Giudizio d’appello: art. 346 e mezzi di prova.

Mirco Minardi

Il problema è questo. Supponiamo che svoltasi l’istruttoria con l’assunzione delle prove A, B, C, D, E il giudice accolga la domanda ritenendo decisiva la prova A e superflue o irrilevanti le prove B, C, D, ed E.
L’appellato vincitore, è tenuto a riproporre all’attenzione del giudice d’appello tutte le prove, anche quelle ritenute superflue o irrilevanti?

La risposta è NO. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’art. 346 c.p.c., nel considerare rinunciate le domande ed eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado (o perché respinto o perché non esaminate) si riferisce a quelle ragioni delle parti in cui il giudice non può pronunciarsi se ne manchi l’allegazione ad opera delle stesse parti, e non riguarda i fatti dedotti dalle parti a fondamento della domanda o della eccezione nè le inerenti deduzioni probatorie, che, sottoposti al giudice di primo grado, tornano a costituire oggetto di esame, valutazione ad accertamento da parte del giudice di appello, in quanto questi, a causa della impugnazione, torna a doversi pronunciare sulla domanda accolta o sulla eccezione respinta e quindi a dover esaminare fatti, allegazioni probatorie e ragioni giuridiche già dedotte in primo grado e rilevanti ai fini del giudizio sulla domanda o sull’eccezione” (Cass., sez. III, 19 giugno 1993, n. 6843, m. 482829, Cass., sez. II, 27 novembre 1999, n. 13270, m. 531582, Cass., sez. II, 6 aprile 2000, n. 4322, m. 535390, Cass., sez. V, 23 aprile 2002, n. 5895, m. 553941).

Occorre infatti distinguere tra i fatti costitutivi del diritto postulato con la domanda e i fatti dedotti quali fonti di prova dall’esistenza del diritto vantato. Se manca l’indicazione dei fatti costitutivi del diritto postulato, la domanda è indeterminata; se manca l’indicazione della prova la domanda è infondata. Ma solo i fatti costitutivi del diritto, quando siano plurimi, debbono essere riproposti in appello dalla parte vittoriosa che li aveva dedotti, quando il giudice di primo grado abbia accolto la domanda sulla base di uno di essi, ritenendo assorbiti gli altri (Cass., sez. I, 9 aprile 1983, n. 2520, m. 427383, Cass., sez. III, 23 ottobre 1999, n. 4303, m. 463918). I plurimi elementi di prova, quand’anche ritenuti in parte superflui dal giudice di primo grado, debbono invece essere valutati tutti dal giudice d’appello anche in mancanza di specifiche deduzione dell’appellato, perché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, “secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro e, quindi, senza che possa escludersi l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte” (Cass., sez. III, 25 settembre 1998, n. 9592, m. 519152).

