L’art. 5 del d.lgs. 28/2010 stabilisce espressamente che “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia [nelle materie ivi indicate, n.d.r.] è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione … L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza…”.
Poiché nella nostra penisola sono solo oltre duemila anni che si scrivono le leggi, ancora non si è imparato a scriverle bene. La norma si riferisce infatti a “chi intende esercitare in giudizio un’azione” e, di seguito, alla “eccezione del convenuto”.
Se, dunque, ci fermassimo al tenore letterale della norma dovremmo concludere che solo l’attore ha l’onere di attivare il tentativo di mediazione, non il convenuto in ordine all’eventuale domanda riconvenzionale.
Sarebbe bastato scrivere: “Chi intende esercitare in giudizio un’azione, anche in via riconvenzionale, ….” e sostituire “convenuto” con “parte”. Ma si sarebbe chiesto troppo a questi conditores. Nell’era di internet bisognerebbe cominciare a mettere a disposizione del pubblico i progetti di legge prima della loro approvazione, in tal modo sarebbero evitate molte cxxxxte.
E infatti, in dottrina non è mancato chi ha autorevolmente (ma minoritariamente) appoggiato una simile conclusione (ad es. Dittrich). Si è anche sostenuto (non a torto) che la proposizione di una riconvenzionale senza l’esperimento del tentativo di conciliazione rallenterebbe la trattazione della domanda dell’attore, che sarebbe costretto, ingiustificatamente, a ritornare davanti al mediatore, solo perché il convenuto ha ben pensato (magari intenzionalmente) di giocare la sua carta solo davanti al giudice.
In giurisprudenza, tra i primissi a pronunciarsi in questo senso è stato il Tribunale di Palermo, nella persona del dott. Michele Ruvolo, che ha scritto una ordinanza davvero degna di pubblicazione.
[…]
In proposito va in primo luogo chiarito che sicuramente non occorre il previo espletamento del procedimento di mediazione se la riconvenzionale amplia solo il petitum ma non anche l’oggetto della controversia (v. Cass. 27255/08; 23816/07; 2388/02, 1897/02 e 4982/01).
Nessun problema si pone, quindi, quando il procedimento di mediazione sia stato oggettivamente svolto su tutte le pretese delle parti.
In ipotesi di confronto effettivo e completo tra i litiganti, la procedura di mediazione poteva già conseguire la finalità deflattiva cui è preordinata. E se le parti non si sono conciliate sulla domanda dell’attore pur avendo trattato dei fatti e delle questioni posti dal convenuto a base della domanda riconvenzionale poi proposta in sede di giudizio, allora è evidente che non si concilieranno se il giudice invia in mediazione la sola domanda riconvenzionale. Venuto meno lo scopo compositivo della lite e deflattivo del contenzioso giudiziario, resta solo l’interesse al celere e sollecito esaurimento della fase processuale.
Non sussiste quindi la necessità del previo espletamento del procedimento di mediazione qualora il convenuto abbia già dedotto le relative richieste nella procedura compositiva sperimentata dall’attore.
Ed anche in assenza di una specifica richiesta in fase di mediazione, certamente basta pure (non rilevando il petitum ma l’oggetto del procedimento di mediazione) che la questione specifica, oggetto di quella pretesa poi formulata in sede giudiziaria in via riconvenzionale, sia stata trattata nel contraddittorio di tutte le parti interessate alla controversia in occasione del procedimento di mediazione, ancorché questo si sia svolto su istanza della parte attrice (V. Cass. 14 novembre 2008, n. 27255; Cass. 19436/08; Cass. 16 novembre 2007, n. 23816; Cass. 14 luglio 2003, n. 10993; Cass. 19 febbraio 2002, n. 2388; Cass. 17 gennaio 2001, n. 593; Cass. 8 giugno 1999, n. 5613; Cass. 8 agosto 1995, n. 8685; Cass. 5 ottobre 1995, n. 10447; Cass. 27 aprile 1995, n. 4651). Se in sede di procedimento di mediazione la questione posta dal convenuto è stata dibattuta tra le parti, allora è sicuramente procedibile la domanda riconvenzionale.
