FRANCESCO P. LUISO: Il processo sommario di cognizione

Mirco Minardi

Lexform.it ha l’onore di pubblicare, con l’autorizzazione dell’insigne Autore, l’articolo del Prof. Luiso sul processo sommario di cognizione, già pubblicato su www.judicium.it

Buona lettura!!!

 

FRANCESCO PAOLO LUISO

SOMMARIO: 1. La fase introduttiva; 2. L’incompetenza e la decisione in composizione collegiale; 3. La deviazione del processo verso il rito a cognizione piena; 4. Il cumulo processuale; 5. I presupposti dell’istruzione sommaria e la decisione; 6. L’appello

§ 1. La riforma introduce, con i nuovi articoli 702-bis – 702-quater c.p.c., un procedimento sommario di cognizione, la cui origine può essere ricondotta all’art. 46 del c.d. progetto Mastella.
Rispetto al modello originario, tuttavia, il nuovo strumento processuale presenta rilevanti differenze, in quanto il suo ambito di applicazione è stato ampliato, il procedimento è disciplinato in modo più dettagliato, ed anche l’intitolazione è stata correttamente modificata. L’art. 46 del progetto Mastella, infatti, era rubricato come “procedimento sommario non cautelare”, ma in realtà introduceva un procedimento sommario di cognizione .
Ai sensi dell’art. 702-bis, comma primo, c.p.c. l’ambito di applicazione del nuovo procedimento coincide con le cause attribuite alla decisione monocratica del tribunale. Nel progetto Mastella l’ambito di applicazione era definito con riferimento al provvedimento ottenibile: la condanna al pagamento di somme di denaro ovvero alla consegna o rilascio di cose; ora, invece, ogni tipologia di domanda può essere proposta nelle forme del rito sommario. Si deve, tuttavia, escludere che possa essere trattata con il rito sommario la causa in grado di appello – che pure è attribuita alla decisione del giudice monocratico di tribunale – in quanto ad essa si applicano le norme appunto del processo di appello, incompatibili con quelle in esame. Naturalmente debbono essere escluse le controversie di competenza del giudice di pace , nonché quelle assoggettate ad un rito speciale (lavoro, locazioni, sanzioni amministrative, etc.) La fase introduttiva – fatta salva l’utilizzazione del ricorso anziché della citazione – non è diversa da quella del rito a cognizione piena: il ricorso deve contenere gli stessi elementi della citazione (con l’ovvia esclusione della fissazione della data dell’udienza). Il ricorso, con il decreto di fissazione dell’udienza, debbono essere notificati al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per lo svolgimento dell’udienza, e il convenuto deve costituirsi almeno dieci giorni prima della data stessa. Il quarto comma dell’art. 702-bis ripete sostanzialmente quanto previsto dall’art. 167 c.p.c.; ed anche la chiamata di un terzo in causa ha luogo come nel processo a cognizione piena (art. 269 c.p.c.). Vi è solo da segnalare che l’ultimo comma dell’art. 702-bis si riferisce alla “chiamata in garanzia”, ma pare ragionevole ritenere che il legislatore abbia inteso con tale espressione richiamare l’intero art. 106 c.p.c., non essendovi ragione per escludere la chiamata per comunanza di causa. 
Concludendo, l’art. 702-bis c.p.c. delinea una fase introduttiva del procedimento sommario che coincide, mutatis mutandis, con quella del processo a cognizione piena: ed è ovvio che sia così posto che – come vedremo: art. 702-ter, terzo comma, c.p.c. – alla prima udienza si può avere un mutamento del rito sommario in rito a cognizione piena senza regressione del processo agli atti introduttivi. È quindi naturale che questi ultimi debbano coincidere con quelli del processo a cognizione piena, altrimenti una regressione del processo, in caso di mutamento di rito, non potrebbe essere evitata.

