Prima lettura al progetto di riforma del codice di procedura civile: più ordinanze, meno sentenze.

Mirco Minardi

Continuiamo nel nostro viaggio volto a conoscere, in prima lettura, il contenuto della riforma approvata dal Senato che, con molta probabilità, diventerà legge molto presto.

Una delle riflessioni del legislatore è stata questa: la sentenza è un atto del processo la cui redazione richiede tempo e dunque va riservata ad alcune pronunce soltanto. In questa cornice si inseriscono una serie di modifiche che:

a) da un lato, sostituiscono l’ordinanza alla sentenza;
b) dall’altro, rendono l’elaborazione della sentenza più rapida.

Vediamo le modifiche del primo tipo. Il legislatore ha deciso che il giudice dovrà emettere ordinanza e non più sentenza in questi casi:

– quando dichiara la litispendenza e la continenza (art. 39 c.p.c.)
– in caso di connessione (art. 40 c.p.c.)
– quando pronuncia sul regolamento di competenza (art. 49 c.p.c.)

Di conseguenza vengono modificati:

– l’art. 42 (regolamento necessario di competenza) sostituendosi “ordinanza” a “sentenza”
– l’art. 43 (regolamento facoltativo di competenza) sostituendosi “provvedimento” a “sentenza”
– l’art. 44 (efficacia della sentenza che pronuncia sulla competenza) sostituendosi “ordinanza” a “sentenza”
– l’art. 45 (conflitto di competenza) sostituendosi “ordinanza” a “sentenza”
– l’art. 47 (procedimento del regolamento di competenza) sostituendosi “ordinanza” a “sentenza”
– l’art. 50 (riassunzione della causa) sostituendosi “ordinanza” a sentenza”
l’art. 279 (forma dei provvedimenti del collegio) sostituendo anche qui alla sentenza l’ordinanza in caso di pronuncia sulla competenza;

Sotto il secondo aspetto, invece, viene modificato il n. 4 del secondo comma dell’art. 132, stabilendosi che il giudice, nella sentenza, deve fornire la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, mentre non è più necessario riportare la concisa esposizione dello svolgimento del processo.

Che le sentenze non debbano essere dei trattati il legislatore lo precisa anche nell’art. 118 disp. att. c.p.c. là dove dice che la motivazione consiste nella “succinta” esposizione dei fatti rilevanti della causa, delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti giurisprudenziali. Si dà dunque la possibilità al giudice di richiamare precedenti giurisprudenziali propri o di altri uffici.

Che dette modifiche possano davvero permettere un alleggerimento del carico di lavoro del giudice ne dubito fortemente. Ben altri sono i mali della giustizia.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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2 commenti:

  1. Luigi Passalacqua

    Perché escludere le controversie di lavoro? Sarebbe stato un ottimo strumento nei casi il cui il datore rifiuti di reintegrare o comunque riammettere in servizio il lavoratore vittorioso in giudizio!



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