Deve ora pure chiarirsi che va escluso che l’onere del preventivo esperimento del procedimento di mediazione possa gravare sulla parte che, convenuta in giudizio, ed al fine di resistere alle altrui pretese, si limiti a spiegare, in sede difensiva, delle mere eccezioni in senso proprio, negando fondamento alla pretesa di controparte. È infatti certamente da escludere l’onere del previo esperimento del procedimento di mediazione quando il giudice accerti che le difese svolte dal convenuto non integrano una domanda riconvenzionale, tenendo conto che l’elemento distintivo della eccezione (anche riconvenzionale) rispetto alla domanda riconvenzionale risiede non già nella natura del diritto fatto valere dal convenuto, ma nel fine che questi si propone, e cioè nel contenuto della sua istanza processuale, dovendosi ravvisare la configurabilità di una domanda riconvenzionale nella sola ipotesi in cui questa tenda ad un risultato concreto ulteriore rispetto al semplice rigetto della domanda avversaria, consistente nella richiesta, con effetto di giudicato di un provvedimento giudiziale a sè favorevole e sfavorevole alla controparte (v. Cass. 10017/03).
Meno semplice è il caso in cui la mediazione non sia stata svolta anche sui fatti posti dal convenuto a base delle pretese (qualificabili in termini di domanda riconvenzionale) del convenuto. Questa è, quindi, la fattispecie delle riconvenzionali inedite, emerse, cioè, solo nella fase giudiziale della lite ma non anche dinanzi ai soggetti preposti alla mediazione.
In questi casi la domanda riconvenzionale viene ad ampliare l’ambito della controversia rispetto a quelli che sono stati i confini della stessa in sede di procedimento di mediazione, investendo aspetti nuovi della lite. Si pensi al caso della domanda riconvenzionale di usucapione a fronte di una domanda principale di rivendica quando in sede di mediazione non si era mai affrontato il tema del possesso ultraventennale del chiamato ma solo quello del titolo di proprietà dell’istante. Si pensi, ancora, al caso della domanda di condanna al pagamento dei miglioramenti avanzata dal conduttore convenuto per la risoluzione del contratto di locazione e per il rilascio del bene quando nel procedimento di mediazione non si era mai fatto cenno a tali miglioramenti. Si considerino, infine, tutte le ipotesi di domanda riconvenzionale avanzata da chi era stato contumace in mediazione ovvero tutti quei casi, come quello di cui al presente giudizio, in cui l’attore non è tenuto al previo esperimento del procedimento di mediazione (ratione temporis o perché la sua domanda non verte in materia rientrante tra quelle soggette alla mediazione obbligatoria) mentre potrebbe rientrare in mediazione la domanda riconvenzionale del convenuto (che nel caso in esame è stata formulata dopo l’entrata in vigore delle norme del d.lgs. 28/10 sulla mediazione obbligatoria e riguarda materia, quella dei diritti reali, rientrante nel campo applicativo delle norme in questione).
In relazione al tema delle c.d. riconvenzionali inedite è bene partire dal testo dell’art. 5, comma 1, d.lgs. 28/10, che prevede che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia” rientrante nella mediazione obbligatoria “è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione… L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
Trattasi di formula analoga a quella impiegata per il rito del lavoro, in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità non ha avuto modo di pronunciarsi, la dottrina ha in diversi casi sostenuto la tesi della non estendibilità del tentativo di conciliazione alle domande riconvenzionali e la giurisprudenza di merito ha avuto modo di affermare entrambe le tesi.
Con riferimento al settore dei contratti agrari, settore in relazione al quale è prevista una condizione di proponibilità (v. il primo comma dell’art. 46 della legge 3 maggio 1982 n. 203) e non di procedibilità, la Suprema Corte ha invece avuto modo di prendere posizione sostenendo la necessità del tentativo di conciliazione anche per le domande riconvenzionali (v., in materia di contratti agrari, Cass. 19436/08; 23816/07; 830/06; 15802/05; 11192/05; 10993/03; 10017/03; 14900/02; 467/02; 408/02; 12756/01; 10497/01; 7445/01; 593/01).
