Sommario: 1.Premessa; 2. Nascita ed evoluzione del danno esistenziale; 3. La “rivoluzione” del 2003: il ritorno alle origini; 4. Sistema aquiliano: monocentrico o bicentrico?; 5. La tesi pro danno esistenziale o cd esistenzialista; 6. La tesi contro il danno esistenziale o cd antiesistenzialista; 7. La posizione intermedia di Cassazione n. 6732/2005; 8. Le Sezioni Unite 2006: demansionamento e danno esistenziale; 9. La rottura dell’apparente equilibrio; 10. I quesiti posti all’attenzione delle Sezioni unite; 11. L’incertezza del sistema e la necessità di conferme.
1. Premessa
Finalmente!
Si è accolto il coro di voci che invoca (già da tempo) l’intervento nomofilattico delle Sezioni unite della Cassazione.
Il contrasto esegetico, all’interno della III sez. civile, riguardo al danno esistenziale era ormai “irredimibile” : troppi sono i profili di distanza tra i due orientamenti tutt’oggi contrastanti e molti sono i quesiti posti all’attenzione delle Sezioni Unite.
Si cercherà in breve di delinearne i tratti essenziali del danno esistenziale, seguendo un percorso logico – giuridico che nasce e si sviluppa in primis nelle aule universitarie e in quelle dei nostri tribunali.
2. Nascita ed evoluzione del danno esistenziale
Si incomincia a parlare di danno esistenziale negli anni ’90: pacificati gli animi sul tema del danno biologico, si affermò che “non si vive di sola salute” (P.Cendon). Il danno esistenziale si esplicita come la lesione dei valori costituzionali inerenti la persona in tutte le sue manifestazioni di vita, diverse dalla lesione della salute.
Il quesito ricorrente nelle aule di giustizia è: quale qualificazione dare al danno esistenziale? È un danno patrimoniale ex art. 2043? Oppure è un danno non patrimoniale ex art. 2059 e perciò risarcibile “solo nei casi previsti dalla legge”?
La dottrina si divide subito in tre schieramenti. Secondo una prima ricostruzione proposta dalla cd scuola pisana (Ponzanelli, Busnelli) la risarcibilità del danno esistenziale deve passare per il vaglio dell’art. 2059 cc (solo se tipicamente previsti) con l’utilizzi di un filtro: sono risarcibili solo i danni che hanno una certa rilevanza e consistenza.
Tale teoria è fortemente criticata perché introduce un criterio di selezione delle situazioni risarcibili arbitrario e illegittimo, che non trova fonte normativa e viola, pertanto, il principio di certezza giuridica.
Gli autori della cd scuola triestina (Cendon e Ziviz) ritengono che il danno esistenziale sia un’esplicazione del danno biologico e pertanto vada risarcito secondo i criteri individuati nell’art. 2043 Cc, letto in combinato disposto con l’art. 32 e le norme costituzionali a tutela della persona.
La scuola torinese, invece, afferma l’autonomia concettuale e risarcitoria del danno esistenziale: si ritiene che il danno esistenziale sia un danno evento, ovvero una lesione in sé dei valori costituzionali, che sia risarcibile (ex art. 2043) a prescindere da ripercussioni concrete ossia da danni conseguenza (tra gli altri Monatieri) (L.D’Apollo, Danno biologico: casi e principi giurisprudenziali, 2008).
Il danno esistenziale entra nel Palazzaccio nel 2000 con la nota sentenza n. 7713: è la prima volta che i giudici di legittimità disquisiscono sulla possibilità di attribuire un risarcimento del danno che sia sostanzialmente differente dal danno biologico (quale menomazione psico-fisica, accertata con parametri e valutazioni medico legali). Il caso di specie riguardava il reato ex art. 570 cp (violazione degli obblighi familiari) e il danno lamentato consisteva nella lesione dei valori familiari in particolare nel rapporto padre figlio. Si affermò il risarcimento combinando la Grundnorm risarcitoria (art. 2043 Cc) con le norme Costituzionali (artt. 2-29), così come in precedenza si faceva (e si fa) per il danno alla salute.
