Il danno patrimoniale alla persona (VII parte)

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ALTRI SOGGETTI NON PERCETTORI DI REDDITO

Non solo i minori, ma anche i disoccupati, i pensionati, le casalinghe non percepiscono un reddito. Quid juris? Occorre distinguere ciascuna ipotesi.

DISOCCUPATI. La posizione del disoccupato è equiparabile a quella del minore, salva la prova contraria che si tratti di un disoccupato volontario. In assenza di tale prova si deve presumere che il disoccupato troverà un lavoro confacente alle proprie attitudini, studi, interessi, inclinazioni, passate esperienze lavorative.

PENSIONATI. Il pensionato non ha il diritto a vedere risarcito il danno patrimoniale per soppressione o riduzione del reddito in quanto non ha reddito, ma percepisce la pensione. Lo stesso dicasi per la persona che sia prossima alla pensione. In tal caso, il risarcimento dovrà essere limitato al periodo tra l’evento e il pensionamento.

CASALINGHE. Da tempo la Corte di Cassazione afferma che il danno subito dalla casalinga ha natura patrimoniale. Sul punto mi permetto di riportare testualmente, per la sua chiarezza e completezza, un passo estratto da Cass. civ. 4657/2005.

Questa Corte ha più volte affermato che anche una casalinga può trovarsi a subire un danno di natura patrimoniale qualora si veda in misura maggiore o minore privata per il futuro della possibilità di svolgere l’attività in questione (appunto quella di casalinga).
Vanno ricordate in particolare le seguenti decisioni:
-A) “La casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge purtuttavia un’attività suscettibile di valutazione economica, sicché va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale (come tale risarcibile autonomamente rispetto al danno biologico) quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa. Il fondamento di tale diritto, specie quando la casalinga sia componente di un nucleo familiare legittimo (ma anche quando lo sia in riferimento ad un nucleo di convivenza comunque stabile), è, difatti, pur sempre di natura costituzionale, ma riposa sui principi di cui agli artt. 4 e 37 della Costituzione (che tutelano, rispettivamente, la scelta di qualsiasi forma di lavoro, ed i diritti della donna lavoratrice), mentre il fondamento della risarcibilità del danno biologico si fonda sul diverso principio della tutela della salute.” (Cass. n. 15580 del 11/12/2000).
-B) “La casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge, cionondimeno, un’attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell’espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento, “lato sensu”, della vita familiare, così che costituisce danno patrimoniale (come tale, autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, e che sussiste anche nel caso in cui ella sia solita affidare la parte materiale del proprio lavoro a persone estranee. Consistendo il danno “de quo” nella perdita di una situazione di vantaggio, e non rimanendo esso escluso neanche dalla mancata sopportazione di spese sostitutive, legittimo risulta il riferimento, nel relativo procedimento di liquidazione, al reddito di una collaboratrice familiare, con gli opportuni adattamenti dettati dalla maggiore ampiezza dei compiti espletati dalla casalinga. “(Cass. n. 10923 del 06/11/1997).
-C) “Il danno patrimoniale come conseguenza della riduzione della capacità lavorativa generica di una persona è risarcibile autonomamente dal danno biologico soltanto se vi è la prova che il soggetto leso svolgesse – o fosse presumibilmente in procinto di svolgere – un’attività lavorativa produttiva di reddito, sia pure figurativo (come nel caso della casalinga).” (Cass. n. 10015 del 15/11/1996).
Di fronte a tale filone interpretativo giurisprudenziale parte della dottrina ha anzitutto rilevato che da esso (ed in particolare dalla sentenza n. 15580/00) sembra emergere la generalizzata risarcibilità di detta asserita componente del danno patrimoniale, mentre sulla base dell’art. 2043 c.c. (e della altre norme in materia) deve ritenersi che debbono essere risarcite solo le voci di danno effettivamente esistenti e provate.

Parte della dottrina ritiene poi che non si possa parlare di una capacità lavorativa specifica della casalinga poiché l’attitudine al lavoro domestico non si riconnette ad un vero e proprio rapporto di lavoro (retribuito); e poiché inoltre detto lavoro è in ogni caso svolto a titolo gratuito e quindi non può dar luogo ad un guadagno suscettibile di essere perduto ovvero diminuito. Da ciò deriverebbe che la ritenuta risarcibilita del danno in questione comporterebbe delle duplicazioni risarcitorie in quanto la perdita della capacità lavorativa generica è già considerata nell’ambito della liquidazione del danno biologico.

Secondo talune tesi infine la perdita o la diminuzione dell’idoneità a svolgere il lavoro casalingo può talora comportare delle ripercussioni di ordine patrimoniale ma solo ed esclusivamente sotto il profilo del danno emergente, ed unicamente nell’eventualità che si renda necessario il ricorso ad un aiuto esterno. Da ciò deriverebbe la non configurabilità di un danno emergente nel caso che il soggetto danneggiato avesse affidato detto lavoro a terze persona già prima del sinistro.

Non sembra che tali critiche riescano ad inficiare la tesi giurisprudenziale sopra esposta (se esattamente interpretata).
Quanto alla necessità che la sussistenza di un danno effettivo debba essere in concreto provata (in conformità con le regole generali sostanziale e processuali in questione; e quindi, tra l’altro, anche con la possibilità del ricorso a presunzioni) basta rilevare che la cosa è certamente indubbia e che non risulta esser stata messa in discussione (neppure nella pronuncian. 15580/00 sopra citata, se ben interpretata).