Analogamente, in tema di responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti ed in relazione all’abrogato art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, si è affermato che la relativa condizione di proponibilità (e non di procedibilità) dell’azione risarcitoria trova applicazione, “tenendo conto del difetto di espresse limitazioni e della “ratio” della disposizione medesima (favore per il soddisfacimento stragiudiziale delle istanze di risarcimento), anche con riguardo alla domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto che assuma a sua volta la responsabilità dell’attore” (Cass. 12189/98. In questo senso v. anche Cass. 2269/06 e 22597/09).
Invece, all’art. 2 del regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti, approvato con delibera n. 173/07/CONS. dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, si prevede che “l’utente finale non è tenuto ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 3 per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a norma degli articoli 641 c.p.c. e ss.”.
Passando ora all’esame delle domande riconvenzionali formulate nelle controversie relative alle materie soggette a mediazione obbligatoria in base al d.lgs. 28/2010, va in primo luogo osservato che potrebbe sembrare risolutivo il chiaro dettato normativo del primo comma dell’art. 5, che richiede, come già visto, la condizione di procedibilità del previo esperimento del tentativo in relazione ad ogni domanda che si vuol fare valere in giudizio.
D’altronde, nell’ottica dell’estensione della mediazione obbligatoria anche alle domande riconvenzionali si può evidenziare che la mediazione obbligatoria riguarda le domande formulate in giudizio in certe “materie” ed all’interno di queste ultime non può distinguersi in relazione alle modalità di presentazione della domanda.
Senza considerare che, ritenendo diversamente, potrebbe risultare economicamente conveniente, in caso di controversia tra due parti con richieste reciproche, attendere l’iniziativa altrui in sede di mediazione, non presentarsi al tavolo di mediazione (per non pagare le spese all’organismo di conciliazione) e poi formulare le domande riconvenzionali in giudizio.
Tuttavia, sono diversi gli argomenti che portano a ritenere preferibile la tesi per cui il tentativo obbligatorio di mediazione non si estende alle domande riconvenzionali in quanto:
1) il suo esperimento non sortirebbe l’effetto di chiudere il giudizio in corso. La conciliazione stragiudiziale, proprio in quanto stragiudiziale, ha lo scopo – nell’intento deflativo perseguito da tutti i sistemi di ADR – di evitare il giudizio, mentre il procedimento di mediazione sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre fine al giudizio. Peraltro, difficilmente l’attore, che ha già (vanamente) sperimentato il procedimento di mediazione sulla sua domanda ed ha già effettuato il dovuto pagamento all’organismo di mediazione, si presenterà di nuovo al tavolo della mediazione e pagherà una seconda volta il compenso all’organismo;
2) si allungherebbero notevolmente i tempi di definizione del processo (in contrasto con l’art. 111 della Costituzione). Il procedimento di mediazione, come gli altri sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, può produrre effetti positivi se non prolunga i tempi processuali, anche considerato che per C. Cost. 276/00 il diritto di azione può essere limitato con la previsione di procedure di mediazione se vi è un limite temporale. In proposito è il caso di osservare che la possibile violazione del parametro dell’art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo non si pone con riferimento ai contratti agrari ed alla materia della responsabilità civile per sinistri stradali in quanto in questi casi il previo esperimento del procedimento di mediazione si configura come condizione di proponibilità (e non di procedibilità come nel d.lgs. 28/10). Conseguentemente, la domanda riconvenzionale non preceduta dal tentativo di conciliazione viene dichiarata, nei due casi appena indicati, improponibile e non comporta alcun allungamento dei tempi processuali. Diversamente, quando il procedimento di mediazione viene configurato come condizione di procedibilità, il procedimento va instaurato anche a processo giurisdizionale iniziato, con inevitabile dilatazione dei tempi. Fare rientrare la domanda riconvenzionale nell’ambito della mediazione obbligatoria rischierebbe di esporre, sotto questo profilo, l’art. 5 del d.lgs. 28/2010 a possibili censure di incostituzionalità per violazione dell’art. 111 Cost. Occorre invece assolutamente procedere ad un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme del d.lgs. 28/10. Peraltro, si consideri che nella realtà dei fatti il giudice, qualora dovesse inviare le parti in mediazione sulla riconvenzionale, rinvierebbe spesso ad un’udienza di ben oltre quattro mesi successiva a quella nella quale ha rilevato l’improcedibilità della riconvenzionale;