Alla domanda cos’è il danno esistenziale? Si rispose: “Il danno esistenziale, in buona sostanza, altro non è che la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante per la persona, risarcibile nelle sue conseguenze non patrimoniali. Ovvero, ogni interesse afferente alla persona, leso da un atto ingiusto, appare meritevole di risarcimento; e ciò anche se non corrisponde al bene-salute, non sia specificamente menzionato dalla Costituzione o non abbia quale presupposto una malattia che sconvolga il normale scorrere della quotidianità della vittima. Tale particolare categoria di danno è risarcibile – se di natura extracontrattuale – ex art. 2043 c.c. e si pone come terzo rispetto al danno patrimoniale ed a quello morale ” (G. Cassano, Il danno esistenziale).
3. La “rivoluzione” del 2003: il ritorno alle origini
La “carriera” del danno esistenziale quale nuova posta di danno risarcibile ex art. 2043 Cc è finita nel 2003.
In particolare il 31 maggio 2003 quando la Cassazione con due sentenze gemelle n. 8827 e 8828, ha rivoluzionato il sistema aquiliano nostrano, riportando tutto alle origini: il danno patrimoniale ex art. 2043 Cc consiste nella lesione del patrimonio, economicamente valutabile secondo la Differenztheorie, ovvero attraverso un esame comparato della consistenza del patrimonio prima e dopo il fatto illecito. Il danno non patrimoniale ex art. 2059 Cc è costituito da tutti i danni alla sfera non patrimoniale del danneggiato, ovvero consiste nelle lesioni che non incidono direttamente sul patrimonio (economicamente inteso) del soggetto. Vi rientrano il danno biologico, il danno morale, il danno ai valori costituzionali. (L. D’Apollo, Danno biologico: casi e principi giurisprudenziali, 2008).
Muore il danno alla persona così come delineato dalla Corte Costituzionale nella sentenza dell’Andro (n. 184/1986): si ritorna alla ripartizione dataci dal legislatore nel 1942. Oggi pertanto possiamo parlare solo di danno patrimoniale o non patrimoniale.
Il danno esistenziale, così ragionando, non rientra nell’alveo dei danni patrimoniali, bensì in quello dei danni non patrimoniali ex art. 2059. Secondo l’insegnamento della Cassazione la tassatività dei casi risarcibili ex 2059 deve esser riletta alla luce delle norme costituzionali: “…il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale” (Cass., 8827/03).
La Cassazione ha così stabilito che “il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona” (L. Viola, La responsabilità civile e il danno, 74 e ss, 2007, Halley ed.).
Si afferma una tutela al danno non patrimoniale nella sua accezione più ampia di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica.
Le sentenze del 2003 parlano apertamente del danno esistenziale, ma preferiscono non usare tale nomenclatura; altresì sottolineano che “non sembra proficuo ritagliare all’interno di tale generale categoria specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo: ciò che rileva, ai fini dell’ammissione al risarcimento, è l’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona dal quale conseguano pregiudizi non suscettivi di valutazione economica”.
Secondo tale ricostruzione “si risarciscono così danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo, pur se anch’essi, come gli altri, di natura non patrimoniale”, il che “non impedisce che la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, quanto a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto, se una lesione dell’integrità psico-fisica sia riscontrata, e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica”, e ciò perché “il danno biologico non è configurabile se manchi una lesione dell’integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica: in tal senso si è orientato il legislatore con gli artt. 13 del decreto legislativo 23.2.2000 e 5 e 38 della legge 57/01, prevedendo che il danno biologico debba essere suscettibile di accertamento o valutazione medico-legale”.
Sarà la Corte costituzionale, dal suo canto, pochi mesi dopo la pubblicazione delle sentenze “gemelle” del 2003, che menzionerà espressamente la nuova categoria di danno in un passaggio della sentenza n. 233, “tributandogli, in seno al “nuovo” art. 2059 c.c., un espresso riconoscimento, anche semantico, al fianco del danno biologico e del danno morale subbiettivo, in un sistema risarcitorio dei danni ormai definitivamente riconosciuto come sistematicamente bipolare (danno patrimoniale/danno non patrimoniale) e sottosistemicamente pentapartito (lucro cessante/danno emergente, da un canto; danno morale subbiettivo/danno biologico in senso stretto/danno “derivante da lesione di altri interessi costituzionalmente protetti”, dall’altro). Il giudice delle leggi, difatti, diversamente dalla Corte Suprema, discorre espressamente di un “danno, spesso definito in dottrina e in giurisprudenza come esistenziale, derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona diversi da quello all’integrità psichica e fisica della persona conseguente ad un accertamento medico, ex art. 32 della Costituzione” (Cass. 25 febbraio 2008, n.4712).
