Il nuovo rito per i licenziamenti. Il novellato art. 18 S.L. (II parte).

Mirco Minardi

I INTRODUZIONE

II L’AMBITO DI APPLICAZIONE

II.1 IL VECCHIO E IL NUOVO ARTICOLO 18 S.L..

In quali casi si applica il nuovo procedimento giudiziario specifico? In proposito, il fondamentale comma 47 dell’art. 1 della legge 92/2012 stabilisce che il procedimento de quo si applica alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto.

Si parla dunque espressamente di “ipotesi regolate dall’art. 18 … anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto”.

Vediamo allora quali ipotesi sono regolate oggi dall’art. 18 S.L., non senza però aver prima richiamato, in estrema sintesi, la precedente versione.

Prima della riforma Fornero, l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevedeva il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro in ogni caso di licenziamento illegittimo, nullo ed inefficace, in presenza di specifici requisiti dimensionali del datore di lavoro.

Il lavoratore aveva anche il diritto di percepire le retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegrazione, detratto il c.d. aliunde perceptum e, cioè, l’eventuale reddito percepito per lo svolgimento, medio tempore, di un’altra attività lavorativa, subordinata o autonoma. Come pure, aveva diritto alla regolarizzazione contributiva, mediante il versamento della dovuta contribuzione maturata.

L’ambito di applicazione della norma riguardava:

  • il licenziamento intimato per giusta causa;
  • il licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo;
  • il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo (cioè a fronte di una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ascrivibile alle condizioni aziendali).

L’obbligo di reintegrazione, in presenza dei requisiti dimensionali, non faceva distinzione tra vizi di forma e di sostanza. In altre parole, tanto la violazione di norme procedurali (ad esempio nella contestazione o nella irrogazione della sanzione), tanto la violazione di norme sostanziali (ad esempio l’insussistenza del fatto, ovvero ancora l’insufficiente gravità, o la previsione nel CCNL di una sanzione conservativa per l’illecito commesso) comportava sempre l’obbligo della reintegrazione e le ulteriori condanne.

Il presupposto dimensionale era irrilevante solo qualora il licenziamento fosse stato disposto per motivi discriminatori o ritorsivi.

Il sistema, dunque, era assai semplice: salve le ipotesi di licenziamento discriminatorio o ritorsivo, l’obbligo di reintegrazione dipendeva solo ed esclusivamente dalle dimensioni del datore di lavoro.

Oggi, invece, l’art. 18 è assai più articolato. A tal riguardo, la dottrina ha enucleato ben cinque regimi differenti (quattro dei quali soggetti al rito specifico) in base alle conseguenze previste dalla legge e queste conseguenze dipendono o dal tipo di invalidità, ovvero tanto dal tipo di invalidità, quanto dal regime dimensionale.

I casi più gravi, quelli della prima categoria, conducono ad una sentenza con la quale il giudice dichiara la nullità del licenziamento o l’inefficacia del licenziamento orale con la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna al risarcimento integrale del danno, a prescindere dal requisito dimensionale del datore di lavoro. Si tratta delle seguenti ipotesi previste dal comma 1 dell’art. 18:

  • Licenziamento discriminatorio
  • Licenziamento in concomitanza di matrimonio
  • Licenziamento in violazione delle norme a tutela del sostegno della maternità e della paternità
  • Licenziamento nullo per casi previsti dalla legge
  • Licenziamento basato su motivi illeciti
  • Licenziamento orale

Nella seconda categoria di situazioni il giudice pronuncia l’annullamento del licenziamento, con condanna alla reintegrazione e al risarcimento del danno mediante il pagamento di una indennità che comunque non può essere superiore a 12 mensilità. Sono questi i casi previsti dal quarto comma e dalla prima parte del settimo comma.

Casi previsti dal IV comma:

  • Mancanza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo per insussistenza del fatto contestato ovvero perché’ il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili

Casi previsti dalla prima parte del settimo comma:

  • Difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore
  • Licenziamento intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile

Una terza categoria porta ad una sentenza con la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro a pagare una indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Si tratta dei casi disciplinati dal quinto comma e dalla seconda parte del settimo comma.