3) il tentativo di conciliazione non avrebbe comunque modo di essere esperito in via preventiva. Non sarebbero invero compatibili, da un lato, una domanda che (come la riconvenzionale) presuppone l’avvenuta instaurazione del processo e, dall’altro, una procedura che, invece, ha l’obiettivo di evitare che il giudizio venga mai ad esistenza;
4) l’art. 5 d.lgs. 28/10 prevede che l’improcedibilità vada eccepita dal “convenuto”, in tal modo evidenziando che l’improcedibilità si riferisce solo alle domande dell’attore. Né varrebbe sostenere che l’attore è da qualificare come convenuto in relazione alla domanda riconvenzionale dell’altra parte. In realtà, il destinatario di una domanda riconvenzionale non è un convenuto. Convenuto è solo chi è chiamato in giudizio, chi riceve una vocatio in ius. Il codice di rito non definisce mai come convenuto l’attore che è destinatario di una domanda riconvenzionale. Anche l’art. 183 c.p.c. parla sempre di attore in relazione a colui nei cui confronti viene formulata una domanda riconvenzionale e che può avanzare una reconventio reconventonis. Se il legislatore parla di “convenuto” all’art. 5 del d.lgs. 28/2010, deve farsi riferimento al concetto di “convenuto” impiegato dallo stesso legislatore;
5) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all’esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall’art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo (v. Cass. 967/04). Peraltro, questa non è una condizione di procedibilità gratuita ma costosa. E non può non considerarsi, inoltre, che se il giudice manda le parti in mediazione per la domanda riconvenzionale non solo paga il convenuto ma vi è anche il fatto che se l’attore si siede al tavolo della mediazione, egli deve pagare l’organismo di mediazione anche se ha già pagato per la mediazione sulla domanda principale. E tutto ciò non pare esigibile e sembra lontano dalle effettive esigenze delle parti;
6) occorre evitare che vengano formulate domande riconvenzionali al solo fine di costringere il giudice a mandare le parti di nuovo in mediazione, allungando così i tempi del giudizio. Né varrebbe osservare che per le riconvenzionali strumentalmente formulate esiste il rimedio previsto dal terzo comma dell’art. 96 c.p.c. come sanzione degli abusi del processo. A parte il fatto che è noto quanto poco sia stata di fatto applicata tale norma (ed è prevedibile che continuerà ad essere scarsamente impiegata anche dopo la sua recente modifica), vi è che, se si fanno rientrare le domande riconvenzionali nell’ambito della mediazione obbligatoria, intanto tali domande verranno formulate e dovranno essere pure istruite prima di comprendere se sono infondate;
7) un’interpretazione conforme alla normativa europea (interpretazione che è imposta, a pena di responsabilità dello Stato per violazione del diritto europeo, dalla costante e granitica giurisprudenza della Corte di giustizia; v. la famosa sentenza Traghetti del Mediterraneo del 13 giugno 2006) è nel senso di escludere la domanda riconvenzionale dalla mediazione obbligatoria. La direttiva 2008/52/CEE (che costituisce pure criterio guida nella legge delega n. 69/09, art. 60, ed è richiamata anche nelle premesse del d.lgs. 28/2010) prevede che essa “ha l’obiettivo di facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”. Ora, inviare le parti in mediazione ogni qual volta in un giudizio, già normalmente preceduto da un procedimento di mediazione sulla domanda principale, venga formulata una domanda riconvenzionale non realizza quella “equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario” indicata dalla direttiva come suo obiettivo. Ed è bene ricordare che il giudice nazionale è tenuto ad interpretare le norme interne in modo conforme alla lettera ed allo spirito di quelle europee.
Sarebbe quindi preferibile intendere la locuzione “chi intende esercitare in giudizio un’azione” (art. 5, comma 1, d.lgs. 28/10) come “chi intende instaurare un giudizio”.
Ecco che non sembra condivisibile l’impostazione per cui, in caso di proposizione di domanda riconvenzionale non preceduta dal procedimento di mediazione, il giudice dovrebbe (eventualmente anche disponendo, quando le domande non sono connesse, la separazione della domanda principale dalla domanda riconvenzionale) concedere il termine di 15 giorni per il deposito della domanda di mediazione e rinviare ad un’udienza successiva alla scadenza del termine massimo di durata della mediazione, fissato dall’art. 6 del d.lgs. 28/2010 in 4 mesi.