4. Sistema aquiliano: monocentrico o bicentrico?
Alla luce del riordino dl sistema aquiliano la dottrina si interroga sul ruolo sistematico dell’art. 2059 Cc. Si afferma giustamente che l’art. 2059 non costituisce un’ipotesi autonoma di danno, avente caratteristiche proprie (M. Bona).
Pertanto alla domanda se il nostro sistema risarcitorio è un sistema con due Grundnorm (art. 2043 e art. 2059) si è risposto che il sistema aquiliano ha avuto e presenta un solo centro. L’art. 2043 infatti sintetizza e descrive gli elementi necessari perché possa esserci un danno risarcibile, caratterizzati dal requisito dell’ingiustizia. L’art. 2059 si pone a completamento della tutela risarcitoria del danneggiato. Fulcro dell’intero sistema risarcitorio e criterio di selezione dei danni risarcibili è, in entrambe le ipotesi, l’ingiustizia del danno subito.
Anche laddove si è affermata l’inutilità dell’art. 2059 Cc qualificato quale inutile doppione dell’art. 2043, si è risposto che la funzione precipua dell’art. 2059 è selezionare i danni non patrimoniali, limitandoli “ai casi previsti dalla legge” (L. D’Apollo, Danno biologico: casi e principi giurisprudenziali, 2008).
Si è assistito ad un appannamento dell’accertamento rigoroso del requisito dell’ingiustizia del danno, soprattutto da parte della giurisprudenza di merito e dei giudici di pace laddove si è dato la stura ai cd danni micro-esistenziali: qualsiasi lesione (anche a valori dubbiamente costituzionali) ha portato ad un risarcimento del danno.
Si vedano i casi danno da intasamento della cassetta delle lettere (G.d.p. Bari sent. 22 dicembre 2003); danno da ritardato allacciamento della linea telefonica (G.d.p. Roma sent. 11 luglio 2003); danno da spamming telefonico (G.d.p. Napoli sent. 29 maggio 2005); danno da black out elettrico (G.d.p. Caserta sent. 10 maggio 2005); danno da cattivo taglio dei capelli (G.d.p. Catania sent. 25 aprile 2003); danno da smarrimento del bagaglio (G.d.p. Massa sent. 17 novembre 2003); danno da illegittima contravvenzione (G.d.p. Roma sent. 15 novembre 2003); danno da accanimento fiscale (Trib. Venezia 19 marzo 2007);danno da ritardo aereo (G.d.p. Bari sent. 7 novembre 2003). (sul punto ampiamente si rinvia a C. Venditti, Il danno da stress alla luce della giurisprudenza recente, Focus Altalex Massimario agg. del 5.3.2008).
Parte della dottrina (Busnelli; Ponzanelli) ha perciò ritenuto di selezionare i danni (esistenziali) risarcibili in base alla gravità dell’offesa arrecata.
Altra tesi rifiuta nettamente tale ricostruzione perché inserisce un requisito non richiesto dal legislatore, e altera i criteri normativi di accertamento del danno risarcibile.
In tali ipotesi si utilizza lo strumento risarcitorio non quale ricomposizione del danno subito (teoria della funzione riparatoria del risarcimento), perché il danno non è ingiusto; lo strumento risarcitorio è visto quale sanzione alla lesione provocato sulla scia dei punitive damage previsti in altri ordinamenti, ma non nel nostro sistema risarcitorio.
Concordiamo pertanto con la tesi che ritiene che la selezione dei danni (esistenziali) risarcibili sia sottoposta alla tassatività dell’art. 2059 in combinato disposto con le norme costituzionali, in ragione del requisito dell’ingiustizia del danno (Di Marzio).
Pertanto non ogni lesione di una situazione giuridica soggettiva, quale evento in sé è risarcibile (danno evento); ma solo quelle lesioni che producono un danno (conseguenza) che sia qualificabile come ingiusto ovvero contra ius, e cioè lesivo di un diritto soggettivo (assoluto), e non iure, e cioè derivante da un comportamento non giustificato da altra norma (si veda ampiamente L. Viola, La responsabilità civile e il danno, 2007, Halley ed.).
