Gli avvocati e la negoziazione

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La negoziazione è un aspetto fondamentale del nostro mestiere, eppure nessuno ce l’ha mai insegnata all’Università, o nelle scuole forensi. Come se il semplice conoscere le leggi sia elemento necessario e sufficiente per essere bravi negoziatori.

Niente di più sbagliato.

In realtà la negoziazione è un’arte, e come tutte le arti ha le sue regole.

Normalmente, in una negoziazione ognuno porta il suo carattere:

  • il tipo aggressivo sarà aggressivo;
  • il tipo passivo sarà passivo;
  • il tipo mediatore sarà mediatore;
  • il coraggioso sarà coraggioso;
  • il pauroso sarà pauroso.

Sbagliato.

E’ un errore affrontare le negoziazioni con lo stesso stile. Ogni negoziazione richiede uno stile a seconda:

  • di chi ci sta di fronte;
  • dell’oggetto della negoziazione;
  • della saltuarietà e continuità della negoziazione.

Trattare con il liquidatore di una compagnia non è come trattare con un ufficiale giudiziario o un magistrato o un collega. E a seconda della personalità del liquidatore, magistrato, collega, dovremo calibrare il nostro modo di essere.
Altrimenti, il rischio è che la nostra modalità in alcuni casi porterà buoni risultati, in altri pessimi.

Una delle prime cose che un avvocato deve sapere riguardo la negoziazione è la differenza tra:

  • questioni
  • posizioni
  • interessi

Lo spiego con un esempio accaduto proprio qualche giorno fa.

Avevo raggiunto un accordo con una compagnia di assicurazione in merito ad un cospicuo risarcimento del danno per un lavoratore che aveva subito un infortunio sul lavoro. Ma poco prima della firma, l’azienda assicurata chiede che nella transazione venga inserita una dichiarazione con la quale il mio cliente riconosceva che non era vero quanto dichiarato nel ricorso introduttivo del giudizio.

Ovviamente ho assunto una posizione fermissima ed ho detto che non avrei mai fatto firmare una cosa del genere al mio cliente

Analizziamo la situazione.
La questione era l’inserimento di una clausola.
Le posizioni erano nettamente contrapposte: l’altra parte non avrebbe firmato senza quella clausola, io non avrei firmato con quella clausola.
Ma qual’era il vero interesse sottostante?

Lo abbiamo capito discutendone. L’azienda ci teneva ad evidenziare che quanto io avevo scritto nel ricorso non corrispondeva alla verità. Dunque, l’interesse non era precipuamente la dichiarazione del mio cliente, bensì la verbalizzazione della contestazione.

A quel punto, tutto è diventato semplice. Non avevo alcuna obiezione da fare sul fatto di inserire la clausola con la quale l’azienda contestava l’assunto del lavoratore e la sottoscrizione è avvenuta di lì a poco.

Pertanto, chiediamoci sempre di fronte ad una posizione: qual è l’interesse sottostante?


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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