Il giudice, pertanto, non deve effettuare alcun rinvio e non deve concedere alcun termine per la mediazione sulla domanda riconvenzionale, la quale va considerata procedibile. Il giudizio deve andare avanti normalmente, in modo da potere avere una durata ragionevole.
Peraltro, si consideri che, se si ritenesse di assoggettare la domanda riconvenzionale al previo espletamento del procedimento di mediazione, si verificherebbe che il giudice, per non ritardare l’iter processuale sulla domanda principale, dovrebbe, se possibile, come già accennato, separare, ex art. 103 comma 2 c.p.c., la domanda riconvenzionale da quella principale. Ed è del tutto evidente l’enorme incremento del numero dei fascicoli processuali che discenderebbe da un’operazione di sdoppiamento delle cause effettuata tutte le volte in cui c’è una domanda riconvenzionale.
Ponendosi quindi nell’ottica (che non si condivide) di ricondurre la riconvenzionale nell’ambito della mediazione obbligatoria, è prevedibile che tale separazione avverrebbe di fatto molto raramente, considerato che verrebbe quasi sempre ritenuto non opportuno né una separata decisione delle due domande, molto spesso connesse (oggettivamente e soggettivamente) tra loro, né una sopportazione ad opera delle parti dei costi e degli oneri di due processi.
Nella pratica succederebbe che il giudice rinvierebbe davanti al mediatore la domanda riconvenzionale a titolo di mediazione obbligatoria senza separare le domande, rinviando tutta la causa ad un’udienza di almeno 4 mesi successiva ed invitando le parti a riportare in mediazione anche la domanda principale e ciò nella consapevolezza che difficilmente la mediazione andrebbe a buon fine su una sola parte della materia del contendere e che comunque nella mediazione sulla riconvenzionale si tratterebbe inevitabilmente anche della domanda principale.
In presenza di una mediazione obbligatoria sulla riconvenzionale e di una mediazione demandata dal giudice sulla principale il termine di 4 mesi per il procedimento di mediazione in questione non si conterebbe ai fini della legge Pinto (così prevede l’art. 7 del d.lgs. 28/2010). In mancanza di una mediazione giudizialmente sollecitata sulla domanda principale i quattro mesi andrebbero invece computati. Certo, è bene precisare che l’art. 7 del d.lgs. 28/2010 è poco compatibile con la giurisprudenza della Corte EDU che ritiene che il dies a quo della ragionevole durata coincida con il deposito del ricorso o con la notifica della citazione, con la conseguenza che, a giudizio in corso, la sottrazione di tempi per effetto di previsioni normative su subprocedimenti non giurisdizionali (come la mediazione) sembra togliere uno spatium temporis che per la Corte Edu potrebbe risultare lesivo del principio di cui all’art. 6 CEDU.
Comunque, l’invio in mediazione delle parti sulla domanda riconvenzionale si risolverebbe, molto spesso, dopo il già accertato fallimento della mediazione sulla domanda principale, nel fallimento anche della mediazione sulla domanda riconvenzionale, la quale va quindi tenuta fuori, per tutte le ragioni sopra indicate, dalla mediazione obbligatoria.
Si consideri, poi, che ammettere la mediazione obbligatoria sulla domanda riconvenzionale del convenuto verso l’attore avrebbe delle inevitabili (e poco accettabili, però) conseguenze anche sulle domande formulate in via ulteriormente riconvenzionale dall’attore verso il convenuto e sulle domande formulate dal convenuto verso altro convenuto o da terzi o verso terzi.
In proposito è noto, innanzitutto, che il codice di procedura civile consente all’attore di proporre, nell’udienza di prima comparizione, domande ed eccezioni in conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto (art. 183, comma V, c.p.c.). La domanda in questione è la c.d. reconventio reconventionis.
È altrettanto noto, poi, che il convenuto può proporre domanda contro altro convenuto già parte del processo, così come può avanzarle verso chi, non essendo ancora parte del processo, venga chiamato a parteciparvi (artt. 106, 167, ultimo comma e 269, 2° comma, c. p. c.). Si tratta delle domande trasversali.