Vale la pena ricordare l’insegnamento di Cassazioni Sezioni unite n. 500 /1999, secondo cui “l’art. 2043 c.c. prevede l’obbligo del risarcimento del danno quale sanzione per una condotta che si qualifica come illecita, sia perché contrassegnata dalla colpa del suo autore, sia perché lesiva di una posizione giuridica della vittima tutelata erga omnes da altra norma primaria; l’ingiustizia menzionata dall’art. 2043 c.c. è male riferita al danno, dovendo piuttosto essere considerata attributo della condotta, ed identificata con l’illiceità, da intendersi nel duplice senso suindicato; la responsabilità aquiliana postula quindi che il danno inferto presenti la duplice caratteristica di essere contra ius, e cioè lesivo di un diritto soggettivo (assoluto), e non iure, e cioè derivante da un comportamento non giustificato da altra norma”.
Tali requisiti devono oggi estendersi anche all’art. 2059 Cc.
In ordine all’esistenza stessa del danno esistenziale sono andate fronteggiandosi, negli ultimi anni, due contrapposte scuole di pensiero, definite, rispettivamente, “esistenzialista” e “anti-esistenzialista”.
5. La tesi pro danno esistenziale o cd esistenzialista
L’ordinanza di rimessione della III sez sottolinea che si è assistito, “in dottrina e in giurisprudenza, ad ulteriori ripiegamenti, a reiterati (e non di rado preconcetti) arroccamenti su posizioni nuovamente contrapposte (talvolta in modo del tutto acritico, tanto da evocare l’idea kantiana di giudizio analitico a priori), quasi che il danno esistenziale, novella categoria metagiuridica di pensiero, dovesse corrispondere all’idea che ciascuno degli interpreti del pianeta dell’illecito civile si era comunque formato “a priori”, piuttosto che rappresentare il terreno di coltura e di analisi, sul piano positivo (e sulla base dell’esistente, del de iure condito, del diritto vivente), di una nuova categoria di danno del terzo millennio”.
Sia la I sezione, sia la sezione lavoro (rispettivamente, con le sentenze 9009/2001 e 7713/2000) ha ricondotto il danno esistenziale a “tutte le compromissioni delle attività realizzatrici della, persona umana (impedimenti alla serenità familiare, al godimento di un ambiente salubre e di una situazione di benessere, al sereno svolgimento della propria vita lavorativa)”: al pari dei pregiudizi alla salute, i pregiudizi attinenti alla dimensione esistenziale, comprensivi dei “disagi e turbamenti di tipo soggettivo”, non potevano ritenersi privi di tutela risarcitoria sulla scorta della “lettura costituzionalmente orientata del sistema della responsabilità civile”.
Secondo tale impostazione la categoria del danno esistenziale rendeva risarcibile (naturalmente, ex art. 2043 c.c., ratione temporis) ogni pregiudizio, anche solo soggettivo, che riguardasse la sfera della persona e derivasse dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante: “l’art. 2043 c.c., correlato agli artt. 2 e ss. Cost., va così necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana” (così, testualmente, la sentenza 7713/2000). Unico limite posto, sotto il profilo naturalistico, ai pregiudizi risarcibili a titolo di danno esistenziale era costituito dalla rilevanza del “mero patema di animo interno” siccome distinto dai disagi e turbamenti di tipo soggettivo: il danno esistenziale si poneva quindi, in tale prospettiva, come una sorta di “danno morale civilistico”, sempre di più ispirato al modello del francese “dommage moral”.
6. La tesi contro il danno esistenziale o cd antiesistenzialista
Due pronunce della III sezione, sono di segno radicalmente opposto rispetto a quelle poc’anzi ricordate. In tali decisioni è sposata la tesi espressamente contraria alla figura del danno esistenziale: si tratta di Cass. 15449 del 2002 e Cass. 15022 del 2005.
