Nel consueto valzer – lo modifico, ci ripenso, forse era meglio prima – il legislatore è intervenuto nuovamente sull’art. 616 c.p.c.. Stiamo parlando di opposizione all’esecuzione.
Dal primo marzo 2006 la norma stabiliva che la sentenza emessa a seguito del giudizio de quo non era impugnabile, e dunque solo ricorribile in Cassazione. Lo scopo era stato quello di parificare il regime di opposizione all’esecuzione a quello degli atti esecutivi. La disparità di trattamento, infatti, aveva creato non pochi problemi. Ci si chiedeva:
- qual’è il regime di impugnazione se una stessa sentenza giudica sull’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi?
- qual’è il regime di impugnazione se il giudice non qualifica l’azione esercitata?
- come si deve comportare la parte se proposta opposizione agli atti esecutivi il giudice la qualifichi come opposizione all’esecuzione (o viceversa)?
Dunque la modifica del 2006 era certamente da apprezzare. Ma il legislatore non vuole gravare la Cassazione e così si ritorna al passato, ovviamente con tutti i problemi annessi e connessi. Ricordiamo allora alcuni principi affermati dalla giurisprudenza.
- L’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale, deve essere fatta in base al principio dell’apparenza con riferimento esclusivo alla qualificazione dell’azione proposta compiuta dal giudice, indipendentemente dalla sua esattezza. Pertanto, è impugnabile con l’appello la sentenza emessa in sede di esecuzione forzata se l’azione è stata qualificata come opposizione all’esecuzione, mentre è esperibile il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost., qualora l’azione sia stata definita come opposizione agli atti esecutivi (Cass. Civ. 10801/2001)
- Quando le contestazioni della parte si configurino, nello stesso procedimento, come opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi, si deve ritenere che la sentenza, formalmente unica, contenga due decisioni distinte soggette rispettivamente ad appello ed a ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 cost. Nel caso poi in cui il giudice non abbia dato alcuna qualificazione all’opposizione, questa spetta d’ufficio al giudice dell’impugnazione non solo ai fini del merito, ma anche ai fini dell’ammissibilità dell’opposizione stessa (Cass. Civ. 10804/2000)
- Qualora avverso una sentenza di primo grado – ancorché costituita da un unico capo su un’unica domanda (nella specie: opposizione all’esecuzione per nullità-inesistenza dell’atto di pignoramento immobiliare notificato nel domicilio eletto dalla debitrice deceduta ex art. 20 t.u. 16 luglio 1905 n. 646) – la parte abbia proposto sia appello sia ricorso per cassazione ex art. 111 cost., sull’erroneo presupposto che contenga due pronunce distinte su un’opposizione all’esecuzione e su un’opposizione agli atti esecutivi, la pronuncia di rigetto dell’appello nel merito, ove passata in giudicato, comporta l’inammissibilità del coevo ricorso per cassazione ostandovi la qualificazione della domanda come opposizione all’esecuzione (con la correlativa appellabilità della sentenza) (Cass. Civ. 6882/1987)
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Perché escludere le controversie di lavoro? Sarebbe stato un ottimo strumento nei casi il cui il datore rifiuti di reintegrare o comunque riammettere in servizio il lavoratore vittorioso in giudizio!
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