Cassazione civile , sez. I, 12 settembre 2003, n. 13430

Fatto

Con atto di citazione notificato il 12 maggio 1992 il curatore del fallimento della Pons e Cantamessa s.p.a., dichiarato il 27 marzo 1991, propose azione revocatoria fallimentare nei confronti del Banco di Santo Spirito, cui successe poi la Banca di Roma s.p.a., chiedendo la dichiarazione d’inefficacia di pagamenti per L. 2.839.688.495 eseguiti da parte della società fallita mediante rimesse sul conto corrente aperto presso la banca convenuta.
Dedusse l’attore, a norma dell’art. 67 comma 2 legge fall., che le rimesse erano state effettuate nell’anno precedente la dichiarazione del fallimento, per di più successivamente alla stessa revoca dell’apertura di credito di cui la società poi fallita godeva; e che la consapevolezza da parte della banca dello stato di insolvenza della Pons e Cantamessa s.p.a. si desumeva dai seguenti dati:
a) il bilancio ufficiale al 31 dicembre 1989 evidenziava gravi problemi patrimoniali, finanziari ed economici;
b) molte banche avevano revocato sin dall’8 giugno 1990 i fidi concessi alla Pons e Cantamessa s.p.a., mentre altre banche già in precedenza avevano ridotto ai limiti delle disponibilità attive l’utilizzabilità dei conti;
c) nell’agosto 1990 erano risultati privi di copertura due assegni bancari per complessive L. 500.000.000 tratti dalla Pons e Cantamessa s.p.a. sul suo conto presso l’Istituto bancario San Paolo di Torino e versati sul conto della stessa società presso la Banca nazionale del lavoro;
d) dal 14 novembre 1990 numerosi protesti erano stati elevati sia nei confronti della Pons e Cantamessa s.p.a. sia nei confronti della società controllante Iniziative finanziarie s.p.a.;
e) nel dicembre 1990 numerose banche avevano intrapreso azioni esecutive sia nei confronti della Pons e Cantamessa s.p.a. sia nei confronti dei soci Iniziative finanziarie s.p.a. e Galmarini.
Disposta una consulenza contabile interpretativa del bilancio al 31 dicembre 1989, il Tribunale di Torino accolse la domanda, rilevando come da quel bilancio appunto si denumesse la prova che la banca convenuta fosse consapevole dello stato di insolvenza della Pons e Cantamessa s.p.a., e condannò quindi la Banca di Roma s.p.a. al pagamento della somma di L. 1.737.234.902, oltre interessi.
La sentenza, appellata dalla convenuta soccombente, fu però riformata dalla Corte d’appello di Torino, che respinse la domanda proposta dalla curatela fallimentare.
Ritennero i giudici d’appello:
a) dei cinque dati di fatto posti originariamente a fondamento della domanda, il tribunale aveva preso in considerazione solo quello relativo al bilancio di esercizio della società fallita, sicché per gli altri era intervenuta rinuncia da parte dell’attore appellato, che non li aveva riproposti nel giudizio d’appello;
b) non v’è prova dell’affettiva conoscenza da parte della banca del bilancio al 31 dicembre 1989 della società poi fallita e, comunque, la lettura di quel solo documento non sarebbe stata sufficiente a rendere conto dello stato di dissesto della Pons e Cantamessa s.p.a., ma sarebbe stata necessaria la consultazione anche del bilancio della controllante Iniziative finanziarie s.p.a., della cui conoscenza da parte della banca manca la prova.
Contro la sentenza ricorre ora per cassazione il curatore del fallimento, che propone due motivi d’impugnazione, cui resiste con controricorso la Banca di Roma s.p.a. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dall’art. 346 c.p.c. e mancanza di motivazione su punti decisivi della controversia, deducendo:
a) di avere esplicitamente riproposto in appello tutte le difese già spiegate con l’atto di citazione, come si desume dalla comparsa di costituzione nel giudizio di secondo grado;
b) che, comunque, quelle deduzioni non potevano intendersi abbandonate a norma dell’art. 346 c.p.c., perché si trattava di argomentazioni probatorie, non di domande ed eccezioni in sanno proprio.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia vizi di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla conoscenza da parte della Banca di Roma dei bilanci della Pons e Cantamessa s.p.a. e della Iniziative finanziaria s.p.a., lamentando che i giudici d’appello non abbiano ben valutato nè le prove desumibili dalla comune esperienza circa le modalità operative degli operatori finanziari nè le prove desumibili dalle testimonianze considerate e dalla accertata acquisizione di una situazione patrimoniale al 31 ottobre 1989 della società poi fallita.
Il ricorso è fondato.
Va preliminarmente rilevato come sia del tutto errata l’applicazione che la corte torinese ha fatto dell’art. 346 c.p.c..
