Il danno morale è morto? No, respira ancora.

Mirco Minardi

Quando affermavo con sicurezza che la sentenza delle Sezioni Unite sul danno esistenziale non avrebbe trovato unanimi consensi in giurisprudenza, non pensavo che i distinguo sarebbero arrivati così presto.

Come mi aspettavo, sono invece arrivate subito le comparse dei fiduciari delle Compagnie, in cui si contesta la voce del danno morale, ormai, si dice, ricompresa nel danno biologico.

Il Tribunale di Torino affronta l’interpretazione della nota sentenza delle S.U ed afferma espressamente che la sentenza n. 26972/2008 non giustifica in alcun modo letture “abolizioniste” del danno morale, pure prospettate da alcuni primi commentatori.

Leggiamo insieme il passo:

“Il passaggio da cui traggono spunto queste letture è quello (contenuto nel paragrafo relativo al danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni), ove la Corte afferma:
“determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del
danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente
liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. Ma questo passaggio
va letto in stretta correlazione con quello precedente, ove si chiarisce cosa debba
intendersi per danno morale
: “deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé
considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non
patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il
dolore intimo sofferti … senza lamentare degenerazioni patologiche della
sofferenza. Ove siano state dedotte siffatte conseguenze [cioè quando la
sofferenza “diventa malattia”, n.d.a.], si rientra nell’area del danno biologico, del
quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce
componente”. La Corte non fa che ribadire quanto affermato poco prima in
termini generali: il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel
senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Dunque, il
risarcimento del danno morale può costituire una duplicazione del già
riconosciuto danno biologico; ma solo quando sia diretto a ristorare il medesimo
tipo di pregiudizio (lesione del diritto alla salute).
Al di fuori di questa ipotesi si
rinvengono invece, nella predetta sentenza, chiari indici della risarcibilità del c.d.
danno morale (o, più esattamente, del ristoro, nell’ambito della generale categoria
del danno non patrimoniale, di quel tipo di pregiudizi sino ad oggi risarciti come
danno morale): al paragrafo 2.10 si chiarisce che “la formula <>
non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari
possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla
sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui
intensità e durata non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma
solo della quantificazione del risarcimento”. Al paragrafo 3 la Corte, nel negare
cittadinanza a una autonoma categoria di danno c.d. esistenziale, riconosce
espressamente che le ragioni storiche sottese alla elaborazione dottrinale di una
siffatta categoria non hanno più ragion d’essere oggi, perché i pregiudizi ad essa
tradizionalmente ricondotti (non poter fare, dover fare diversamente, etc.) sono
risarcibili nell’ambito del danno non patrimoniale (sempre che sussistano i
presupposti del reato, ovvero del pregiudizio a diritti inviolabili della persona),
senza necessità di dover creare ulteriori categorie.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TORINO
SEZIONE 4^ CIVILE
Il dott. MARCO CICCARELLI, in funzione di Giudice unico,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 3 l. 102/2006 depositato il 6.7.07 P. Luca
Ermanno conveniva in giudizio Pass. Rodolfo e Fondiaria SAI s.p.a. nella
rispettiva qualità di proprietario e compagnia assicuratrice per la RCA del veicolo
Ford Fiesta, targato AB 233 YE, ed esponeva che il giorno 1.9.02, mentre
attraversava sulle strisce pedonali la via Pietro Cossa in Torino, era stato investito
dall’auto del sig. Pass., da lui stesso condotta, e aveva riportato gravi lesioni, di
interesse ortopedico, odontoiatrico e psichiatrico, che avevano compromesso la
propria validità fisica in misura superiore al 40%. Chiedeva pertanto la condanna
dei convenuti al ristoro dei danni patrimoniali e non patrimoniali, in questi ultimi
compresi il pregiudizio biologico, morale ed esistenziale.
Ritualmente costituiti Pass. Rodolfo e Fondiaria SAI s.p.a. riconoscevano
le modalità del sinistro descritte dall’attore e contestavano le pretese avversarie
unicamente in punto quantum debeatur. A questo proposito eccepivano la nullità
della domanda per indeterminatezza degli elementi di fatto e di diritto posti a
fondamento delle richieste del danno esistenziale, di quello da interruzione del
rapporto di lavoro e di quello da perdita dell’integrità estetica. Richiamavano
comunque l’onere avversario di fornire rigorosa prova dei danni lamentati.
All’esito del tentativo di conciliazione esperito nella prima udienza,
Fondiaria SAI riconosceva al P. ulteriore acconto di € 60.000, oltre a quelli
già versati ante causa per complessivi € 10.600.