Ora, in relazione alla reconventio reconventionis possono riproporsi, mutatis mutandis, le stesse argomentazioni sopra esposte con riferimento alla tesi dell’esclusione della necessità del previo procedimento di mediazione ai fini della procedibilità della domanda riconvenzionale (invece, sostiene, con riferimento ai contratti agrari, la necessità del tentativo di conciliazione anche alla reconventio reconventionis formulata dall’attore – convenuto in riconvenzionale – Cass. civ., Sez. III, 27 aprile 1995, n. 465). Si può però aggiungere che l’art. 5 del d.lgs. 28/2010 prevede che l’eccezione di improcedibilità vada formulata dal convenuto entro la prima udienza (e quindi prima della concessione dei termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., in quanto rientrante tra le questioni rilevabili d’ufficio dal giudice, che vanno evidenziate, secondo quanto previsto dall’art. 183 c.p.c., prima dell’assegnazione dei termini in questione). E pare davvero inverosimile che il legislatore abbia imposto al convenuto di formulare un’eccezione nella stessa udienza in cui può proporsi la reconventio reconventionis (e lo stesso ragionamento vale, poi, anche per la chiamata del terzo fatta dall’attore).
Con riferimento alle domande trasversali (verso altro convenuto o verso terzi chiamati in causa) ed alle domande del terzo interveniente (in ipotesi di interventi di terzo c.d. innovativi, ossia quelli che comportano un ampliamento del thema decidendum) si noti che anche in questo caso, al pari delle domande riconvenzionali del convenuto, è bene non richiedere la condizione di procedibilità.
La mediazione sulla domanda da parte del terzo o verso il terzo o altro convenuto non ha, in presenza del fallimento della mediazione sulla domanda principale, quasi nessuna possibilità di evitare la controversia. E valgano, poi, le stesse ragioni sopra esposte in relazione all’esclusione dall’ambito della mediazione obbligatoria delle domande riconvenzionali.
Di contro, nessun problema si pone, all’evidenza, con riferimento agli interventi di terzo non innovativi, poiché non allargano l’oggetto del giudizio.
Ecco, quindi, che è preferibile ritenere che se una parte ha avanzato domanda di mediazione in relazione, ad esempio, ad un caso di colpa medica nei confronti di un ente ospedaliero e tale ente non si sia presentato al tavolo di mediazione, le chiamate di terzo poi effettuate in giudizio dall’ente in questione sia nei confronti del medico (al fine di accertarne la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c.) che della compagnia di assicurazione andranno soggette alle medesime conclusioni.
In proposito si osservi che in tal caso nei confronti del medico l’ente ospedaliero non “intende esercitare in giudizio un’azione”, mirando solo ad escludere o a ridurre la propria responsabilità, mentre verso la compagnia di assicurazioni viene avanzata una domanda di garanzia.
Se si seguisse la rigida tesi della necessità del tentativo di mediazione obbligatoria anche per le domande riconvenzionali e le chiamate di terzo dovrebbe concludersi nel senso di ritenere che solo in relazione a tale ultima domanda di garanzia (se la si intende come riferita alla “materia” della responsabilità medica), e quindi alla chiamata in causa della compagnia di assicurazioni, il giudice dovrebbe verificare il previo espletamento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità.
Tuttavia, non può trasformarsi la mediazione in un procedimento giudiziario e ritenere, con riferimento al caso prospettato e con una valutazione fatta in sede giudiziale, che l’ente ospedaliero abbia l’onere di presentarsi in sede di mediazione e di chiedere lì (salva sempre la possibilità di attivare un autonomo procedimento di mediazione) la chiamata al tavolo di mediazione della compagnia di assicurazioni.
Inoltre, non ha senso, in caso di mediazione già effettuata in modo fallimentare sulla domanda principale, inviare al procedimento di mediazione solo, ad esempio, una domanda di garanzia formulata dal danneggiante nei confronti dell’assicuratore, senza che sia ancora definito processualmente il rapporto principale. Se la domanda di un convenuto verso altro convenuto presuppone la soccombenza del primo nei confronti dell’attore, non vi è alcuna ragione (né mirante ad una composizione della lite né finalizzata ad una deflazione del contenzioso giudiziario) per inviare in mediazione, dopo l’esito negativo della mediazione sulla domanda principale e prima della statuizione giudiziale definitiva su tale domanda, la domanda in questione. In questo caso, in cui la domanda trasversale del convenuto dipende dalla domanda dell’attore, la mediazione non avrebbe la possibilità di evitare la controversia. Il processo deve continuare regolarmente.
