In Cass. 24036/2022 si legge che è superfluo dar conto dei motivi di impugnazione, in quanto il ricorso è manifestamente inammissibile ai sensi dell’articolo 366, n. 3, c.p.c., a causa della radicale mancanza di una chiara e comprensibile esposizione dei fatti di causa.
In particolare non era dato comprendere:
-) quale fosse l’oggetto del contendere;
-) chi avesse introdotto la lite;
-) quale era stato il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, e quali le
contestazioni sollevate dal convenuto;
-) quale era stato l’esito del giudizio di primo grado.
L’intero ricorso, poi, faceva riferimento a fatti e vicende dati per noti ma
inintelligibili, nonché a soggetti (“il giudice d’appello rigetta l’eccezione
formulata dal F…”, si legge a p. 7 del ricorso) di cui si sconosceva tanto
chi fossero, quanto se fossero o fossero stati parti in causa.
Ricorsi così concepiti sono, secondo la costante giurisprudenza
della Corte di legittimità, inammissibili per violazione dell’art. 366 n. 3
c.p.c., in quanto:
-) il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai
principi di chiarezza e sinteticità espositiva, in modo da offrire al
giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda
giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate, per poi esporre le
ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art.
360 c.p.c.; l’inosservanza di tali doveri conduce ad una declaratoria di
inammissibilità dell’impugnazione quando si risolva in una esposizione
oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle
censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di
contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (Sez. U ,
Ordinanza n. 37552 del 30/11/2021, Rv. 662971 -01);
-) il ricorso per cassazione in cui manchi o sia gravemente
carente l’esposizione dei fatti di causa e del contenuto del
provvedimento impugnato è inammissibile, e tale mancanza non può
essere superata attraverso l’esame delle censure in cui si articola il
ricorso (Sez. 1 – , Ordinanza n. 6611 del 01/03/2022, Rv. 664046 – 01);
-) il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al
dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva,
dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della
vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle doglianze proposte in
modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione
dell’intera vicenda giudiziaria (Sez. 5 – , Sentenza n. 8425 del
30/04/2020, Rv. 658196 – 01);
-) l’ammissibilità del ricorso per cassazione presuppone che la
parte riporti in esso gli elementi ed i riferimenti che consentono di
individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio
suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul
corretto svolgimento dell’ iter processuale senza compiere generali
verifiche degli atti (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019, Rv.
655419 – 01).
I principi appena trascritti, dei quali si sono indicate solo le pronunce
più recenti, costituiscono jus receptum nella giurisprudenza di legittimità,
e sono ribaditi da anni senza oscillazioni.
Il ricorrente, nondimeno, ha proposto la sua impugnazione
trascurandoli completamente.
Alla condanna alle spese fa dunque seguito, d’ufficio, la condanna del
ricorrente ai sensi dell’art. 96, comma terzo, c.p.c. La Corte infatti ha già ripetutamente affermato che costituisce responsabilità aggravata del ricorrente, ex art. 96, comma 3, c.p.c., la redazione da parte del suo difensore di un ricorso per cassazione contenente motivi del tutto generici ed indeterminati, in violazione dell’art. 366 c.p.c., in quanto il ricorrente deve rispondere delle condotte del proprio avvocato, ex art. 2049 c.c., ove questi agisca senza la diligenza esigibile in relazione ad una prestazione
professionale particolarmente qualificata, quale è quella dell’avvocato
cassazionista (ex multis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15333 del 17/07/2020,
Rv. 658367 – 01; Sez. 5 – , Sentenza n. 14035 del 23/05/2019, Rv.
654111 -01).
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