§ 2. L’art. 702-ter c.p.c. è dedicato al procedimento, e contiene le disposizioni più rilevanti dell’istituto in esame: per capire bene le quali occorre tuttavia descrivere i lineamenti fondamentali dell’istituto.
Come già anticipato, il procedimento sommario che stiamo esaminando è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella stessa identica misura di quest’ultimo (art. 702-quater c.p.c.). Si tratta, quindi, di un istituto del tutto parallelo al procedimento d’ingiunzione, dal quale diverge per taluni profili strutturali, ma non nel risultato, che in ambo i casi è un provvedimento suscettibile di produrre gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. Come il procedimento d’ingiunzione, esso si pone in alternativa al processo a cognizione piena sulla base della scelta di chi prende l’iniziativa processuale, e dunque si diversifica nettamente dai riti speciali, che costituiscono riti a cognizione piena sostitutivi e non concorrenti con il rito ordinario.
Se, dunque, il procedimento sommario è un processo di cognizione, strutturalmente diverso ma identico negli effetti al processo a cognizione piena, va da sé che i presupposti processuali generali, propri del processo dichiarativo, valgono anche per il procedimento sommario: ad essi si aggiungono i presupposti processuali speciali, propri dell’istituto in esame, che sono l’appartenenza della controversia alla decisione monocratica del tribunale e la sua suscettibilità di essere decisa con un’istruzione sommaria.
Parallelamente, poiché gli effetti dell’ordinanza prevista dall’art. 702-ter, comma quinto, c.p.c., sono gli effetti di una sentenza di uguale contenuto, la disciplina generale del processo dichiarativo vale anche per il procedimento sommario.

Ciò premesso, le ipotesi, nelle quali il procedimento non può portare all’emanazione dell’ordinanza prevista dall’art. 702-ter, comma quinto, c.p.c., sono raggruppate dal legislatore, appunto, nei primi quattro commi dell’art. 702-ter c.p.c.
In primo luogo, il tribunale adito può essere incompetente: in tal caso (comma primo), esso pronuncia ordinanza dichiarativa dell’incompetenza. La ragione, per la quale il legislatore disciplina espressamente solo una delle molteplici fattispecie di chiusura in rito del processo, sta nella contestuale modifica che la riforma introduce in relazione ai provvedimenti sulla competenza, che in futuro avranno la forma dell’ordinanza anziché quella della sentenza. Tutto qui e niente di più.
Se, invece, il giudice ritiene di essere carente di giurisdizione, o che la controversia sia devoluta ad arbitri, o che vi sia un difetto di legittimazione, etc., lo dichiarerà con ordinanza, se sarà seguita la via del rito sommario, o con sentenza, se si avrà la trasformazione del rito ex art. 702-ter, comma terzo, c.p.c.
In secondo luogo, se la domanda appartiene alla competenza del tribunale adito, ma deve essere decisa collegialmente, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile.
La norma è solo apparentemente chiara, perché pone un problema di fondo: l’ordinanza non impugnabile (e come tale non modificabile né revocabile) è suscettibile di appello, o – al limite – di ricorso straordinario in cassazione, oppure deve essere avvicinata all’art. 640 c.p.c.? In sostanza, con essa si incide sul diritto alla tutela giurisdizionale (e, dunque, un controllo sulla stessa si rende costituzionalmente necessario), oppure essa attiene solo ad una delle possibili modalità di tutela giurisdizionale, fra l’altro neppure costituzionalmente necessaria? A me sembra più convincente questa seconda ipotesi, e dunque riterrei che l’ordinanza di inammissibilità sia insuscettibile di controllo, analogamente a quanto accade per il decreto di cui all’art. 640 c.p.c.
L’altro problema che pone questa specifica fattispecie di chiusura in rito del processo riguarda l’ipotesi inversa, quando cioè il giudice pronuncia con rito sommario su una controversia che appartiene alla decisione collegiale del tribunale, e la domanda relativa alla quale egli avrebbe dovuto dichiarare inammissibile. La corte di appello, che dovesse dichiarare sussistente un tale errore, dovrebbe a mio avviso chiudere in rito il processo, come avrebbe dovuto fare il giudice di primo grado. Se, infatti, il vizio è tale da non consentire una decisione di merito in primo grado, ovviamente esso non consente una decisione di merito neppure in appello: non vi è alcun motivo per il quale il difetto processuale abbia in appello un trattamento diverso da quello che avrebbe dovuto avere in primo grado. 
La disciplina della domanda riconvenzionale assoggettata a decisione collegiale sarà esaminata congiuntamente alla disciplina della domanda riconvenzionale che necessita di un’istruzione non sommaria.