Certo, è quantomeno utile che il mediatore indichi nel verbale eventuali contropretese del convenuto in mediazione e autorizzi la chiamata in mediazione di terzi (quali le compagnie di assicurazione) verso i quali una delle parti intende avanzare domande. Peraltro, se, ad esempio, in una controversia tra paziente, struttura ospedaliera e medico non viene autorizzata la chiamata in mediazione della compagnia di assicurazioni, l’eventuale accordo raggiunto tra le parti non potrebbe essere fatto valere nei confronti della compagnia.
Ancora si osservi che se si ritenesse di dovere inviare in mediazione anche le domande riconvenzionali o di terzi o formulate verso terzi si potrebbe pure verificare che, instaurato da due eredi di un paziente un giudizio per responsabilità medica dopo il fallimento del procedimento di mediazione con la clinica ed il medico non comparsi davanti al mediatore, il giudice sia tenuto ad inviare le parti in mediazione (e rinviare la causa ad oltre 4 mesi) sia dopo la riconvenzionale della clinica per mancato pagamento della fattura sia (a giudizio ripreso dopo la tentata ulteriore mediazione) dopo l’intervento di un terzo erede che voglia anch’egli ottenere il risarcimento del danno. Né potrebbe dirsi che a questo punto la mediazione obbligatoria non si applica. Tutte le domande formulate da terzi intervenienti nel corso del giudizio potrebbero comportare procedimenti di mediazione ulteriori rispetto a quelli già effettuati sulla domanda principale e sulla domanda riconvenzionale.
In conclusione, vanno escluse dall’ambito della mediazione obbligatoria tutte le domande (riconvenzionale inedita, domanda trasversale, reconventio reconventionis) che siano diverse da quella dell’attore proposta con l’atto introduttivo del giudizio. Lo scopo del legislatore che ha introdotto la mediazione obbligatoria è quello di aumentare i casi di composizione extragiudiziale della lite e di introdurre una ridotta limitazione del principio della ragionevole durata del processo. La soluzione giurisprudenziale da adottare deve poi essere costituzionalmente ed eurounitariamente conforme.
4. Nel presente giudizio, quindi, sulla domanda riconvenzionale di parte convenuta non sussiste l’obbligo del previo procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della stessa domanda e ciò nonostante essa sia stata proposta dopo l’entrata in vigore delle norme sulla mediazione obbligatoria (peraltro il procedimento giudiziario è stato instaurato prima del 21.3.2011, con la conseguenza che già questa circostanza potrebbe essere da sola sufficiente ad escludere dalla mediazione obbligatoria tutte le domande proposte all’interno di questo giudizio, anche se dopo il 21.3.2011).
Certo, le armi per arginare gli effetti di simili comportamenti ci sono. Il giudice potrebbe separare le domande, tuttavia in caso di riconvenzionale forte ciò sarebbe inopportuno; si pensi alla compagnia di assicurazione che agisca per ottenere il pagamento del premio e all’assicurato che chieda la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni per inadempimento. In ogni caso, sappiamo quanto poco si faccia ricorso alla separazione, anche perché in questo modo il giudice si trova due processi al posto di uno.
A sostegno della tesi che vuole il tentativo di mediazione obbligatorio sia per la domanda attorea che per la riconvenzionale, militano argomenti fondati sul principio di parità: sarebbe infatti contrario a questo fondamentale principio imporre solo all’attore l’onere di attivare il procedimento di mediazione.