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, invero, “l’art. 346 c.p.c., nel considerare rinunciate le domande ed eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado (o perché respinto o perché non esaminate) si riferisce a quelle ragioni delle parti in cui il giudice non può pronunciarsi se ne manchi l’allegazione ad opera delle stesse parti, e non riguarda i fatti dedotti dalle parti a fondamento della domanda o della eccezione nè le inerenti deduzioni probatorie, che, sottoposti al giudice di primo grado, tornano a costituire oggetto di esame, valutazione ad accertamento da parte del giudice di appello, in quanto questi, a causa della impugnazione, torna a doversi pronunciare sulla domanda accolta o sulla eccezione respinta e quindi a dover esaminare fatti, allegazioni probatorie e ragioni giuridiche già dedotte in primo grado e rilevanti ai fini del giudizio sulla domanda o sull’eccezione” (Cass., sez. III, 19 giugno 1993, n. 6843, m. 482829, Cass., sez. II, 27 novembre 1999, n. 13270, m. 531582, Cass., sez. II, 6 aprile 2000, n. 4322, m. 535390, Cass., sez. V, 23 aprile 2002, n. 5895, m. 553941).
Occorre in realtà distinguere tra i fatti costitutivi del diritto postulato con la domanda e i fatti dedotti quali fonti di prova dall’esistenza del diritto vantato. Se manca l’indicazione dei fatti costitutivi del diritto postulato, la domanda è indeterminata; se manca l’indicazione della prova la domanda è infondata. Ma solo i fatti costitutivi del diritto, quando siano plurimi, debbono essere riproposti in appello dalla parte vittoriosa che li aveva dedotti, quando il giudice di primo grado abbia accolto la domanda sulla base di uno di essi, ritenendo assorbiti gli altri (Cass., sez. I, 9 aprile 1983, n. 2520, m. 427383, Cass., sez. III, 23 ottobre 1999, n. 4303, m. 463918). I plurimi elementi di prova, quand’anche ritenuti in parte superflui dal giudice di primo grado, debbono invece essere valutati tutti dal giudice d’appello anche in mancanza di specifiche deduzione dell’appellato, perché in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, “secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro e, quindi, senza che possa escludersi l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte” (Cass., sez. III, 25 settembre 1998, n. 9592, m. 519152).
Nel caso previsto dall’art. 67 comma 2 legge fall. i fatti costitutivi del diritto esercitato con l’azione revocatoria fallimentare sono due: il pagamento di un debito liquido ed esigibile eseguito nell’anno anteriore alla dichiarazione del fallimento; la consapevolezza del creditore circa lo stato di dissesto del debitore.
E secondo la giurisprudenza di questa Corte “la prova della conoscenza, da parte dell'”accipiens”, dello stato di insolvenza del debitore poi fallito può legittimamente fondarsi su elementi indiziari, purché gravi, precisi e concordanti, tali, cioè, da lasciar ragionevolmente presumere una conoscenza effettiva, e non meramente potenziale, del predetto stato” (Cass., sez. I, 7 agosto 1997, n. 7298, m. 506521, Cass., sez. I, 18 aprile 1998, n. 3956, m. 514605, Cass., sez. I, 28 aprile 1998, n. 4318, m. 514941, Cass., sez. I, 12 maggio 1998, n. 4769, m. 515343, Cass., sez. I, 4 novembre 1998, n. 11060, m. 520361, Cass., sez. I, 11 novembre 1998, n. 11369, m. 520605, Cass., sez. I, 7 febbraio 2001, n. 1719, m. 543685, Cass., sez. I, 28 agosto 2001, n. 11289, m. 549092).
Nel caso in esame, allo scopo di far fronte all’onere probatorio che gli incombeva, il curatore del fallimento della Pons e Cantamessa s.p.a. ha dedotto in giudizio cinque dati di fatto dai quali potesse ragionevolmente desumersi la consapevolezza della Banca di Roma circa lo stato di dissesto della società poi fallita.
I giudici di primo grado hanno ritenuto sufficiente uno solo di questi dati, per provare il fondamento dell’azione esercitata dal curatore fallimentare; e hanno, quindi, considerato superflui gli altri elementi di prova dedotti dall’attore. Ma, impugnata la sentenza di primo grado, la valutazione di superfluità di quelle prova non esimeva la Corte d’appello dal considerare unitariamente l’intero complesso delle prove comunque acquisite al giudizio, al fine di stabilire se, al momento della ricezione dei pagamenti effettuati dalla società poi fallita, la banca convenuta fosse consapevole del suo stato di dissesto.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di azione revocatoria fallimentare, come s’è detto, “la sussistenza del requisito della “scientia decoctionis” può essere dimostrata anche attraverso presunzioni, che risultino da una serie di indizi tra loro concordanti” (Cass., sez. I, 21 gennaio 2000, n. 656, m. 533040); e “i caratteri di gravità, precisione e concordanza non debbono essere ricercati soltanto nei singoli elementi indiziari che concorrono a formare la prova presuntiva, ma, una volta accertata la positività parziale, o almeno potenziale, di efficienza probatoria dei detti elementi, occorre procedere ad una loro valutazione complessiva al fine di accertare se, nella composizione dei singoli elementi utilizzabili, si possa pervenire al risultato di un’idonea prova presuntiva” (Cass., sez. I, 11 novembre 1977, n. 4873, m. 388477, Cass., sez. II, 7 agosto 1979, n. 4568, m. 401081).
Ne consegue che, fondato il primo motivo del ricorso, ne risulta assorbito il secondo, perché è necessario che i giudici d’appello hanno compiuto degli elementi di prova desumibili dal bilancio della società valutino complessivamente tutti gli elementi indiziari prospettati dall’attore.