La causa veniva quindi istruita mediante prove testimoniali e CTU, affidata
a un collegio di tre periti.
All’udienza del 25.11.08 l’assicuratore consegnava all’attore assegno di €
42.000, ed evidenziava come la somma complessivamente pagata dovesse
considerarsi congrua rispetto alle lesioni subite dal P., come accertate dai
CTU.
Dopo la discussione della causa e la precisazione delle conclusioni, il
giudice, all’udienza del 27.11.08, decideva come da dispositivo di cui veniva data
lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Le modalità del sinistro non sono state contestate dai convenuti.
L’obbligo di integrale risarcimento dei danni subiti dal P. deriva quindi
non soltanto dal mancato superamento (anche parziale) della presunzione di
responsabilità di cui all’art. 2054 1° comma c.c.; ma anche dall’accertamento (non
contestazione) di una concreta colpa in capo al Pass., consistente nel non aver
dato la precedenza a un pedone in fase di attraversamento sulle strisce pedonali. In
questo senso anche la relazione di servizio della Polizia Municipale, da cui risulta
che il Pass. è stato contravvenuto per violazione dell’art. 191 C.d.S.
2. L’eccezione di nullità del ricorso per indeterminatezza della domanda di
risarcimento del danno esistenziale deve essere respinta. L’attore infatti ha
indicato in termini sufficientemente dettagliati la tipologia e la consistenza dei
danni che ritiene di aver subito. Con riferimento al c.d. danno esistenziale ha
sostenuto ch’esso consisterebbe nella impossibilità o difficoltà “di continuare a
svolgere le solite attività quotidiane cui era dedito (es. il piacere di praticare
un’attività sportiva: ed il sig. P. era un promettente atleta di karate, …),
nonché di reintegrarsi nei rapporti sociali e di mantenerli ad un livello normale”.
Ulteriore profilo del dedotto danno (c.d. esistenziale) viene indicato nella
interruzione del rapporto di lavoro in essere al momento del sinistro e nelle
difficoltà a reperire nuova occupazione, anche a causa della perduta integrità
estetica. L’attore ricorda poi – sempre trattando questa voce di danno – le “forti
difficoltà e gravi problemi a viaggiare in automobile”, tali da non consentirgli di
conseguire la patente di guida. Occorrerà certamente verificare se e in quale
misura questi danni siano stati provati; ma il problema della prova del danno
esistenziale (che i convenuti trattano nel capitolo intitolato alla nullità
dell’avversaria domanda) è del tutto diverso da quello della determinatezza della
domanda stessa. Il requisito previsto dall’art. 163 n. 3 c.p.c. (cui si fa esplicito o
implicito riferimento quando si eccepisce la nullità della domanda introduttiva) è
essenzialmente funzionale all’esplicazione del diritto di difesa, ed è soddisfatto
quando dalla narrativa dell’atto di citazione (o del ricorso) si evinca con chiarezza
il “bene della vita” che viene richiesto. Per potersi difendere da una pretesa di
risarcimento del danno il convenuto ha necessità di sapere quali siano gli elementi
costitutivi del pregiudizio e in che cosa esso consista; dovrà quindi poter
conoscere, se si tratta di un danno biologico, quali lesioni l’attore sostiene di aver
subito alla propria integrità fisio-psichica; se si tratta di un danno morale, che tipo
di pregiudizio l’attore vanta e, soprattutto, se tale pregiudizio presenti componenti
diverse e ulteriori rispetto allo stato di afflizione transeunte che normalmente
consegue ad una lesione fisica (e che non ha quindi neppure bisogno di essere
specificato). Conoscendo questi elementi il convenuto è posto in condizione di
difendersi (potendo, p. es., contestare che quelle lesioni non si sono verificate o
che non hanno prodotto conseguenze sul piano morale o esistenziale). Rispetto al
diritto di difesa è invece irrilevante che l’attore specifichi la somma monetaria che
domanda; e – a maggior ragione – che espliciti il procedimento mediante il quale
è arrivato a indicare una certa somma. Deve dunque concludersi che la domanda
di risarcimento proposta dal sig. P. sia sufficientemente specifica, sotto
tutti i profili di danno richiesti.