§ 3. In terzo luogo, se per decidere la controversia è necessaria un’istruzione <>, il giudice fissa l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. con ordinanza non impugnabile, e quindi non modificabile né revocabile. Vedremo successivamente come debba intendersi il comma quinto dell’art. 702-ter c.p.c. il quale – delineando l’istruttoria <> – consente a contrario di stabilire quando tale istruttoria non sia idonea in concreto per la decisione della controversia.
Rinviati al prosieguo, dunque, gli approfondimenti relativi al <> della scelta a favore o contro la via sommaria e quella ordinaria, in questa sede esaminiamo la disciplina relativa a detta opzione.
Innanzitutto, se tale scelta è nel senso che la causa deve essere istruita in via ordinaria, nessun controllo è possibile: l’ordinanza non può essere modificata o revocata nel corso del processo di primo grado, ed ovviamente nessuna censura può essere avanzata con l’atto di appello.
Come si è visto, la decisione mediante istruttoria sommaria non integra un <> suscettibile di essere leso da un errore del giudice.
Se, viceversa, di fronte ad una richiesta in tal senso del convenuto il giudice ritiene di rigettarla e di procedere in via sommaria, il convenuto avrà la possibilità di trovare in appello la sede ove porre rimedio alle eventuali lacune nell’istruttoria, che si possono produrre a causa della scelta del giudice. Come vedremo, infatti , il giudizio di appello avverso l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione è aperto alle nuove attività istruttorie. 
Mentre la scelta, con la quale si devia il processo verso l’istruttoria non sommaria, è irrevocabile ed immodificabile, niente è detto a proposito della scelta opposta, che dunque potrà essere rivista dal giudice: ben potrebbero, infatti, evidenziarsi in seguito ragioni che rendono inopportuna la decisione sommaria.
In conclusione, dunque, i rapporti fra procedimento sommario e processo a cognizione piena sono caratterizzati come segue: la scelta verso il rito sommario è liberamente effettuata dall’attore; il processo sommario può convertirsi in processo a cognizione piena, ma non viceversa; giudice e convenuto non possono far niente per convertire il rito a cognizione piena in rito sommario.

§ 4. Venendo ora alla domanda riconvenzionale, e più in generale al processo cumulato (oggettivamente e/o soggettivamente), è bene ricordare quanto già detto a proposito della identità di effetti della ordinanza sommaria con quelli di una sentenza dello stesso contenuto; e quindi, più in generale, alla identica funzione svolta dal processo sommario e da quello a cognizione piena.
Ciò premesso, con riferimento alla domanda riconvenzionale, ai sensi dell’art. 702-ter, comma secondo, c.p.c., se la domanda, oggetto della riconvenzionale, deve essere decisa dal collegio, il giudice la dichiara inammissibile; ai sensi dell’art. 702-ter, comma quarto, c.p.c., quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione dalla principale, e fissa per essa l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.
Il principio che si ricava dalle due disposizioni normative sopra indicate non è quello del simultaneus processus, sibbene quello della separazione. In presenza di cause, sia pur connesse, ma delle quali alcune non possono per ragioni di diritto (perché a decisione collegiale) o per ragioni di fatto (perché necessitano di un’istruzione non sommaria) essere decise con il rito sommario, la scelta del legislatore, in linea di principio, non è il cumulo con scelta di un rito ex art. 40 c.p.c., ma la separazione. Quanto previsto espressamente per la domanda riconvenzionale deve essere esteso anche alle altre ipotesi di cumulo.
Questa soluzione può tuttavia porre problemi in caso di connessione forte o per pregiudizialità, perché qui il sistema deve garantire, a chi la richiede, la coerenza fra le decisioni.
Se, ad es., Tizio propone nei confronti di Caio, proprietario dell’autovettura, una domanda nelle forme sommarie per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da un incidente stradale, Caio può chiamare in garanzia Sempronio, conducente. Ipotizziamo che la domanda principale sia in grado di essere decisa con istruzione sommaria, e la domanda di regresso no; o viceversa. Ebbene, la separazione impedirebbe inevitabilmente la coerenza fra la domanda principale e quella di regresso.
L’unica soluzione possibile è che, in caso di cumulo per connessione forte, e quindi di cumulo non separabile, la necessità di istruzione non sommaria di una delle cause porta con sé per tutte il mutamento del rito da sommario in rito a cognizione piena.