P.Q.M

La Corte accoglie il primo motivo ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Torino.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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21 commenti:

  1. Dario

    Se una sentenza ha accolto un opposizione a d.i. nel senso di ridurre l’importo indicato nel decreto, l’opposto può proporre appello e contestualmente
    avviare l’esecuzione della gravata sentenza per la parte di credito riconosciuta? oppure, come mi è stato riferito, l’esecuzione equivale ad implicita acquiescenza e, conseguentemente, impedirebbe la proposizione del gravame?
    Grazie

  2. Silvia

    Buongiorno Ho bisogjno del suo aiuto!!

    Mio papa si è fatto fregare dal commune un terreno anni fà e non ancora pagato. Dopo tantissimi anni ancora la causa non è stata risolta…

    Le ultime scuse sono:
    1) La informo che la trattazione dell’appello è stata rinviata all’udienza del 26/05/2016, in quanto la Cancelleria della Corte di Appello non aveva ancora acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado.
    Questa acquisizione è indispensabile per potere andare avanti nella causa ed i ritardi sono imputabili al fatto che la Sezione Distaccata di Siderno (presso la quale si è svolto il primo grado del giudizio), è stata soppressa con accormapento al Tribunale Civile di Locri, presso il quale sono confluiti tutti i fascicoli e documenti relativi a detta sezione.

    2) la causa oggi è stata rinviata al 10/11/2016 per la trattazione dell’appello e sempre per l’acquisizione del fascicolo di primo grado, ossia relativo al giudizio che si è svolto a Siderno, non avendo ancora provveduto la cancelleria del Tribunale di Locri. Purtroppo questi sono i tempi della giustizia, dettati dai giudici, sui quali, ahimè, gli avvocati non hanno potere.

    Mi sà spiegare in modo semplice perchè I termini giuridici sono complicati “non aveva ancora acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado”

    La ringrazio tantissimo!

  3. Michele Tarantino

    Con il primo grado di giudizio venivo assolto con formula piena per alcuni capi di imputazione mentre per altri venivo condannato per peculato. Contestualmente venivo sospeso dal lavoro dall’Ente Comune con retribuzione ridotta ad assegno alimentare pari al 5O%. Successivamente in appello la sentenza veniva riformata dihiarando la Corte non doversi procedere in ordine al relativo reato in quando estinto in data antecedente a quella della condanna inflitta in primo grado e per l’effetto revoca le statuzioni civili contenute in ques’ultima. Si chiede gentilmente se si ha diritto alla restituzione delle somme dello stipendio non percepite. Considerando che in primo grado avevo già riportato per altri capi di imputazione l’assoluzione con formula piena grazie

  4. Carlo Giusti

    La sentenza di appello riforma parzialmente quella del tribunale, dispone sulle spese di lite ma nulla dice riguardo le spese del giudizio di primo grado. Che fine fanno tali ultime spese ? Grazie

  5. Paola vivaldi

    Egregio Avv. ho un dubbio. Ho vinto in Cassazione in merito al mio divorzio. Vittoria totale, tutte le domande accettate. Rimandata la causa alla Corte d Appello. Quest ultima aveva completamente spazzato via ben 3 assegni di mantenimento(mio e dei miei 2 figli)
    Stiamo procedendo al conteggio del dovuto di questi anni mai più pagati. L avvocato che mi ha seguito x separazione e divorzio sostiene che i calcoli vanno fatti a partire dalla sentenza di Appello,il cassazionista dice che per il principio della sostituzione(mi sembra..) vengono cassati i precedenti gradi di giudizio e si riparte dalla sentenza di separazione. Chi ha ragione?