3. Prima di procedere alla concreta determinazione dei danni subiti dal sig.
P., è necessario svolgere alcune considerazioni sui criteri di liquidazione
del danno non patrimoniale che verranno adottati. Infatti la recente pronuncia
della Cassazione a Sezioni Unite (11 novembre 2008 n. 26972) – cui le parti
hanno fatto ampi riferimenti nel corso della discussione orale – impone una
rivisitazione dei criteri di liquidazione del danno non patrimoniale abitualmente
seguiti da questo giudice, in conformità agli orientamenti della sezione. Le
“novità” non riguardano il danno biologico – con la precisazione che questo
termine va inteso come sintesi descrittiva della lesione del diritto alla salute –
relativamente al quale le Sezioni Unite hanno confermato l’inquadramento, ormai
consolidato, nell’ambito della previsione dell’art. 2059 c.c., nonché la
generalizzata tutela risarcitoria in virtù dell’esplicito riconoscimento normativo (a
livello costituzionale e ordinario) del diritto alla salute. Le novità riguardano,
invece, quegli altri pregiudizi non patrimoniali indicati – con analoghe sintesi
descrittive – come danno morale, danno esistenziale, danno da perdita del
rapporto parentale; pregiudizi il cui catalogo – come precisa la Corte – non
costituisce numero chiuso. Quale premessa ai criteri liquidatori che verranno fra
breve indicati, e con riferimento alle considerazioni svolte nella citata sentenza
della Suprema Corte, vanno svolte le seguenti brevi osservazioni.
a) Il danno non patrimoniale, da intendersi nella sua più ampia accezione di danno
determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da
rilevanza economica, è sempre risarcibile qualora l’illecito si configuri come reato
(anche solo astrattamente). Al di fuori di questa ipotesi, il diritto al risarcimento
del danno non patrimoniale può derivare o da specifica previsione normativa,
attraverso la quale possono essere ammessi al risarcimento anche interessi non
aventi rango costituzionale di diritti inviolabili; ovvero dall’accertamento della
lesione di un diritto inviolabile della persona, ossia di una ingiustizia
“costituzionalmente qualificata”.
b) E’ stata da tempo superata l’affermazione secondo cui l’unico danno non
patrimoniale risarcibile sarebbe quello “morale in senso stretto”, descritto
tralaticiamente come lo stato di “patimento interiore” transeunte cagionato
dall’illecito. Per un verso infatti, una tale sofferenza non è necessariamente
transitoria, ma può protrarsi anche per lungo tempo, e merita ristoro nella sua
interezza. Per altro verso, accanto ad essa può esistere una diversa sofferenza,
derivante dalla necessità di adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti
diversi da quelli precedenti o dal “non poter più fare” quello che si faceva prima.
Ha quindi poco senso distinguere un danno morale tradizionalmente inteso da un
anno esistenziale consistente in questa seconda tipologia di pregiudizi. La
esasperata “etichettatura” delle varie figure di danno, se può avere una sua utilità
dal mero punto di vista descrittivo, non appare funzionale (ed anzi talvolta è
controproducente) rispetto all’obiettivo di risarcire il danno alla persona nella sua
interezza evitando indebite duplicazioni.
c) La sentenza n. 26972/2008 non giustifica in alcun modo letture “abolizioniste”
del danno morale, pure prospettate da alcuni primi commentatori. Il passaggio da
cui traggono spunto queste letture è quello (contenuto nel paragrafo relativo al
danno non patrimoniale da inadempimento di obbligazioni), ove la Corte afferma:
“determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del
danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente
liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo”. Ma questo passaggio
va letto in stretta correlazione con quello precedente, ove si chiarisce cosa debba
intendersi per danno morale: “deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé
considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non
patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell’animo, il
dolore intimo sofferti … senza lamentare degenerazioni patologiche della
sofferenza. Ove siano state dedotte siffatte conseguenze [cioè quando la
sofferenza “diventa malattia”, n.d.a.], si rientra nell’area del danno biologico, del
quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce
componente”. La Corte non fa che ribadire quanto affermato poco prima in
termini generali: il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel
senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre. Dunque, il
risarcimento del danno morale può costituire una duplicazione del già
riconosciuto danno biologico; ma solo quando sia diretto a ristorare il medesimo
tipo di pregiudizio (lesione del diritto alla salute). Al di fuori di questa ipotesi si
rinvengono invece, nella predetta sentenza, chiari indici della risarcibilità del c.d.
danno morale (o, più esattamente, del ristoro, nell’ambito della generale categoria
del danno non patrimoniale, di quel tipo di pregiudizi sino ad oggi risarciti come
danno morale): al paragrafo 2.10 si chiarisce che “la formula <>
non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari
possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla
sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui
intensità e durata non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma
solo della quantificazione del risarcimento”. Al paragrafo 3 la Corte, nel negare
cittadinanza a una autonoma categoria di danno c.d. esistenziale, riconosce
espressamente che le ragioni storiche sottese alla elaborazione dottrinale di una
siffatta categoria non hanno più ragion d’essere oggi, perché i pregiudizi ad essa
tradizionalmente ricondotti (non poter fare, dover fare diversamente, etc.) sono
risarcibili nell’ambito del danno non patrimoniale (sempre che sussistano i
presupposti del reato, ovvero del pregiudizio a diritti inviolabili della persona),
senza necessità di dover creare ulteriori categorie.
