Nel caso deciso da Cass. 24284/2016, veniva in considerazione un appalto di servizi, per il quale il diritto alla revisione era espressamente previsto e disciplinato da apposita clausola contrattuale. In base a detta clausola la revisione doveva essere attuata sulla base delle variazioni di alcuni parametri risultanti da alcune elaborazioni dell’I.S.T.A.T..
Il giudice di merito aveva rigettato la domanda, affermando che la società non aveva fornito la prova dei fatti posti a fondamento della propria pretesa, essendosi limitata a chiedere una CTU.
Per la S.C. detta affermazione si risolve in una sorta di inammissibile “non liquet”.
Osserva anzitutto il Giudice di legittimità che l’applicazione dei principi relativi all’onere della prova non può prescindere dalla specifica natura del diritto vantato e dalle modalità, previste dalla legge o dal contratto, con le quali lo stesso deve trovare attuazione.
In altri termini, non essendo in discussione il diritto alla revisione, nei termini fissati da apposite clausole contrattuali, si trattava di procedere alla quantificazione di quanto eventualmente spettante, sulla base di parametri da verificarsi su un piano essenzialmente valutativo.
Sotto tale profilo, la Corte non condivide l’assunto della corte distrettuale secondo cui la consulenza tecnica d’ufficio, richiesta dalla ricorrente per accertare l’entità delle somme dovute, sarebbe stata diretta “ad un inammissibile reperimento della prova”.
La S.C. ribadisce che il principio secondo il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa; ne consegue che, quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo (Cass. 3 gennaio 2011, n. 72).
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