Estratto da una relazione da me tenuta sull’ “Onere di allegazione e prova nel processo civile”.
Le «obbligazioni di mezzi» sono quelle obbligazioni nelle quali il debitore si obbliga ad eseguire diligentemente una prestazione, senza però garantire il risultato finale avuto di mira dal creditore. Al contrario, nelle «obbligazioni di risultato» il debitore si obbliga a raggiungere proprio il risultato voluto dal creditore.
Fino a qualche anno fa, almeno da un punto di vista teorico, era chiarissima la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. Nella pratica, invece, non era (e non è) sempre facile stabilire la natura di mezzi o di risultato di una obbligazione.
Esempi classici di obbligazioni di mezzi sono le obbligazioni dei medici e degli avvocati, anche se non tutte le prestazioni forensi e mediche possono definirsi di mezzi. Se, ad esempio, mi rivolgo ad un avvocato per avere un modello di contratto di locazione o di contratto preliminare di vendita entro una certa data, l’avvocato si obbliga a garantire un risultato e non semplicemente ad essere diligente. Pertanto, se entro quella data non mi fornisce il contratto che ho richiesto, l’avvocato sarà certamente inadempiente, senza necessità di andare ad indagare quale è stata la diligenza profusa nel caso specifico. E così può dirsi rispetto a certi interventi di carattere medico definiti di routine.
Questa distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato è entrata in crisi per effetto di alcune sentenze della Corte di cassazione (v. in particolare Cass. S.U. 577/2008) che pronunciandosi sul tema della ripartizione degli oneri probatori hanno stabilito che alcuna differenza esiste tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato. In altre parole, in entrambe le obbligazioni il debitore deve dimostrare di avere esattamente adempiuto la propria prestazione ricorrendo altrimenti in responsabilità (cfr. art. 1218 c.c.; Cass. S.U. 13533/2001).
In realtà esiste una differenza tuttora rilevante tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato e ciò in particolare proprio con riferimento all’allegazione dei fatti. Facciamo subito un esempio. Partiamo con una tipica obbligazione di risultato: la realizzazione di un’opera e in particolare di una casa. Il committente affida all’appaltatore l’incarico di costruire una casa. Supponiamo che dopo dieci giorni dalla fine della costruzione la casa crolli. Che cosa dovrà allegare il committente che conviene in giudizio l’appaltatore per sentirlo condannare al risarcimento di tutti danni? Dovrà semplicemente allegare l’esistenza del contratto, il fatto che la casa era stata completata un certo giorno, il fatto che la casa è crollata dopo dieci giorni. Ciò è sufficiente per introdurre la domanda risarcitoria (fermo restando che il committente dovrà naturalmente allegare anche i danni che ritiene di aver subito). Il committente non deve spiegare le ragioni per cui la casa è crollata. Non deve spiegare in che cosa è consistita la mancata diligenza dell’appaltatore. Può semplicemente limitarsi a dire che la casa è collassata.
E questo vale in tutte quelle obbligazioni in cui il risultato rientra nell’oggetto della prestazione. Il mittente può limitarsi ad allegare in giudizio che la cosa non è stata consegnata o è stata consegnata danneggiata dal vettore; il comodante può limitarsi ad allegare che il comodatario non ha riconsegnato la cosa entro il termine stabilito. È così via.
Analizziamo invece ora il discorso con riferimento alle obbligazioni di mezzi. Può il cliente-imputato limitarsi ad allegare che il proprio difensore non è riuscito a farlo assolvere? Evidentemente no. Può il cliente-attore contestare al proprio difensore di non essere stato in grado di ottenere una sentenza favorevole? Evidentemente no. Nelle obbligazioni di mezzi l’allegazione dell’inadempimento non può consistere nel semplice risultato voluto dal cliente, perché quel risultato non fa parte dell’oggetto della prestazione in via immediata, ma solo in via mediata; pertanto in queste cause l’allegazione consisterà nell’indicare quei comportamenti contrari alla diligenza che hanno determinato la condanna o la soccombenza. E deve trattarsi di comportamenti che hanno avuto un’efficienza causale rispetto alla condanna o alla soccombenza, per la semplice ragione che non può parlarsi di responsabilità qualora, nonostante il comportamento non diligente, vi sarebbe stata ugualmente condanna o soccombenza.
Per spiegare meglio questa affermazione facciamo un altro esempio. Supponiamo che Tizio convenga in giudizio il vicino Caio al fine di sentirlo condannare a tenere chiuse le persiane della propria abitazione a tutela della propria di privacy. Supponiamo che l’avvocato di Tizio, pur avendo a disposizione il nome di alcuni testimoni, non formuli alcuna prova testimoniale. La sentenza, ovviamente, rigetterà la domanda nel merito in quanto manifestamente infondata, posto che il nostro ordinamento non riconosce il diritto soggettivo fatto valere dall’attore Tizio. Totalmente ininfluente è pertanto la mancata richiesta di prove testimoniali. Pertanto un’eventuale domanda di risarcimento danni nei confronti dell’avvocato di Tizio basata sull’omessa diligenza consistita nel non aver richiesto prove testimoniali sarebbe fatalmente destinata all’insuccesso, in quanto la domanda era comunque infondata e non aveva serie possibilità di essere accolta. Questione diversa è quella della responsabilità del difensore per non aver dissuaso Tizio dal promuovere un’azione così manifestamente infondata, ma questo è un profilo diverso di inadempimento che deve essere dedotto autonomamente nell’atto introduttivo del giudizio.
Alla luce di quanto detto, pertanto, il difensore dovrà calibrare diversamente l’allegazione dei fatti a seconda che si trovi di fronte ad una obbligazione di mezzi o di risultato, fermo restando che graverà sul debitore in entrambe le ipotesi l’onere della prova di avere esattamente adempiuto la prestazione o che l’inadempimento o l’inesatto adempimento è dipeso da impossibilità derivante da causa a lui non imputabile (cfr. art. 1218 c.c.).

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ottimo e chiarezza di linguaggio.-
Egr. Avv. Minardi, una considerazione sull’onere probatorio in materia di inadempimento delle obbligazioni di risultato.
Sappiamo che dopo la sentenza a sezioni Unite della Cassazione 30/10/2001, n. 13.533, la disciplina in materia di prova dell’inadempimento è unitario per le obbligazioni di mezzi e quelle di risultato, nel senso che il creditore deve limitarsi ad allegare l’inadempimento del debitore.
Mi chiedo perché, allora, in relazione a determinate obbligazioni di risultato, esempio lampante quella dell’appaltatore, la prassi dei Tribunali richiede che il committente-creditore dimostri l’esistenza dei vizi da cui risulta affetta l’opera, atteso che in virtù del richiamato principio enunciato dalla Cassazione, dovrebbe essere sufficiente, per il committente, allegare semplicemente le imperfezioni dell’opera.
Forse che in tali casi soccorre il principio di vicinanza della prova, la quale è sicuramente nella disponibilità del committente, il quale utilizza e fruisce quotidianamente dell’opera realizzata dall’appaltatore?
Ma allora non sarebbe il caso, nella materia della spettanza dell’onere probatorio dell’inadempimento, invece che enunciare principi generali che non sempre si confanno al singolo caso, privilegiare un approccio squisitamente casistico?
@Angelo: la questione dell’onere della prova è tutt’altro che definita infatti, specie in materia di vizi e difetti sia nell’appalto che nella vendita