Si riparta il passo argomentativo in merito chiarificatore dell’ordinanza in commento:
Secondo Cass. 15449 del 2002 e, soprattutto, Cass. 15022 del 2005, i principi applicabili al tema del danno non patrimoniale dovevano ritenersi quelli secondo cui:
a) mentre per il risarcimento del danno patrimoniale il riferimento al “danno ingiusto” comporta una atipicità dell’illecito ex art. 2043, come ribadito dal Cass. ss. uu. 500/1999 in tema, di risarcibilità degli interessi legittimi, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile;
b) la lettura costituzionale dell’art. 2059 limita oggi il risarcimento dei danni non patrimoniali ai casi previsti dalla legge ed a quelli di lesioni di specifici valori costituzionalmente garantiti della persona;
c) di conseguenza, appare illegittimo ogni riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale nella quale far confluire fattispecie non previste dalla norma e non necessitate dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 cc. perché questo comporterebbe la atipicità anche del danno non patrimoniale;
d) quanto, poi, al risarcimento del danno da uccisione del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale, questo sarebbe legittimo perché il relativo interesse si concreta nell’interesse alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29, 30 Cost.: essa si colloca nell’area del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 e si distingue sia dall’interesse al bene “salute” (protetto dall’art. 32 e tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico) sia dall’interesse all’integrità morale (protetto dall’art. 2 della Costituzione e tutelato attraverso il risarcimento del danno morale soggettivo).
7. La posizione intermedia di Cassazione n. 6732/2005
Nell’ottica dell’adozione di una posizione per così dire “intermedia” (pur non discorrendo espressamente di danno esistenziale), merita menzione la pronuncia di cui a Cass. 6732/2005, secondo la quale la lesione di diritti inviolabili o fondamentali e di interessi giuridici protetti perché inerenti a beni della vita o essenziali per la comunità, come l’habitat, l’inquinamento, l’ambiente di lavoro, comporta una eterogeneità di situazioni che rendono difficile una classificazione categoriale generale, ma, ciononostante, la lesione della reputazione dell’imprenditore derivante dall’illegittimo protesto, in quanto incidente su valori fondamentali della persona, determina, un danno non patrimoniale che risulta risarcibile ai sensi dell’art. 2059 anche in assenza dell’accertamento di un fatto reato.
8. Le Sezioni Unite 2006: demansionamento e danno esistenziale
Autorevole conferma della riorganizzazione del sistema aquiliano è fornito nella sentenza delle sezioni unite del marzo 2006 che, sia pur in relazione ad una specifica e peculiare vicenda come quella del demansionamento e della dequalificazione di un lavoratore subordinato, ha affermato che “il danno non patrimoniale all’identità professionale sul luogo di lavoro, all’immagine o alla vita di relazione o comunque alla lesione del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro è tutelato dagli artt. 1 e 2 della Costituzione”; specificando che tale danno consiste “in ogni pregiudizio che l’illecito (datoriale) provoca sul fare a-reddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno”; aggiungendo che “peraltro, il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva e interiore propria del cd. danno morale, ma oggettivamente accertatile del pregiudizio”.
9. La rottura dell’apparente equilibrio
Dopo la decisione delle Sezioni Unite del 2006 molti in dottrina ritenevano che il sistema risarcitorio fosse stato definitivamente esplorato e pacificato.
Con due successive sentenze Cass. 17.7.2006 n. 15760; Cass. 9.11.2006 n. 23918 si rimette in discussione l’esistenza ontologica del danno esistenziale. Si ripropone la tesi anti-esistenzialista sottolineando che “ai fini dell’art. 2059, non può farsi riferimento ad una generica, categoria di “danno esistenziale”, poiché attraverso questa via si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pur attraverso l’individuazione dell’apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale”.
Secondo tali decisioni “mentre per il risarcimento del danno patrimoniale, con il solo riferimento al danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell’art. 2043 c.c. comporta un’atipicità dell’illecito, come esattamente affermato a seguito degli arresti della S.C. nn. 500 e 501 del 1999, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile, infatti la struttura dell’art. 2059 c.c. limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge”.
Pertanto il danno esistenziale da demansionamento, così come affermato dalle SU 2006, sarebbe ristretto entro la circoscritta dimensione del rapporto contrattuale, tale essendo stata la fattispecie in concreto portata all’attenzione delle sezioni unite della corte e risolta con la sentenza del marzo 2006. Sarebbe, pertanto, identificabile un danno esistenziale da rapporto contrattuale – quale quello di lavoro, che ripete la sua ragion d’essere dall’art. 2087 – e un danno da illecito extracontrattuale non definibile come “esistenziale”, perché “ai fini dell’art. 2059 non può farsi riferimento ad una generica categoria di danno esistenziale dagli incerti e non definiti confini.