Casi previsti dal V comma:

  • Altre ipotesi in cui si accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro

Casi previsti dalla seconda parte del VII comma:

  • Altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo.

Infine, la quarta e ultima categoria sfocia con una sentenza con la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento ma condanna il datore di lavoro a pagare una indennità risarcitoria omnicomprensiva determinate in misura ridotta a un minimo di sei ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Sono questi i casi previsti dal sesto comma.

Casi previsti dal VI comma:

  • Licenziamento dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, per violazione della procedura di cui all’articolo 7 della presente legge, o per violazione della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604

Come già detto, le conseguenze per il licenziamento nullo o inefficace previste dal primo comma prescindono completamente dal numero dei dipendenti occupati. Al contrario, le altre tre portano alle sentenze di cui si è detto solo in presenza dei requisiti numerici fissati dall’ottavo ed al nono comma del medesimo articolo. In assenza dei requisiti numerici, l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento nei casi rientranti nella seconda terza e quarta categoria comporterà le conseguenze previste dall’articolo 8 della legge 604 del 1966 il quale dispone:

“Quando risulti accertato che non ricorrono gliestremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”.

Ciò significa che in caso di licenziamento invalido vi sono cinque regimi di conseguenze giuridiche differenti a seconda che l’invalidità rientri in una delle categorie poco fa esaminate, in combinato disposto con il numero dei dipendenti. Al contrario, la normativa vigente, come più volte ripetuto, non faceva distinzione in base al tipo di invalidità del licenziamento (fatta eccezione per quello discriminatorio o ritorsivo) ma prevedeva solo una diversificazione di tutele, reale e obbligatoria, in base al numero dei dipendenti. Per cui oggi la situazione è divenuta molto più complicata perché il tipo di invalidità incide non solo sul tipo di sanzione ma anche sul rito da seguire!

Oggi rientrano nel rito specifico e quindi nella corsia preferenziale tutte le ipotesi in cui trova applicazione l’art. 18 e quindi in presenza dei requisiti dimensionali del datore di lavoro ovvero, nei casi previsti dal primo comma, a prescindere dalle predette dimensioni.

Quali sono i requisiti dimensionali? Deve trattarsi di datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché’ al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti. Ai fini del computo del numero dei dipendenti si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano invece il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

Nei prossimi articoli analizzeremo alcune questioni controverse circa l’ambito di applicazione.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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4 commenti:

  1. Pietro F.Grillo

    Quale regime…sui termini di impugnazione del licenziamento e relativa azione giudiziale.
    Stante le continue scadenze e novità che ci tormentano, penso possa essere utile a noi avvocati, e quindi riporto, un interessante scritto di Meucci Mario, (UniFI)
    ….momento genetico del diritto d’impugnazione del licenziamento (quale “actus” cui far riferimento per la normativa processuale temporalmente applicabile) risiede nella notifica del medesimo al lavoratore, sempreché seguito dall’impugnativa stragiudiziale nei (mantenuti) 60 giorni. Pertanto nel caso in cui questa notifica sia avvenuta sotto il regime antecedente quello processuale di impugnativa introdotto dalla l. n. 183/2010, i termini per l’impugnativa e la proposizione dell’azione giudiziale sono quelli previgenti, in cui la decadenza per la proposizione e il deposito del ricorso innanzi al Giudice del lavoro era fissata entro l’arco temporale di decorso del termine prescrizionale dei 5 anni. Lettura di tutto l’articolo in http://www.altalex.com/index.php?idnot=12426

  2. Daniele trancucci

    questi aggiornamenti sono davvero interessanti, e sono effettuati da persone molto competenti. gli aromenti sono trattati con molta competenza e professionalità. io sono un civilista, e mi occupo fondamentalmente di contrattualistica.



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