d) E’ vero, invece, che la sentenza delle Sezioni Unite impone oggi un diverso
approccio alla liquidazione del danno non patrimoniale, che deve prendere in
considerazione – si ripete, evitando duplicazioni di sorta – tutti gli aspetti della
lesione. Qualora l’illecito costituisca reato, ogni pregiudizio non patrimoniale sarà
risarcibile, purchè sussista il requisito dell’ingiustizia generica ex art. 2043 c.c.;
dunque sia il patema d’animo transeunte, sia la sofferenza derivante dal “non
poter più fare” dovranno essere presi in considerazione. In assenza di reato – e
fuori dai casi determinati dalla legge – i pregiudizi “di tipo esistenziale” saranno
risarcibili solo se conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona.
e) La Corte ha ribadito, infine, l’orientamento già espresso in numerose precedenti
sentenze in tema di prova del danno: il danno non patrimoniale, anche quando sia
determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno
conseguenza, che deve essere allegato e provato. Mentre per quanto riguarda il
danno biologico il mezzo di prova cui si fa normalmente ricorso è l’accertamento
medico legale (previsto dalla vigente normativa, ex art. 138 e 139 C.d.A.), pur se
non come strumento esclusivo e necessario; per gli altri pregiudizi non
patrimoniali potrà farsi ricorso alla prova documentale, testimoniale e presuntiva.
Proprio quest’ultima – chiarisce la Corte – “è destinata ad assumere particolare
rilievo, e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento
del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri”; il
danneggiato però avrà l’onere di “allegare tutti gli elementi che, nella concreta
fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano
di risalire al fatto ignoto”.
*
Si passa ora alla indicazione dei criteri di liquidazione che – sulla base dei
principi sopra enunciati e, ovviamente, in difetto di criteri di liquidazione previsti
dalla legge – verranno adottati da questo giudice; ritenendosi che una tale
indicazione risponda a principi di uniformità delle decisioni e, dunque, di equità
sostanziale; pur nella doverosa considerazione delle specificità di ogni singolo
caso, che però – ove possibile – dovrebbero essere ricondotte a variabili di un
sistema di risarcimento tendenzialmente uniforme.
1. Danno biologico da invalidità permanente. I danni permanenti all’integrità
psicofisica della persona, da valutarsi con accertamento medico-legale, si
ritengono ristorabili in base agli ordinari criteri di liquidazione elaborati dalla
giurisprudenza di questa Sezione (c.d. tabelle del Tribunale di Torino) e
annualmente aggiornati; criteri che – lo si ricorda – attribuiscono a ciascun punto
di invalidità un valore che varia in modo proporzionale all’entità della lesione e
inversamente proporzionale all’età della vittima. Va però sottolineato che si
considerano rientranti nel danno biologico anche i c.d. riflessi oggettivi della
lesione, anch’essi apprezzabili (soprattutto, ma non solo) mediante accertamento
medico-legale, e consistenti nella incidenza su sport e attività fisiche, nella
maggior usura al lavoro, ecc. Tali riflessi vengono valutati mediante riduzione o
incremento del valore del singolo punto (come sopra determinato) sino a un
massimo del 50%. Rimane dunque sostanzialmente invariato il sistema di
liquidazione fino ad oggi adottato.
2. Danno biologico da invalidità temporanea. Anche questo danno continuerà
ad essere liquidato sulla base dei valori indicati nelle tabelle dell’ufficio, con
riferimento a ciascun giorno di invalidità (valore pari, per l’anno 2008, a € 44,77).
3. Danno “da sofferenza”. Si tratta del pregiudizio (che per mera comodità
espositiva si può continuare a chiamare “morale”) consistente nel patimento
interiore (temporaneo o no) causato dall’illecito: sia per il turbamento e per i
disagi che esso ha in concreto comportato, sia per le privazioni cui ha costretto la
vittima. A soli fini orientativi, e fatte salve le peculiarità di ogni caso concreto, è
possibile distinguere tre tipologie di fattispecie, corrispondenti ciascuna a un
diverso modo di manifestazione di questo danno, cui devono corrispondere
differenti criteri di liquidazione.