  6. Endymion

    “le stesse possono trovare ingresso nella fase di g”ravame predetta al fine di precostituire il titolo esecutivo per le restituzioni, fermo restando che la condanna restitutoria va subordinata al passaggio in giudicato e, in ogni caso, non può essere eseguita prima di quel momento.”

    Dunque se pende il giudizio in cassazione non mi possono chiedere la restituzione delle somme?

  7. Ludovico Tallarico

    Buonasera ho appena subito sentenza di separazione personale con un aumento dell’assegno di mantenimento. Il mio stipendio attuale e’ di circa 1250 euro ed il trib.ha stabilito debba 380 euro di mantenimento. Attualmente convivo avendo lasciato l’abitazione familiare poiche’ assegnata.Ho ragione di chiedere un abbattimento della debenza?
    Se non avessi convissuto sarei letteralmente per strada.
    Sono laureato ho la qualifica di operaio ed il giudice ha innalzato il mantenimento valutando che la mia preparazione lasci ben sperare per un posto di lavoro migliore.Peccato non sia cosi’…se fosse cosi’facile mi piacerebbe chiedere al giudice di trovarmi un posto da laureato.Sono una guardia giurata…
    Grazie x l’attenzione ed eventuale gradita replica.

  8. Raffaele Caccia

    Gli attori, eredi di un soggetto deceduto a seguito di sinistro stradale, sono stati condannati al pagamento delle spese legali a seguito del rigetto della loro domanda. Soltanto uno degli eredi vorrebbe proporre gravame alla sentenza . Posso proporre appello solo per uno di loro e non per tutti?
    Grazie.

  9. Giuseppe Galata'

    Vorrei esporre il mio caso :
    Il condominio aveva intentato causa ad un condomino ; il sottoscritto aveva partecipato al primo grado.
    Il condominio vide rigettarsi in primo grado le richieste , con compensazione delle spese.
    Il condominio era ricorso in appello ; il sottoscritto aveva espresso ritualmente dissenso in base al 1132 c.c.
    All’esito dell’appello il condominio vide la “conferma integrale della sentenza impugnata” e la rifusione delle spese sia di primo che secondo grado.
    L’amministratore elabora una ripartizione secondo il seguente schema:
    • la parte della soccombenza in appello dovuta per il primo grado , a coloro che avevano promosso il primo grado ( tra cui il sottoscritto) ed a coloro che non avevano dissentito
    • la parte della soccombenza in appello dovuta per il secondo grado , a coloro che avevano promosso il secondo grado ed a coloro che non avevano dissentito
    La domanda è la seguente :
    Se è certo che è stato il ricorso in appello del condominio a determinare la condanna alla rifusione delle spese alla controparte anche in primo grado , perchè il sottoscritto , che aveva ritualmente espresso il proprio dissenso in riferimento all’art.1132 c.c. “separando la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza” , si è visto caricato di quest’onere , soprattutto in considerazione che il primo grado aveva visto la compensazione delle spese?

  10. Mirco Minardi

    @mi pare corretta la ripartizione, in quanto il giudice d’appello ha modificato la decisione delle spese relative al primo grado

  11. Michela

    Ho vinto il primo grado di giudizio e il mio ex datore di lavoro è stato condannato al pagamento di un’indennita risarcitoria di 12 mensilità per licenziamento nullo più la reintegra che io ho rifiutato in luogo dell’indennita’ di 15 mesi. Dopo diversi mesi ancora non ha pagato e ha impugnato in appello. Mi è stato sconsigliato dal mio avv di andare avanti con il pignoramento, perché nel caso la sentenza di primo grado venga confermata in secondo, si dovrebbe rifare tutta la procedura da capo essendo cambiando il titolo esecutivo. È corretto?
    Quindi tanto vale aspettare e accettare la proposta ricevuta da avv della controparte, cioè di pagarmi un acconto oggi e aspettare la sentenza di secondo grado. Io sono perplessa, ho una sentenza in mio favore da tanti mesi e non mi sento per niente tutelata.