Sulla necessità di esperire il tentativo di conciliazione anche in ordine alla riconvenzionale si è recentemente pronunciato il Tribunale di Roma (sent. 15/03/2012) il quale ha affermato che:
Le domande riguardanti materie soggette a mediazione obbligatoria sono sottoposte alla disciplina per tale procedimento prevista quale che sia la parte proponente e la fase del giudizio nella quale la domanda viene introdotta. Più specificamente, nulla (se non imperfezioni di tecnica legislativa) autorizza a ritenere il contrario. Nel caso di specie si ritiene che la domanda riconvenzionale avanzata in materia di locazione nel corso di un procedimento di sfratto, previa separazione delle cause contestualmente all’ordinanza di convalida, debba essere avviata in mediazione per l’esperimento del relativo procedimento di cui all’art. 5, comma 1, d.lg. 28/2010. Evidente esigenza di garanzia di pari diritti per ogni parte processuale impone una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in modo tale da assicurare che ogni domanda giudiziale in “subiecta materia”, quale che sia la parte che la propone, debba essere preceduta da tentativo di mediazione.
Ma è davvero sempre necessario ricorrere alla mediazione in caso di domanda riconvenzionale? La S.C. pronunciandosi in tema di controversie agrarie, ha affermato che la necessità del previo tentativo di conciliazione sussiste anche per la domanda proposta in via riconvenzionale, salvo che (a) la domanda stessa si ricolleghi direttamente al contrasto tra le parti ed alle pretese fatte valere dall’attore che abbia già esperito la procedura conciliativa ovvero (b) che il convenuto abbia già dedotto le relative richieste in quella procedura sperimentata dall’attore.
Nel caso deciso, la Corte ha ritenuto che, proposto dall’attore tentativo di conciliazione in ordine ad una domanda diretta a sentir condannare il convenuto al pagamento di una certa somma in esecuzione del contratto, non debba essere preceduta da un nuovo tentativo di conciliazione la domanda riconvenzionale di risoluzione di quello stesso contratto per fatto dell’attore, con condanna di quest’ultimo al risarcimento dei danni conseguenti (Cassazione civile, sez. III, 14/11/2008, n. 27255).
Diverso sarà il caso in cui la riconvenzionale abbia un oggetto non direttamente collegato a quello della domanda fatta valere dall’attore. Dunque è all’oggetto della controversia che bisogna guardare e non al semplice petitum.
Nel caso in cui il tentativo di mediazione in ordine alla riconvenzionale non sia stato eseguito, in dottrina (Buffone) si è suggerita una soluzione di mediazione promiscua: entrambe le domande (dell’attore e del convenuto) dovranno essere affrontate in sede di mediazione. Naturalmente, per la domanda principale occorrerà il consenso delle parti, visto che esse hanno già esperito un tentativo di conciliazione.
Si supponga però che nessuna delle parti abbia voglia di ritornare in mediazione. Basterà la loro dichiarazione (circa il fatto che l’oggetto della riconvenzionale è stato dibattuto in mediazione) ad evitare che il giudice disponga d’ufficio il tentativo? Oppure occorrerà provarlo documentalmente?
La produzione dei verbali della mediazione è qualcosa che fa venire i brividi a chi la mediazione la conosce, la pratica e la insegna da decenni, perché non solo non esistono verbali, ma una volta terminata la mediazione tutto ciò che è stato appuntato dovrebbe andare distrutto. Da noi si fa fatica ancora a concepire una simile mediazione. Siamo troppo abituati alla forma scritta, tanto che la stessa dottrina sopra citata ha affermato che in tal caso occorre dimostrare di avere trattato la questione proprio producendo i “verbali dei mediatori” o gli atti delle parti.
Da un lato, dunque, vi è l’esigenza che le parti non aggirino la norma di legge; dall’altro, il sacrosanto diritto a che quello che viene detto in mediazione rimanga in mediazione. Ritengo che a prevalere debba essere il secondo diritto, perché in tanto la mediazione può funzionare, in quanto le parti siano libere di dire tutto ciò che ritengono di dire. È vero che in base all’art. 10 del d.lgs. 28/2010 il giudice non potrebbe utilizzare quelle dichiarazioni ai fini della decisioni, ma è credibile che un giudice non si faccia influenzare dalle ammissioni fatte dalla parte? Ritengo proprio di no.
Tutto ciò fin qui detto vale naturalmente anche per la reconventio reconventionis, cioè la domanda riconvenzionale che l’attore può proporre alla prima udienza di trattazione in risposta alla domanda riconvenzionale del convenuto.
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