Abbiamo detto nel precedente articolo (parte I) che la morte di una persona può provocare un danno da lucro cessante, ovviamente per i superstiti. Abbiamo anche detto che questi non sono solo il coniuge ed i parenti stretti ma anche i creditori del defunto.
La prova che il defunto, in vita, elargisse somme di denaro o fosse debitore può essere data con qualsiasi mezzo e dunque anche con presunzioni. Naturalmente, a seconda dei casi concreti sarà richiesta una prova più o meno rigorosa.
La morte di un padre che lascia figli minori fa presumere senza alcuna difficoltà che i figli hanno perso le somme a titolo di mantenimento che il genitore versava, visto anche l’obbligo sancito dall’art. 147 c.c.. Più incerto stabilire in concreto fino a quando; in particolare se ancorare detta presunta elargizione al compimento dei diciotto anni ovvero ad un momento successivo. Oggi, si può presumere che il mantenimento dei figli va ben oltre la maggiore età essendo aumentato il numero di coloro che frequentano l’università ed essendo più difficile l’inserimento nel mondo del lavoro.
Vediamo il coniuge. Anche il coniuge perde una parte delle somme che il defunto avrebbe versato. Recentemente, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello che aveva stimato nel 20% la quota di reddito destinata ai bisogni familiari (sulla questione vedi l’intervista all’Avv. Renato Savoia). Relativamente al coniuge separato occorre accertare se aveva diritto o meno ad un assegno di mantenimento ed, inoltre, se avrebbe avuto o meno diritto ad un assegno divorzile.
In caso di morte del figlio minore i genitori dovranno provare che questi elargiva o avrebbe loro elargito delle somme. Nel secondo caso la prova è molto difficile e la giurisprudenza è poco incline a riconoscere questo tipo di danno, soprattutto quella di merito.
“I genitori di persona di minore di età, deceduta in conseguenza dell’altrui atto illecito, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro hanno l’onere di allegare e provare, anche per mezzo di presunzioni semplici, che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia. Inoltre il danno patrimoniale futuro allegato dai genitori del minore deceduto in conseguenza di un fatto illecito, per il vanificarsi delle aspettative di un contributo economico a loro beneficio, è risarcibile solamente nel caso in cui sia provato, anche in base a presunzioni, che il minore una volta divenuto adulto, sarebbe stato nella condizione economica di sopperire ai bisogni dei congiunti”.
Tribunale Milano, sez. X, 10 aprile 2008, n. 4954
Talvolta, invece, la Cassazione si è dimostrata più indulgente:
“Ai genitori di un minore deceduto per un fatto illecito spetta il diritto al risarcimento del danno patrimoniale futuro, consistente nella perdita delle aspettative del contributo economico della vittima, indipendentemente dalle loro condizioni (ad es., adeguate fonti di reddito) al momento dell’illecito, essendo sufficiente che in base a fatti notori e di comune esperienza risulti verosimile il danno relativamente ai bisogni futuri”.
Cassazione civile , sez. III, 13 novembre 1997, n. 11236
Più recentemente la Corte ha affermato che i genitori hanno l’onere di allegare e provare che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia, specificando che la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non già in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, all’età loro e del defunto, alla prevedibile entità del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che il figlio deceduto avrebbe goduto di un reddito proprio.
Molto spesso i giudici, nel liquidare tale danno, si affidano ad un criterio equitativo puro, senza applicare sconti e capitalizzazioni. In realtà, il calcolo andrebbe fatto tenendo conto:
- dell’età del minore al momento del decesso;
- della presumibile entrata nel mondo del lavoro;
- dell’età dei genitori;
- del presumibile reddito che avrebbe loro destinato;
- del momento a partire dal quale questo reddito sarebbe stato loro versato.
A questo punto occorre tenere in considerazione il fatto che la somma viene versata in anticipo applicando un coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata. Un esempio servirà a chiarire meglio.
- Tizio muore all’età di 17 anni.
- Si presume che sarebbe entrato nel mondo del lavoro a 25 anni.
- I genitori hanno, al momento della sua morte, 53 anni.
- Si presume che Tizio avrebbe elargito 4000 euro all’anno a partire da 25 anni.
- Pertanto i genitori avrebbero conseguito la somma all’età di 61 anni (53 + 8 )
- Il coefficiente di capitalizzazione è pertanto 10,102 (pari a 61 anni).
Adesso facciamo il conto:
€ 4.000 x 10,102 = € 40.408,00
Occorre tenere in considerazione, però, che questa somma sarebbe stata versata solo dopo 8 anni, pertanto occorre moltiplicarla per il coefficiente di capitalizzazione anticipata pari allo 0,703 tenendo in considerazione un tasso del 4,5%. Il risultato sarà:
€ 40.408 * 0,703 = €28.406,82
Mi rendo conto che molti colleghi hanno un’idiosincrasia per questi calcoli, ma è meglio non affidarsi al criterio equitativo puro e proporre una ipotesi di quantificazione.
Domani approfondiremo la questione della morte del congiunto e compensatio lucri cum damno.

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Gent.le Collega,
mi piacerebbe leggere “Il danno patrimoniale da morte (parte I)”, purtroppo non ho la Password, come potrei fare per averla?
Cordialmente.
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