3.1 Rientrano in questo gruppo i casi in cui il patimento è normalmente
momentaneo, strettamente legato a un certo evento di breve durata (p. es. un
incidente stradale, lievi percosse, una rapina) e destinato ad attenuarsi e
risolversi con rapidità: così la sofferenza e la preoccupazione di chi subisce
lievi lesioni, che guariscono senza lasciare postumi o con postumi minimi.
In questi casi la “sofferenza morale” è principalmente legata alla entità della
lesione fisica e alla durata della malattia. Si giustifica quindi un criterio che
ancori la liquidazione del danno in oggetto a quella del danno biologico, sia
da invalidità permanente che da invalidità temporanea. Considerata però la
temporaneità del “pregiudizio morale”, si ritiene che la liquidazione debba
essere contenuta entro il limite massimo di un terzo (1/3) del danno
biologico.
3.2 Rientrano in questo gruppo i casi in cui la sofferenza è conseguenza di
una lesione fisica o psichica di una certa gravità; ed è normalmente destinata
a durare a lungo, spesso per tutta la vita del danneggiato. Si tratta della
sofferenza che deriva dalla perdurante percezione della propria invalidità
(non poter muovere un arto, non poter deambulare normalmente, …); e della
sofferenza derivante dal non poter compiere attività a cui prima si era dediti.
Anche in questo caso, al pari di quello che precede, il “patimento morale” è
il portato di una lesione fisica, pur essendo ontologicamente diverso da essa
(e ciò giustifica il riconoscimento di questa voce di danno in aggiunta a
quello biologico); anche qui, dunque, pare corretto un criterio di
liquidazione ancorato al danno biologico. Va però considerato che, nella
normalità dei casi, il primo dei pregiudizi sopra descritti (sofferenza
derivante dalla perdurante percezione della lesione fisica) può ritenersi
provato in via presuntiva, poiché è normale che dalla lesione alla integrità
fisica derivi questo tipo di sofferenza; non così il secondo (sofferenza
derivante dal non poter fare), che deve essere positivamente dimostrato
dando la prova delle attività cui prima si era dediti e che sono oggi precluse.
Si ritiene quindi che il danno in oggetto, ove sia limitato alla sofferenza
morale derivante dalla lesione, possa essere liquidato in misura variabile da
un quarto alla metà del danno biologico; qualora invece siano provati
pregiudizi ulteriori (non poter svolgere specifiche attività cui il danneggiato
era effettivamente e con una certa continuità dedito), indicativi di una più
intensa “sofferenza da privazione”, il danno vada liquidato in misura
superiore, da un minimo di un terzo a un massimo corrispondente all’intero
importo del danno biologico.
3.3 Rientrano in questo gruppo i casi in cui il “patimento” da risarcire è
completamente svincolato dal pregiudizio fisico, il quale può essere minimo
o anche del tutto assente; si pensi al danno derivante da una diffamazione;
ovvero quello derivante dall’essersi sottoposto a un lungo e penoso ciclo di
cure mediche inutili (pur se non dannose). In dette ipotesi la liquidazione
deve essere svincolata da quella del danno biologico (quand’anche esistente)
e ancorata a criteri che non possono essere indicati in astratto, perché
devono trovare riscontro nelle peculiarità della singola fattispecie.
4. In applicazione dei criteri sopra enunciati, i danni subiti da P. Luca
Ermanno vengono liquidati come segue.
A) DANNI NON PATRIMONIALI
1. Danno biologico da invalidità permanente. Per l’accertamento di questo
danno è stato conferito mandato a un collegio di periti, dotato delle
competenze per valutare i diversi aspetti delle lesioni allegate dall’attore.
Scrivono i CTU che il sig. P. riportò “politrauma con trauma craniofacciale
con fratture multiple del massiccio frontale con emoseno bilaterale,
frattura del condilo mandibolare sinistro e fratture a carico degli elementi
dentari 11, 12, 21; frattura composta articolare dell’epifisi distale del polso
destro; frattura diafisaria del femore destro con terzo frammento; frattura
dell’emipiatto tibiale esterno del ginocchio destro” (relazione dr. Massazza, p.