  12. Antonio

    A seguito di sentenza di appello che mi impone la restituzione di quanto incamerato in primo grado (quale distrattario), mi viene un dubbio nell’apprestarmi alla riconsegna: a suo tempo l’impresa soccombente versò in mio favore le spese comprensive di IVA e applicò la Ritenuta di Acconto provvedendo al versamento. Mi chiedo: io dovrò restituire anche l’importo ricevuto per IVA, nonostante l’impresa ha avuto titolo per “scaricarla” ? e indoltre: dovrò aggiungere alla somma netta percepita anche l’importo a suo tempo versato dall’impresa soccombente come Ritenuta di Acconto ?
    Grazie
    Antonio

  13. Emanuela

    Salve, avrei una domanda. Mio cognato, docente, anni fa ha vinto in primo grado una causa di lavoro ottenendo il risarcimento x mancata stabilizzazione. Essendo nel frattempo entrato di ruolo e avendo proposto appello il Miur, mio cognato ha deciso di non costituirsi in giudizio, stante anche gli orientamenti a lui sfavorevoli della Cassazione. Il giudice di appello stavolta ha accolto il ricorso del MIUR sia basandosi appunto sulle recenti sentenze della Cassazione che considerano il passaggio di ruolo come una forma diversa di ristoro sia adducendo che nel ricorso mancano “le prove” dell’abuso reiterato da parte del MIUR, non essendo stati allegati al ricorso i documenti che provano il susseguirsi del rapporto di lavoro presso lo stesso istituto e con riguardo alla stessa cattedra. Ora io mi chiedo: il giudice d’appello non avrebbe dovuto avere contezza di questi documenti rinvenendoli nel fascicolo d’ufficio di primo grado? Perché è chiaro che il MIUR non li ha allegati al suo ricorso, né mio cognato avrebbe potuto non n essendosi costituito in appello. Inoltre, posto che mio cognato ha difatti prestato servizio in modo reiterato presso la stessa cattedra può ricorrere in Cassazione facendo valere questi documenti che lo attestano o non si può far nulla? E se non si può ricorrere in Cassazione si può rifare un’altra causa facendo valere questi documenti che in appello forse intenzionalmente non sono stati esibiti da parte del MIUR? Grazie della risposta

  14. Carlo

    Gentile Collega, approfitto della tua esperienza per chiederti un parere su una questione capitatami di recente. Uno dei convenuti (già contumace), muore durante il processo e il fatto è documentato da relata dell’ufficiale giudiziario relativa alla notifica dell’ordinanza che ammette interrogatorio. Il giudice “dimentica” nella confusione dell’udienza di dichiarare l’interruzione e rinvia per proseguire interrogatorio formale Delle altre parti (nessun collega si accorge dell’anomalia, eravamo 10 convenuti). A distanza di più di 3 mesi, prima di procedere all’interrogatorio, eccepisco l’estinzione per mancata riassunzione…il collega dell’attore sostiene che ha tempo un anno per riassumere al domicilio del defunto presso gli eredi…il giudice si è riservato…che ne pensi?

  15. Mauro

    Sul giudizio di appello e domanda di garanzia vorrei sottoporLe il seguente quesito.
    Tizio cita Caio e Caio chiama in causa Sempronio per manleva.
    Il giudice condanna Caio a risarcire Tizio accogliendo anche la domanda di manleva.
    Sempronio (terzo soccombente in primo grado) impugna la sentenza contro Tizio (attore in primo grado).
    Caio (convenuto in primo grado) deve costituirsi con appello incidentale o può semplicemente riproporre la domanda di manleva?



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