10. I quesiti posti all’attenzione delle Sezioni unite
Riportiamo i passi motivazionali rilevanti concernenti i quesiti giuridici cui le Sezioni Unite dovranno rispondere.
1) Rispetto alla tripartizione delle categorie del danno non patrimoniale operata dalla corte costituzionale nel 2003, è lecito ed attuale discorrere, a fianco del danno morale soggettivo e del danno biologico, di un danno esistenziale, con esso intendendosi il danno derivante dalla lesione di valori/interessi costituzionalmente garantiti, e consistente nella lesione al fare a-reddituale del soggetto, diverso sia dal danno biologico (cui imprescindibile presupposto resta l’accertamento di una lesione medicalmente accertabile) sia dal danno morale soggettivo (che attiene alla sfera dell’intimo sentire)?
2) I caratteri morfologici del danno “esistenziale” così rettamente inteso consistono nella gravità dell’offesa, del diritto costituzionalmente protetto (come pur postulato da autorevole dottrina), ovvero nella gravità e durevolezza delle conseguenze dannose scaturenti dal comportamento illecito?
3) Va dato seguito alla teoria che distingue tra una presunta “atipicità dell’illecito patrimoniale” rispetto ad una presunta “tipicità del danno non patrimoniale” (Cass. 15022/2005, secondo la quale, come si è già avuto modo di ricordare in precedenza, mentre per il risarcimento del danno patrimoniale, con il solo riferimento al danno ingiusto, la clausola generale e primaria dell’art. 2043 c.c. comporta un’atipicità dell’illecito, eguale principio di atipicità non può essere affermato in tema di danno non patrimoniale risarcibile che sarebbe, dunque, tipico in quanto la struttura dell’art. 2059 c.c. limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge”), o va piuttosto precisato che quello della atipicità dell’illecito – di cui alla Generalklausel dell’art. 2043 – è concetto riferibile all’evento di danno, inteso (secondo la migliore dottrina che si occupa dell’argomento fin dagli anni 60) come lesione di una situazione soggettiva giuridicamente tutelata, e giammai come conseguenza dannosa dell’illecito, sì che il parallelismo con la (pretesa, ma non dimostrata) “tipicità del danno non patrimoniale” parrebbe confondere, anche rispetto a tale ultima fattispecie, il concetto di evento di danno con quello di conseguenza dannosa dell’evento?
4) Deve, ancora, darsi seguito all’orientamento, espresso da Cass. n. 23918 del novembre 2006, secondo il quale il dictum di cui alla sentenza a sezioni unite di questa corte del precedente mese di marzo doveva intendersi limitato, quanto al riconosciuto danno esistenziale, al solo ambito contrattuale, ovvero affermarsi il più generale principio secondo cui il danno esistenziale trova cittadinanza e concreta applicazione tanto nel campo dell’illecito contrattuale quanto in quello del torto aquiliano?
5) A quale tavola di valori/interessi costituzionalmente garantita pare corretto riferirsi, oggi, per fondare una legittima richiesta risarcitoria a titolo di danno esistenziale? In particolare, un danno che non abbia riscontro nell’accertamento medico, ma incida tuttavia nella sfera del diritto alla salute inteso in una ben più ampia accezione (come pur postulato e predicato in sede sovranazionale) di “stato di completo benessere psico-fisico” può dirsi o meno risarcibile sotto una autonoma voce di danno esistenziale da lesione del diritto alla salute di tipo non biologico dacché non fondato su lesione medicalmente accertabile? (la questione trova una sua possibile, concreta applicazione, tra le altre, nella vicenda dell’uccisione dell’animale di affezione, di cui sopra si è dato cenno);
6) Quali sono i criteri risarcitori cui ancorare l’eventuale liquidazione di questo tertium genus di danno onde evitare illegittime duplicazioni di poste risarcitorie? Possono all’uopo soccorrere, in parte qua (come accade per il danno morale soggettivo) le tabelle utilizzate per la liquidazione del danno biologico, ovvero è necessario provvedere all’elaborazione di nuove ed autonome tabelle?