8). A distanza di circa 6 anni dal fatto il quadro clinico, ormai stabilizzato e
non suscettibile di evoluzioni migliorative, è connotato da “sindrome algodisfunzionale
a carico dell’apparato masticatorio, modesta artralgia del polso
destro, esiti algo disfunzionali all’arto inferiore destro”. I CTU hanno escluso
invece la presenza di un danno biologico psichico in nesso di causalità col
sinistro. E questa esclusione – che costituisce l’unico punto controverso
dell’elaborato peritale – si ritiene condivisibile. Il CTU dr. Angelsio, dopo una
approfondita analisi del periziato, ha concluso che il trauma “sembra non
avere avuto significative ripercussioni sull’equilibrio” dell’attore. E’
certamente vero che l’esame del P. ha messo in evidenza alcuni
problemi psichici (disturbi dell’emotività e dell’affettività, difficoltà di
relazione, lentezza ed incoerenza nell’eloquio); ma si tratta di patologie che,
all’esito della documentazione esaminata dai periti, devono considerarsi
preesistenti al fatto. Ed invero “la storia personale del P. è ricca di
eventi significativi che evidenziano la presenza di traumi di natura affettiva
nell’infanzia, la perdita degli abituali punti di riferimento, una vita trascorsa,
dopo la precoce morte della madre avvenuta quando egli aveva solo dieci
anni, parte con i nonni paterni, parte con il padre”; ed ancora, il rifiuto verso
la compagna del padre e il rapporto conflittuale con quest’ultimo (relazione
Anglesio p. 23). E’ altresì emerso che dopo l’incidente il P. ha trovato
capacità di reagire e nuove motivazioni che depongono, semmai, per un
miglioramento della condizione psico-patologica preesistente: si è legato a una
compagna, ha vissuto per circa due anni all’estero, dove ha anche lavorato
presso un supermercato; attualmente si muove in modo autonomo; vive,
insieme alla propria compagna, presso la nonna materna, ammalata di
Alzheimer, che accudisce. In definitiva, non risulta che, in risposta allo
stimolo costituito dall’incidente, il P. abbia sviluppato o aggravato
sintomi emotivi o comportamentali clinicamente significativi. Deve quindi
escludersi l’esistenza di un danno psichico suscettibile di risarcimento. In
accordo con le conclusioni dei CTU, la lesione alla integrità fisica va
quantificata nella misura del 25%. Tenuto conto della entità dei postumi e
dell’età del danneggiato all’epoca del sinistro (24 anni), si ritiene congruo
attribuire a ciascun punto il valore di € 2.500 e di liquidare questa voce di
danno in € 62.500. Vanno poi presi in considerazione, per una adeguata
“personalizzazione” del risarcimento, i riflessi oggettivi e soggettivi del danno
biologico, apprezzabili eminentemente tramite accertamento medico legale e
consistenti – come detto sopra – nell’incidenza dei postumi su sport, attività
fisiche in genere, attività lavorativa svolta dal danneggiato; l’apprezzamento
di questi postumi comporta una diminuzione o un incremento ulteriore del
danno biologico come sopra calcolato fino al 50%. Per una adeguata
personalizzazione meritano di essere considerati, per un verso i riflessi estetici
della lesione fisica: il P. ha subito plurime fratture del massiccio
facciale che – oltre alle disfunzioni masticatorie – hanno alterato
significativamente il suo aspetto; per altro verso, i riflessi sulla capacità
lavorativa; infatti “le menomazioni riportate interessanti l’arto inferiore
destro potranno comportare all’infortunato disagio e maggior affaticamento
nello svolgimento di eventuali attività lavorative future che richiedano
mantenimento protratto della stazione eretta, prolungata deambulazione,
ripetuti movimenti di flesso-estensione sugli arti inferiori” (CTU p. 11). Si
ritiene pertanto congruo incrementare l’entità del risarcimento nella misura del
20%, con conseguente definitiva determinazione del danno biologico da
invalidità permanente nella misura di € 75.000.
2. Danno biologico da invalidità temporanea. Questa voce di danno deve
essere liquidata in base ai parametri adottati dalla giurisprudenza di questa
Sezione (decorrenza maggio 2008) con riferimento a ciascun giorno di
malattia; e dunque:
· per 30 giorni di invalidità totale (100%): € 1.343,10 (pari a € 44,77 al
giorno);
· per 60 giorni di invalidità parziale al 75%: € 2.014,80 (pari a € 33,58 al
giorno);
· per 90 giorni di invalidità parziale al 50%: € 2.016 (pari a € 22,40 al
giorno);
per un totale di € 5.373,90.
