nel senso di: ha l’onere di) provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Il secondo comma regola la posizione del convenuto (o di chiunque introduca nel processo una eccezione basata su fatti estintivi, modificativi, impeditivi).

Il rischio della mancata prova ricade sul soggetto che aveva l’onere di provare i fatti costitutivi, estintivi, impeditivi e modificativi (l’attore per le domande; il convenuto per le eccezioni).

Occorre subito dire, però, che si tratta di un onere imperfetto; vediamo perché.

a) il giudice può ricavare elementi di prova a prescindere dal soggetto che ha introdotto i fatti nel processo (c.d. principio dell’acquisizione);
b) il giudice può formare il suo convincimento ricorrendo a presunzioni;
c)il giudice, in alcuni casi, può ammettere d’ufficio mezzi di prova.
d) il giudice può ricavare elementi dall’atteggiamento non contestante dell’altra parte.

Questi quattro casi rappresentano un contemperamento al principio dell’onere della prova.

Ma ritorniamo al meccanismo di cui all’art. 2697. La norma sembra chiara, eppure sfogliando i repertori di giurisprudenza ci accorgiamo che non è sempre così semplice capire “chi”deve provare “cosa”.

Pensiamo alle ipotesi di responsabilità contrattuale. Fino alla famosa sentenza delle S.U. n. 13533/2001 si riteneva che l’attore che agisse per l’adempimento avesse l’onere di provare solo il fatto costitutivo, dovendo semplicemente allegare, e non provare, l’inadempimento; mentre laddove avesse agito per ottenere la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno avrebbe avuto anche l’onere di provare l’inadempimento.

Con la famosa sentenza sopra citata, invece, le Sezioni Unite stabilirono che in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.

Eguale criterio di riparto dell’onere della prova, affermarono le S.U., deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione).

Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.

Solo nell’ipotesi di inadempimento delle obbligazioni negative la prova dell’inadempimento è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento e non per la risoluzione o il risarcimento. Affermano infatti le S.U. che ove sia dedotta la violazione di una obbligazione di non fare, la prova dell’inadempimento è sempre a carico del creditore, anche nel caso in cui agisca per l’adempimento. Il diverso regime è giustificato per le S.U. dalle seguenti considerazioni. Ai sensi dell’art. 1222 c.c., ogni fatto compiuto in violazione di obbligazioni di non fare costituisce di per sè inadempimento. L’inadempimento di siffatte obbligazioni integra un fatto positivo e non già un fatto negativo come avviene per le obbligazioni di dare o di fare. Comune presupposto dei rimedi previsti dall’art. 1453 c.c. è quindi un inadempimento costituito da un fatto positivo (l’esecuzione di una costruzione, lo svolgimento di una attività). Non opera quindi, qualora il creditore agisca per l’adempimento, richiedendo l’eliminazione delle modificazioni della realtà materiale poste in essere in violazione dell’obbligo di non fare, ovvero la risoluzione o il risarcimento, nel caso di violazioni con effetti irreversibili, il principio della persistenza del diritto insoddisfatto, perché nel caso di obbligazioni negative il diritto nasce soddisfatto e ciò che viene in considerazione è la sua successiva violazione, nè sussistono le esigenze pratiche determinate dalla difficoltà di fornire la prova di fatti negativi sulle quali si fonda il principio di riferibilità della prova, dal momento che l’inadempimento dell’obbligazione negativa ha natura di fatto positivo.

 


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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