7) Quid iuris, ancora, in ordine a quella peculiare categoria di danno cd. “tanatologico” (o da morte immediata), la cui risarcibilità è stata costantemente esclusa dalla giurisprudenza tanto costituzionale quanto di legittimità, ma che pare aver ricevuto un primo, espresso riconoscimento, sia pur a livello di mero obiter dictum, con la sentenza n. 15760 del 2006 della III sezione di questa corte?
8 ) Quali sono, in concreto, gli oneri probatori e gli oneri di allegazione posti a carico del danneggiato che, in giudizio, invochi il risarcimento del danno esistenziale (il problema si è posto in tutta la sua rilevanza in fattispecie quali quella dell’uccisione di un figlio minore: la relativa domanda risarcitoria è stata, difatti, negata, con riferimento al caso di specie, da Cass 20987/2007, proprio in relazione ad una vicenda di uccisione di una giovanissima figlia, per insufficiente allegazione e prova, da parte dei genitori/attori, della relativa situazione di danno, diversa da quella relativa al danno morale soggettivo e da quella psicofisica di danno biologico).
11. L’incertezza del sistema e la necessità di conferme
La Sezione remittente coglie l’occasione (ghiotta!) per ottenere conferme sul riassetto del sistema risarcitorio. Infatti la rivoluzione del 2003 è stata fatta dalla III sez. e, oltre l’avallo di Corte Costituzionale n. 233/2003, manca l’imprimatur definitivo delle Sezioni Unite, essendo controverso e per lo più un obiter dictum l’intervento delle SU nel 2006 sul demansionamento.
La necessità di certezza, si traduce così, nella richiesta di conferme sui seguenti punti d’analisi:
Le sezioni unite sono altresì chiamate a dare conferma (o, eventualmente, a precisare o modificare), sulla base della propria stessa giurisprudenza, in ordine ad alcune ulteriori proposizioni, che possono così sintetizzarsi:
1) il danno patrimoniale è risarcibile ex art. 2043 c.c., quello non patrimoniale secondo il combinato disposto degli artt. 2043 + 2059 c.c.;
2) la categoria del danno patrimoniale si articola nelle due sottovoci del lucro cessante e del danno emergente;
3) la categoria del danno non patrimoniale si articola a sua volta in un sottosistema composto dal danno biologico in senso stretto, dal danno esistenziale, dal danno morale soggettivo;
4) il danno biologico e il danno esistenziale hanno morfologia omogenea (entrambi integrano una lesione di fattispecie costituzionali, quella alla salute il primo, quelle costituite da “valori/interessi costituzionalmente protetti” il secondo) ma funzioni diversificate (anche per volontà del legislatore ordinario), con conseguenti differenze sul piano dei parametri valutativi delle poste risarcitorie;
5) in particolare, il danno esistenziale attiene alla sfera del fare a-reddituale del soggetto, e si sostanzia nella lesione di un precedente “sistema di vita”, durevolmente e seriamente modificato, nella sua essenza, in conseguenza dell’illecito;
6) il danno morale soggettivo si caratterizza, invece, per una diversa ontogenesi, restando circoscritto nella sfera interiore del sentire, mai destinata all’obbiettiva esteriorizzazione;
7) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono incondizionatamente risarcibili entro i limiti della riserva di legge di cui all’art. 2059 c.c.;
8 ) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili anche oltre quei limiti se (e solo se) il comportamento del danneggiante abbia inciso su valori/interessi costituzionalmente tutelati (e il superamento del limite della riserva di legge vale tanto per l’una quanto per l’altra categoria di danno, come si legge testualmente nella sentenza 8828/2003 della S.C.);
9) tanto il danno esistenziale quanto il danno morale soggettivo sono risarcibili se (e solo se) di entrambi il danneggiato fornisca la prova (anche mediante allegazioni e presunzioni), non esistendo, nel nostro sottosistema civilistico, “danni in re ipsa”.

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Interessante articolo che sviluppa approfonditamente il danno patrimoniale.
Sullo stesso argomento vi suggerisco anche la lettura di questo articolo:
http://www.avvocatogianlucamengoni.it/1215/a-quanto-ammonta-risarcimento-incidente-stradale
spero vi sia utile!
Cordiali Saluti,
Avv. Mengoni
verament euna sentenz ailluminante riportata in un buon articolo, sentenz ache chiarisce molto i vari tipi di danno, grazie