§ 5. Alla decisione sommaria è dedicato l’art. 702-ter, comma quinto, c.p.c., il quale utilizza le stesse espressioni utilizzate dall’art. 669-sexies c.p.c. a proposito dell’istruttoria cautelare, e che già utilizzava, a proposito del procedimento sommario, il progetto Mastella; espressioni ben diverse da quelle riscontrabili nell’art. 19 del d. lgs. 5/2003 a proposito del processo sommario societario. È questo, indubbiamente, il punto più delicato ed incerto del nuovo procedimento sommario.
In estrema sintesi: il fondamento e la ratio del procedimento sommario di cognizione stanno nella manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, nella manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) sicché un’istruttoria, se non superflua, ricopre quantomeno un ruolo secondario; oppure stanno nella possibilità di svolgere un’istruttoria deformalizzata come accade per il processo cautelare? Si intenda bene: nel cautelare la deformalizzazione dell’istruttoria è funzionale alla necessità di una decisione veloce, ed è perfettamente coerente con l’inesistenza di un giudicato, sicché quanto è stato acquisito sommariamente in quella sede può essere replicato, nei modi della cognizione piena, all’interno del giudizio di merito. Qui, invece, abbiamo un provvedimento che porta al giudicato, e dunque il senso di un’istruttoria deformalizzata deve essere cercato in un’altra direzione.
Senonché, mentre si comprende il significato di un’istruttoria sommaria laddove la domanda sia palesemente fondata/infondata, non è facile individuare sulla base di quali criteri il giudice possa scegliere fra istruire la causa in modo deformalizzato, oppure istruirla nei modi ordinari. Sulla base di quali elementi il giudice potrebbe giustificare la scelta di procedere all’istruttoria in un modo oppure nell’altro, se non si fa riferimento ad una valutazione di (relative) certezza o incertezza sulla fondatezza della domanda?
Pur nella consapevolezza della estrema opinabilità della questione, ritengo dunque che i presupposti per la pronuncia dell’ordinanza sommaria non si discostino da quelli del procedimento sommario societario.
Come già più volte anticipato, l’ordinanza di accoglimento o di rigetto è suscettibile di produrre gli effetti di cui all’art. 2909 c.c., se non appellata. Essa (art. 702-ter, sesto comma, c.p.c.) è provvisoriamente esecutiva, e costituisce titolo per la iscrizione dell’ipoteca giudiziale, e per la trascrizione (più frequentemente per l’annotazione, in quanto la trascrizione della sentenza è fenomeno relativamente raro: art. 2651 c.c.). Ovviamente il giudice provvede sulle spese del processo (art. 272-ter, settimo comma, c.p.c.).

§ 6. L’ordinanza sommaria è suscettibile di appello, nel termine breve di trenta giorni, decorrente non solo dalla notificazione, ma anche dalla comunicazione, se effettuata antecedentemente alla notificazione.
La peculiarità del giudizio di appello avverso una ordinanza sommaria è di essere aperto alle nuove attività istruttorie: con la possibilità di svolgere in appello una cognizione piena, nei modi ordinari, si può rimediare ad eventuali errori del giudice di primo grado anche, come già detto, con riferimento alla scelta di percorrere la via sommaria. Per la verità, il tenore letterale dell’art. 702-quater c.p.c., sotto questo profilo, non è dei più felici, in quanto cade in un vizio logico. La fattispecie per l’ammissibilità delle nuove prove è prevista alternativamente a) nella rilevanza delle stesse; oppure b) nella dimostrazione che la parte non le ha potute proporre nel corso del processo di primo grado per causa a lei non imputabile: dunque, schematizzando a) _ X; b) _ X. Ma se così fosse, allora b) (la dimostrazione della causa non imputabile) consentirebbe di acquisire anche prove non rilevanti: il che è assurdo, perché la causa non imputabile deve riguardare prove rilevanti. Allora bisogna modificare la formula: a) _ X; b) + a ) _ X. Effettuata tale necessaria modifica, ne deriva che la fattispecie è solo a), perché non è logicamente pensabile che lo stesso effetto sia prodotto alternativamente da due fattispecie, di cui una sia composta dagli stessi elementi dell’altra e da un elemento in più. Quindi, in realtà, l’unico presupposto per l’ammissione di nuove prove in appello è la loro rilevanza.
Sembra comunque da escludere che la sommarietà del rito sia in sé causa non imputabile, perché anche nel rito sommario i documenti possono sempre essere depositate e le prove richieste.

 

[1] Sul punto v., se vuoi, LUISO, Prime osservazioni sul disegno di legge Mastella, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2007, 617- 618.

[2]Cass. 7 agosto 2008 n. 21418.

[3] Infra, § 4

[4] Infra, § 6

[5] Infra, § 6


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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