3. Danno “da sofferenza”. Richiamate le considerazioni generali svolte sopra, e
con riferimento al caso di specie, si osserva anzitutto che l’illecito di cui il
P. è rimasto vittima integra gli estremi del reato di lesioni colpose. E
tanto basta a fondare il ristoro di tutti i pregiudizi non patrimoniali diversi
dalla lesione fisica in senso stretto. La fattispecie può inquadrarsi fra quelle
sopra descritte al punto 3.2, caratterizzate dal fatto che la sofferenza è
conseguenza di una lesione fisica o psichica di una certa gravità (in questo
caso di gravità notevole); e, dopo un periodo più “acuto”, coincidente con la
durata della malattia temporanea, è normalmente destinata a durare per tutta
la vita del danneggiato. Alla sofferenza derivante dalla percezione costante e
rinnovata nel tempo della propria inabilità fisica (la cui esistenza può ritenersi
dimostrata in via presuntiva) si accompagnano, nel caso di specie, ulteriori
patimenti, che sono stati oggetto di specifica prova: la perdita delle
gratificazioni lavorative; la perdita della possibilità di praticare lo sport del
karate. Quanto alla prima, si richiama le deposizione del padre di Luca,
Roberto P., il quale ha riferito delle soddisfazioni che il figlio aveva
raggiunto nella attività lavorativa svolta presso l’agenzia Di Perna; e di come
questa attività non sia potuta continuare dopo l’incidente a causa delle
menomate condizioni fisiche dell’attore (che incidevano sia sulla capacità di
deambulare a lungo, sia sull’ “impatto estetico” con la clientela dell’agenzia).
Quanto alla seconda, si richiamano le dichiarazioni rilasciate dal P. al
CTU dr. Anglesio sulla pratica di numerosi sport, in particolare del karate, fin
dalla giovane età; tali dichiarazioni esplicitate anche nell’atto introduttivo non
sono state in alcun modo contestate dai convenuti. Per la liquidazione di
questa voce di danno si ritiene di dover considerare anche la lunga durata della
malattia temporanea (6 mesi) e la sofferenza per le cure odontoiatriche a cui il
P. si è sottoposto e dovrà assoggettarsi in futuro. Alla luce di tutti
questi elementi si ritiene di dover liquidare questa voce di pregiudizio in
48.000 pari a circa 3/5 (con lieve arrotondamento per difetto) di quanto
riconosciuto a titolo di danno biologico (da invalidità temporanea e
permanente).
*
Il danno non patrimoniale deve pertanto essere liquidato nella complessiva
misura di € 128.373,90, calcolato in base alle ultime tabelle elaborate da questo
ufficio e, dunque, con riferimento al maggio 2008. Questa somma deve essere
riportata ai valori dell’epoca del sinistro, al fine di determinare l’importo unitario
dovuto a titolo di risarcimento dei danni (patrimoniali e non patrimoniali), sul
quale calcolare poi la rivalutazione e gli interessi. Effettuata questa devalutazione
(sulla base degli indici Istat / Costo della vita), la somma dovuta a titolo di danno
non patrimoniale viene determinata, all’epoca del fatto, in € 113.259,83.
B) DANNI PATRIMONIALI
1. Spese mediche e di cura. Le spese sostenute dall’attore per cure e terapie
devono essere risarcite nella misura in cui sono state ritenute congrue e
necessarie dal nominato CTU. La relazione peritale – che non è stata fatta
oggetto, sul punto, di alcuna contestazione, e che risulta congruamente
motivata – ha valutato necessarie in relazione alla accertata patologia le spese
sostenute dall’attore e documentate nella misura di € 4.785. A tale importo va
aggiunto il costo per le consulenze medico legali ante causa, trattandosi di atti
medici necessari per la quantificazione dei danni psico-fisici e, dunque, per
poter consapevolmente tutelare i propri diritti. Tali spese ammontano a €
1.080. Le spese mediche da ammettere a risarcimento ammontano quindi a €
5.865.
2. Spese per cure odontoiatriche. Sono state determinate dal CTU dr. Roggero
(nel pieno accordo con i CT di parte) in € 9.750, tenendo conto dei necessari
rinnovi delle protesi.
3. Lucro cessante da perdita del lavoro. Nessuna documentazione è stata
prodotta relativamente al rapporto di lavoro che il P. sostiene fosse in
essere al momento del sinistro, né relativamente ai redditi percepiti dall’attore.
Certamente, per stessa ammissione dell’attore, si trattava di un lavoro non in
regola e precario; attendibilmente fonte di gratificazioni, come ha riferito il
teste Roberto P. (prese in considerazione ai fini del ristoro del danno
non patrimoniale), ma insuscettibile di fondare l’aspettativa a un reddito
stabile e costante nel tempo. Appare poi francamente poco attendibile quanto
riferito dal padre del P. in merito alla retribuzione percepita (€ 1.800
mensili), che appare sproporzionata rispetto al tipo di mansioni svolte
(volantinaggio e lavoro impiegatizio generico e non qualificato). Si ritiene
dunque che la perdita del lavoro precario possa essere risarcita in via
equitativa ipotizzando (più realisticamente) una retribuzione di circa 800-1000
euro mensili; e presumendo che il rapporto non regolare si sarebbe protratto,
qualora non si fosse verificato il sinistro, per ulteriori 6-8 mesi. Va quindi
riconosciuta, in via equitativa, la somma di € 6.000.
