Risoluzione del contratto di appalto: come motivare la scarsità dell’inadempimento.

Mirco Minardi

C’è sempre molto da imparare dalle sentenze di merito, specie da quelle scritte da grandi magistrati. Ecco un esempio tratto da una sentenza del Tribunale di Roma. Ancora un volta la strategia difensiva si è rivelata non del tutto corretta. Come ho scritto nel mio manuale sulle insidie e i trabocchetti del processo, dobbiamo prestare molta attenzione quando formuliamo una domanda ed usare quanto più possibile le subordinate.

Non dimentichiamo infatti il principio ripetutamente affermato dalla Cassazione (cfr. fra tante: Cass. 1077/2005; Cass. 11.5.1996, n. 4444; 9.2.1995, n. 1457):

“il divieto posto dal secondo comma dell’art. 1453 c.c. di chiedere l’adempimento, una volta domandata la risoluzione del contratto, non può essere inteso in senso assoluto, ma è operante soltanto nei limiti in cui esiste l’interesse attuale del contraente, che ha chiesto la risoluzione, alla cessazione del rapporto, per modo che, quando tale interesse viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata inammissibile la domanda di risoluzione, la preclusione non opera, essendo cessata la ragione del divieto“.

Nella fattispecie, l’attore ha chiesto la risoluzione del contratto, senza considerare che l’inadempimento poteva essere considerato non grave, come poi è avvenuto. Ben diverso sarebbe stato il risultato se avesse chiesto in via subordinata la riduzione del prezzo.

In tema di appalto, il committente che, per difetti dell’opera, abbia esperito azione di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore, può successivamente, sia in primo grado che in appello, modificare la domanda in quella di riduzione del prezzo. Infatti, non soltanto non è estensibile all’appalto il principio, dettato per la vendita dall’art. 1492, comma 2, c.c., dell’irrevocabilità della scelta, operata mediante domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo; ma nel caso di inadempimento dell’appaltatore, il divieto posto dall’art. 1453, comma 2, c.c. impedisce al committente che abbia proposto domanda di risoluzione di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo (domanda, questa, che non integra una domanda nuova rispetto a quella originaria di risoluzione perché fondata sulla stessa “causa petendi” e caratterizzata da un “petitum” più limitato).

Cassazione civile , sez. I, 29 novembre 2007, n. 24948

Estratto da sent. Tribunale di Roma.

Occorre dunque, preliminarmente, accertare l’esistenza e la gravità dell’inadempimento ascritto al convenuto, ex art. 1455 c.c..

2. Sull’esistenza dell’inadempimento non può esservi dubbio. La c.t.u. in atti, la quale è su questo punto correttamente motivata e pienamente condivisibile, ha rilevato la cattiva esecuzione dell’intonaco esterno in calcilite, il quale: (a) non ha aderito alla struttura portante; (b) è andato soggetto a deterioramento; (c) è rimasto privo dell’ultimo strato di prodotto, necessario per l’esecuzione a regola d’arte dell’opera.
Non sono emersi, invece, dall’istruttoria compiuta, gli altri inadempimenti allegati da parte attrice.

L’accertato inadempimento, tuttavia, non presenta i requisiti della gravità di cui all’art. 1455 c.c., e non è quindi tale da giustificare la risoluzione del contratto. Premesso che la “gravità” di cui è menzione nell’art. 1455 c.c. va valutata con riferimento all’interesse della controparte, nel caso di specie si rileva dagli atti che:
(a) per il rifacimento dell’intonaco esterno le parti avevano pattuito il compenso di £ 12.528.000, pari a poco più del 12% dell’importo complessivamente pattuito (£ 99.000.0000; cfr. art. 4 contratto di appalto e preventivo dei lavori);
(b) i lavori commessi all’appaltatore avevano ad oggetto rilevanti lavori di ristrutturazione interna, realizzazione degli impianti, installazione degli infissi, demolizioni murarie, ed erano quindi chiaramente finalizzati a rendere vivibile ed abitabile l’immobile oggetto del contratto;
(c) i vizi all’intonaco esterno non compromettono l’abitabilità dell’immobile.

Deve dunque concludersi che inadempimento del convenuto, oltre che marginale rispetto all’economia generale del contratto, non ha reso del tutto inservibile al committente l’immobile. Tale inadempimento, dunque, deve ritenersi non grave ex art. 1455 c.c., e tale da legittimare una domanda di manutenzione del contratto, ma non una domanda di risoluzione.

La domanda attorea deve pertanto essere rigettata; né il convenuto può essere condannato all’eliminazione dei vizi, non avendo parte attrice formulato alcuna domanda subordinata di adempimento o di garanzia per i vizi, ex art. 1668 c.c..

3. Anche la domanda riconvenzionale deve essere rigettata. Infatti l’accertato inadempimento dell’appaltatore, se pure tale da non giustificare una pronuncia risolutoria, ha legittimamente consentito alla committente di rifiutare il saldo del corrispettivo pattuito, ai sensi dell’art. 1460 c.c..


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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2 commenti:

  1. LUIGI ROSATO

    Ma per la miriade di piccole imprese che svolgono la pressochè totalità dei lavori in sub appalto vi sono norme che ne tutelino il pagamento?
    Da parecchi anni ormai gli appalti vengono affidati a società che hanno l’arte di non pagare mettendo in seria difficoltà economica le aziende subappaltanti le quali se vanno per vie legali vedono scorrere anche 10 anni per vedere riconosciuto il proprio credito.
    Semprechè non siano fallite prima con estrema convenienza e soddisfazione del debitore!
    Esiste una norma che metta il debitore in una situazione ove trovi opportuno non avere comportamenti scorretti ???
    Che sò, una legge che produca il blocco totale dei pagamenti a lui dovuti o la sospensione….
    Se sì pubblicatela e promuovetela per favore, se va avanti così chiuderanno pian piano tutte le aziende che hanno nella loro missione il LAVORO e non la mera speculazione economica!!!

  2. RENZO CESARI

    Il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite fu pertanto il seguente: Le disposizioni di cui all’articolo 2226 in tema di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia per vizi non solo applicabili alla prestazione d’opera intellettuale, in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori ovvero dell’uno e dell’altro compito, cumulando nella propria persona i ruoli di progettista e direttore dei lavori ; se ho capito quindi le prestazioni di sola progettazione intellettuale non scadono nei 10 anni ? quando scadono? l’art 2226 riguarda anche l’omissione di presentazione di pratica sismica ? Grazie



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