Con riferimento poi al fatto che la casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge purtuttavia un’attività suscettibile di valutazione economica, basta rilevare che ciò è incontestabile; e la cosa appare in tutta la sua evidenza se si considera che il venir meno della sua opera può (pacificamente) comportare il sorgere di un danno (oltre che morale anche) patrimoniale per i familiari (Cfr. tra le tante Cass. n. 11453 del 03/11/1995: “Il diritto al risarcimento del danno patrimoniale, che spetta, a norma dell’art. 2043 cod. civ., ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, richiede l’accertamento che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a fruire in futuro. Pertanto, quello subito dal marito e dal figlio minore per il decesso, a seguito dell’altrui fatto illecito, del congiunto (rispettivamente moglie e madre), costituisce, anche nel caso in cui quest’ultimo fosse stato privo di un effettivo reddito personale, danno patrimoniale risarcibile, concretantesi nella perdita, da parte dei familiari, di una serie di prestazioni economicamente valutabili, attinenti alla cura, all’educazione ed all’assistenza, cui il marito ed il figlio avevano ed hanno diritto nei confronti della rispettiva moglie e madre nell’ambito del rapporto familiare”; cfr. inoltre Cass. n. 08970 del 10/09/1998: “Il danno patrimoniale subito dai familiari di una casalinga deceduta in conseguenza dell’altrui atto illecito, e consistente nella perdita delle prestazioni domestiche erogate dalla propria congiunta, può essere legittimamente liquidato facendo riferimento non al reddito di una collaboratrice domestica, ma al triplo della pensione sociale.”).

A questo punto si impongono due precisazioni:
-A) La radicale evoluzione dei costumi non consente più di confinare la problematica in questione alla casalinga, essendo ormai ben possibile il sorgere del danno in questione anche con riferimento ad una donna che svolga anche attività di casalinga e con riferimento ad un danneggiato di sesso maschile.
-B) Stranamente finora il lavoro domestico è stato considerato prevalentemente con riferimento all’utilità che ne ricavano altri, ed in particolare i familiari del soggetto in questione; e non con riferimento all’utilità che ne ricava direttamente quest’ultimo; ma è evidente che se un soggetto abituato a svolgere detto lavoro solo (ovvero anche) in proprio favore (si pensi ad una figura sempre più comune: il cosiddetto “single”; ed in particolare ad un “single” che pulisce il proprio appartamento, lava e stira la propria biancheria, cucina i suoi pasti ecc. senza ricorrere a “colf”, ristoranti, lavanderie, ovvero a soluzioni più radicali come alberghi o pensioni; ecc.) viene a trovarsi privato in tutto od in parte della propria capacità provvedere a dette sue necessità insorge un evidente danno emergente (tipicamente patrimoniale) derivante dal fatto che dovrà cominciare a ricorrere (in misura maggiore o minore a seconda dell’invalidità subita) a “colf”, ristoranti, lavanderie ecc.; quindi, dato che oggi una parcentuale sempre maggiore di persone (anche se con attività lavorativa retribuita) dedica parte delle proprie energie lavorative a faccende domestiche una sopravvenuta incapacità ad attendere alle medesime comporta di regola un danno patrimoniale sotto il profilo del danno emergente.

Non può peraltro escludersi che detta incapacità comporti anche un lucro cessante; basta pensare infatti, ad es., che nell’impresa familiare (art. 230 bis c.c.) la prestazione lavorativa può (pacificamente) consistere anche in lavori domestici (purché – secondo una tesi – si riflettano sull’andamento dell’impresa accrescendone la produttività) e che ai sensi del primo comma della norma predetta i diritti (anche di contenuto più tipicamente patrimoniale; e quindi inerenti ad introiti che in caso di cessazione danno luogo ad un tipico caso di lucro cessante) del partecipante all’impresa medesima sono proporzionali alla quantità e qualità del lavoro prestato; e quindi sono suscettibili di diminuzione qualora la capacità di lavoro diminuisca (v. in particolare il primo comma dell’art. 230 bis cit.: “Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi della azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato….”).

Da quanto sopra esposto emerge altresì che l’insorgere di un danno patrimoniale non è in linea generale (salve le eventuali eccezioni) configurabile se il soggetto danneggiato, già prima dell’incidente, non svolgeva lavori domestici (va rilevato che l’espressione “lavori domestici” va intesa in senso ampio e quindi comprensivo anche di quell’attività di “coordinamento, “lato sensu”, della vita familiare” di cui ha parlato la sopra citata Cass. n. 10923 del 06/11/1997) in quanto questi erano integralmente devoluti a colf, o per altre ragioni; mentre è invece eccezionalmente configurabile nell’ipotesi, indubbiamente infrequente, che la persona danneggiata affermi e riesca poi a dimostrare che all’epoca del sinistro era in procinto di mutare le proprie abitudini (per un cambiamento delle proprie condizioni economiche o per altre ragioni) nel senso che stava per iniziare a provvedere personalmente, in tutto od in parte, a lavori prima demandati a colf.

Emerge inoltre che in linea generale (fatte salve le eccezioni come quella sopra citata di cui all’art. 230 bis cit.) un danno patrimoniale del danneggiato è possibile solo in relazione ai lavori domestici svolti in suo favore; mentre con riferimento ai lavori svolti gratuitamente in favore di altri, gli eventuali soggetti danneggiati possono essere eventualmente solo questi ultimi.
In conclusione va enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di invalidità permanente o temporanea il soggetto che perde in tutto od in parte la propria capacità di svolgere lavori domestici in precedenza effettivamente svolti in proprio favore ha diritto al risarcimento del conseguente danno patrimoniale provato (danno emergente ed, eventualmente, anche lucro cessante)”.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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