*
Il danno patrimoniale deve pertanto essere liquidato nella complessiva
misura di € 21.615, determinato con riferimento all’epoca del sinistro.
C) RIVALUTAZIONE E INTERESSI
I danni (patrimoniali e non patrimoniali) suscettibili di risarcimento
risultavano, pertanto, all’epoca del fatto, pari a complessivi € 134.874,83.
Trattandosi di una forma di risarcimento per equivalente e in assenza di specifica
prova sull’entità del pregiudizio sofferto dalla parte creditrice, si ritiene –
conformemente alla costante giurisprudenza di legittimità – di liquidare il danno
emergente in via equitativa attraverso la rivalutazione del capitale secondo gli
indici Istat / Costo della vita (così da reintegrarne il valore iniziale, compensando
la successiva perdita del potere d’acquisto della moneta) ed il lucro cessante,
anch’esso in via equitativa, attraverso l’attribuzione degli interessi legali i quali, al
fine di evitare l’ingiustificata locupletazione della parte creditrice, vengono
calcolati sul capitale originario rivalutato anno per anno (si richiama l’ormai
consolidata giurisprudenza inaugurata con sentenza Cass. 1712/95).
Nell’effettuare questo calcolo, occorre ovviamente detrarre gli acconti versati da
Fondiaria SAI:
€ 5.600 versati il 13.6.05
€ 5.000 versati il 28.6.06
€ 60.000 versati il 3.12.07
€ 42.200 versati il 25.11.08
A questo riguardo si richiama l’orientamento della Suprema Corte, secondo cui
“La liquidazione del danno extracontrattuale, che dev’essere effettuata con
riferimento alla data della sentenza, quando deve tener conto degli acconti versati
anteriormente dal danneggiante o dal responsabile civile, dev’essere compiuta
sottraendo questi importi in maniera che i termini del calcolo siano omogenei; ciò
si può conseguire sottraendo gli acconti dal valore del danno al momento del
versamento degli stessi acconti oppure rivalutando l’importo degli acconti alla
data della liquidazione finale del danno.” (Cass. 10.3.99 n. 2074; v. anche 1.12.99
n. 13358). Si preferisce procedere, nel caso di specie, a sottrarre gli acconti
all’importo del danno attualizzato alla data di versamento dell’acconto. In base a
tali parametri le somme residue dovute a parte attrice risultano liquidabili, alla
data della presente sentenza, in euro 62.619,54 di cui € 134.874,83 per capitale
iniziale, € 17.826,01 per rivalutazione e € 22.718,70 per interessi .
5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste interamente
a carico dei convenuti; liquidazione come da dispositivo, effettuata sulla base
dello scaglione tariffario previsto per la somma riconosciuta (al lordo degli
acconti versati in corso di causa) e non per quella domandata. Non si ravvisano
motivi per procedere a compensazione, neppure parziale, delle spese, ove si
consideri che prima del giudizio l’assicuratore aveva corrisposto solo
modestissimi acconti (€ 10.600); che un acconto più consistente è stato versato
solo a seguito della istanza di provvisionale proposta dall’attore; e che, nonostante
l’ulteriore acconto versato all’udienza di discussione i convenuti restano debitori
di un consistente importo a titolo di capitale e accessori.
Vanno poste in via definitiva a carico dei convenuti le spese della CTU
collegiale, che si liquidano con separato provvedimento in pari data.
P.Q.M.
Il Tribunale di Torino, definitivamente pronunciando sulla domanda
proposta da P. Luca Ermanno nei confronti di Pass. Rodolfo e Fondiaria
SAI s.p.a., con ricorso depositato il 6.7.07, ogni diversa istanza ed eccezione
disattesa, così provvede:
dichiara tenuti e condanna Pass. Rodolfo e Fondiaria SAI s.p.a., in solido fra
loro, al pagamento in favore di P. Luca Ermanno di € 62.519,54 (già
detratto gli acconti versati), oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo;
dichiara tenuti e condanna i convenuti, in solido, all’integrale rimborso delle spese
del giudizio in favore di P. Luca Ermanno, liquidandole in € 8.060,94, di
cui € 422,94 per spese vive, € 2.638 per competenze e € 5.000 per onorari, oltre
spese generali, IVA e CPA come per legge;
pone in via definitiva le spese di CTU, liquidate come da separato provvedimento
in pari data, a carico solidale dei convenuti.
Così deciso in Torino, il giorno 27.11.2008.
Il Giudice
Marco Ciccarelli


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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