L’onere di allegazione e prova nelle cause di responsabilità professionale dell’avvocato

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Estratto da una relazione da me tenuta sull’ “Onere di allegazione e prova nel processo civile”.

Parliamo ora dell’onere di allegazione e prova nelle cause che hanno ad oggetto la responsabilità professionale dell’avvocato.

Molto spesso queste cause nascono da una soccombenza, oppure da una mancata proposizione di una impugnazione. Quali sono gli oneri di allegazione e prova del cliente-attore? Il cliente deve anzitutto allegare l’esistenza del contratto e questo in genere è pacifico; in secondo luogo deve allegare l’inadempimento del professionista e quindi spiegare in cosa è consistito l’inadempimento. Mentre se l’avvocato contesta di avere ricevuto un mandato (ad esempio nega di avere avuto il mandato di impugnare la sentenza di primo grado), il cliente dovrà provare il conferimento dell’incarico.

Badate bene, l’allegazione dell’inadempimento è fondamentale perché circoscrive il thema decidendum. Difatti, se io contesto ad un avvocato di non aver proposto un appello, oppure di avere perso una causa per imperizia, non posso poi far valere in corso di causa, ad esempio, l’omessa informazione su quelli che erano i rischi della causa, e ciò perché si tratta di profili di inadempimento diversi.

Dunque è molto importante, quando si predispone un atto di citazione, individuare i profili di responsabilità, perché ciascun profilo di inadempimento costituisce un autonomo fatto costitutivo del diritto.

Allegato ciò, spetterà all’avvocato, sulla base dei noti principi affermati dalla corte di cassazione nel 2001 (S.U. 13533/2001), l’onere di dimostrare di avere esattamente adempiuto la propria prestazione, oppure che l’inadempimento o l’inesatto adempimento è dipeso da causa a lui non imputabile in base all’articolo 1218 del codice civile.

Fino a qua per ottenere una pronuncia di accertamento dell’inadempimento del contratto finalizzata alla risoluzione, oppure alla eccezione di inadempimento, ai sensi dell’articolo 1460 c.c.. È noto, infatti, che il cliente, di fronte ad una prestazione negligente, imperita, imprudente, può limitarsi ad eccepire l’inadempimento per paralizzare la richiesta di pagamento del compenso, ma può anche chiedere, qualora sussistano i presupposti (cfr. art. 1453 c.c.), la risoluzione del contratto, che ha l’effetto di annullare le prestazioni ancora dovute e di vedersi restituire quelle già corrisposte.

Diverso, invece, è se il cliente chiede anche il risarcimento del danno, perché in questo caso egli ha l’onere di dimostrare l’esistenza di un danno e che detto danno sia riconducibile causalmente al comportamento negligente del difensore.

Il problema della causalità si pone soprattutto quando il comportamento negligente consiste in una omessa impugnazione, o in una omessa opposizione oppure quando l’impugnazione o l’opposizione vengono dichiarate inammissibili o improcedibili. In questi casi, infatti, il cliente, per poter ottenere il risarcimento del danno, ha il difficile onere di dimostrare che qualora l’impugnazione fosse stata correttamente proposta avrebbe ottenuto il bene della vita. Trattasi di indagine complessa, oggi però resa più semplice dal fatto che la giurisprudenza non richiede più la «certezza morale» che la diversa attività avrebbe conseguito l’effetto sperato, ma la «ragionevole probabilità».

Riassumendo.

Supponiamo che il giudice di primo grado abbia rigettato l’opposizione ad decreto ingiuntivo in quanto tardivamente iscritto a ruolo.

Se il cliente intende ottenere solo la liberazione dall’obbligo di pagare il compenso può limitarsi ad allegare il titolo e ad eccepire l’inadempimento ex art. 1460 c.c.

Se intende ottenere anche la restituzione di quanto pagato ha l’onere di chiedere la risoluzione del contratto, allegando titolo e inadempimento.

Se intende chiedere il risarcimento del danno ha l’onere di allegare titolo e inadempimento e di dimostrare l’esistenza di un danno causalmente collegato al comportamento non diligente.

In questo ultimo caso, per ottenere il risarcimento del danno il cliente-debitore deve dimostrare che qualora l’opposizione fosse stata regolarmente introdotta e coltivata, il giudice avrebbe revocato il decreto ingiuntivo e dichiarato l’inesistenza totale o parziale del credito, ad esempio producendo la quietanza, oppure dimostrando l’esistenza di una vendita aliud pro alio. Egli pertanto, nel giudizio contro l’avvocato, deve fare la causa che il difensore non ha fatto, dimostrando le proprie ragioni.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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5 commenti:

  1. Giuseppina grande

    Gent.mo Avv. Minardi,
    gia’ qualche giorno fa Le ho proposto un quesito nella sezione dedicata all’art. 183 cpc riferendomi ad un caso di responsabilita’ professionale
    e La ringrazio ancora per la celere e chiara risposta che mi ha fornito.
    Ora, sempre in riferimento a questo caso, e’ sorto un problema perche’ il mio cliente (il professionista) dice che non trova piu’ le ricevute di ritorno delle lettere di denuncia del sinistro alla sua compagnia assicurativa.
    Posto questo, Le chiedo: poiche’ la Compagnia non ha eccepito nulla relativamente alla denuncia (che sono certa sia stata fatta nei termini) nel suo atto di costituzione, e’ possibile che tale questione venga sollevata dal Giudice d’ufficio con la compromissione dell’esito della causa oppure superata anche la fase del 183 cpc possiamo stare tranquilli (almeno su questo fronte)?
    Il suo aiuto e’ davvero prezioso! Grazie.

  2. Giuseppina grande

    Grazie infinite! il suo sito e’ una risorsa inestimabile.
    Buon lavoro!

  3. Ferraro Roberto

    Salve AVV Minardi, le pongo un quesito :
    In caso di revoca al proprio AVV difensore nel campo di causa di lavoro, con tanto di raccomandata con ricevuta di ritorno, lo stesso comunque continua a depositare ricorsi a mio nome anche se mi sono rivolto ad un nuovo legale per tutelare i miei interessi lavorativi, nonostante il mio nuovo difensore abbia notificato la cosa al precedente, continua a depositare ricorsi sostenendo che il mandato è collettivo e inscindibile in quanto firmato da più persone ( colleghi ) può farlo ??? e soprattutto puo andare a compromettere ciò che il mio nuovo difensore ha innoltrato a mio nome ??? essendo i contenuti simili ??? infine si può eventualmente andare ad annullare ciò che ha depositato il vecchio difensore dopo l’ avvenuta revoca ???
    Esiste questa cosa del mandato collettivo e inscendibile ??? Grazie Roberto.

  4. Mirco Minardi

    Mi sembra un comportamento del tutto anomalo. L’incarico è fiduciario e una volta revocato l’avvocato deve astenersi dal compiere attività, specie se c’è già un altro avvocato



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