L’art. 346 è una norma fondamentale, cardine del giudizio di appello. Sono poche righe, ma l’impatto sugli innumerevoli casi della vita giudiziaria è impressionante.
Cosa dice dunque questo articolo? Stabilisce che le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate.
Prevede dunque una presunzione di abbandono, presunzione che, si badi bene, è assoluta e non vincibile da alcuna prova contraria. Per non tradire la vocazione casistica di questo blog iniziamo ad esaminare questa norma, che ci impegnerà per molti giorni, subito con un esempio.
Tizio agisce in primo grado per vedere affermata, in via principale, la responsabilità del Comune Alfa ai sensi dell’art. 2051 c.c. e, in via subordinata, ai sensi dell’art. 2043 c.c. .
Il giudice di primo grado, sussunta la domanda sotto l’art. 2043 la rigetta difettando l’elemento della colpa. Propone appello l’attore contestando la pronuncia in punto di mancanza di colpa. L’appello viene accolto dalla Corte che riconduce la responsabilità dell’ente convenuto a quella di cui all’art. 2051 c.c. e lo condanna per mancanza di prova del fortuito.
Ricorre in Cassazione il Comune il quale denuncia vizio di ultrapetizione, assumendo che nell’atto di appello l’attore soccombente non aveva riproposto la domanda di condanna fondata sull’art. 2051 c.c..
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza. L’attore-appellante avrebbe dovuto riproporre la domanda principale fondata sull’art. 2051 c.c.. I “fatti” rilevanti per l’affermazione della responsabilità ex art. 2051 c.c. sono diversi da quelli necessari per proclamarla ex art. 2043 c.c., con la conseguenza che, se il giudice di primo grado abbia escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. ed abbia negato la responsabilità del convenuto per difetto di colpa ex art. 2043 c.c., ed il soccombente non si sia doluto in appello della mancata applicazione dell’art. 2051 c.c., al giudice di appello non è consentito prescindere dall’indagine sull’elemento soggettivo dell’illecito ed affermare la responsabilità del convenuto in base alla sola considerazione del nesso eziologico tra cosa e danno ed alla mancanza di prova del fortuito, essendogli tanto impedito dai limiti della devoluzione segnati dall’atto di appello (ex art. 346 c.p.c.) e risultando altrimenti la sentenza affetta dal vizio di ultrapetizione (art. 112 c.p.c.).
Cassazione civile sez. III, 23 giugno 2009, n. 14622
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il (OMISSIS) l’autovettura di A. finendola condotta dal figlio An., all’altezza di una curva destrorsa della strada comunale “(OMISSIS)” in agro di (OMISSIS), urtò contro un grosso masso caduto dal costone soprastante la sede stradale, sul cui bordo non esistevano barriere di protezione. Nel maggio del 1997 il proprietario del veicolo convenne in giudizio innanzi al tribunale di Paola il comune di Aiello Calabro chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati dal mezzo (indicati in L. 11.672.227) per non avere, pur consapevole del pericolo, mai adottato misure idonee ad evitare i possibili pregiudizi agli utenti della strada.
Il comune resistette, sostenendo che il fatto era ascrivibile esclusivamente all’incauta condotta del conducente, non avvedutosi durante un forte temporale delle segnalazioni di pericolo da parte dei carabinieri intervenuti sul posto; escluse, in particolare, che nel tratto in questione si fossero verificati in passato analoghi eventi e sostenne che il fatto era del tutto imprevedibile, in quanto connesso alle eccezionali precipitazioni meteoriche di quei giorni.
Il tribunale rigettò la domanda, invece accolta dalla corte d’appello di Catanzaro con sentenza n. 29/04 del 27.1.2004, sul sostanziale rilievo che sussisteva la responsabilità dell’ente proprietario della strada ex art. 2051 c.c. e che non era stato provato il fortuito.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione il comune soccombente sulla base di sei motivi, cui resiste con controricorso A. A..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dal controricorrente in relazione al fatto che il ricorso per cassazione è stato notificato al suo difensore nel giudizio di appello non già presso la cancelleria della corte d’appello di Catanzaro, come sarebbe dovuto accadere in difetto di elezione di domicilio in Catanzaro, ma presso il suo studio in Cosenza.
Al di là del rilievo che l’eccipiente non ha negato che il suo difensore abbia materialmente ricevuto l’atto, va osservato che, avendo l’intimato depositato il controricorso, la nullità sarebbe comunque sanata in applicazione del principio secondo il quale la notifica dell’atto di impugnazione presso il procuratore extra districtum non da luogo a inesistenza giuridica della notificazione – la quale si configura soltanto quando manchi del tutto un collegamento tra luogo e persona presso cui avviene la notifica e destinatario della medesima – bensì a un’ipotesi di nullità, con la conseguenza che la costituzione del destinatario dell’atto sana il vizio con efficacia ex tunc (Cass., 12 luglio 1999, n. 7334).
1.1.- Col primo motivo del ricorso è denunciata violazione degli artt. 99, 112 e 346 c.p.c. per avere l’appellante insistito in appello sul carattere di “insidia” della presenza del masso sulla strada, così delimitando il thema decidendum all’ambito proprio dell’art. 2043 c.c., e non già dell’art. 2051 c.c. cui aveva, invece, fatto esclusivo riferimento la corte d’appello, in violazione dei limiti della devoluzione.
1.2.- Col secondo motivo la sentenza è censurata per violazione degli artt. 2051, 2043, 1227 c.c., e R.D. n. 2356 del 1923, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè per ogni possibile vizio della motivazione su punto decisivo ed in ordine al concetto ed ai principi formatisi in materia di diritto vivente, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, in punto di responsabilità dell’amministrazione per danni cagionati a terzi da beni demaniali di vasta estensione e di uso diretto e generalizzato da parte degli utenti, tali da rendere in concreto impossibile un’effettiva attività di vigilanza (sicchè la responsabilità dell’ente pubblico proprietario sarebbe configurabile non ex art. 2051 c.c., ma ex art. 2043 c.c. solo in quanto l’evento dannoso sia eziologicamente ricollegabile ad una situazione qualificabile come insidia o trabocchetto).
1.3.- Col terzo motivo è denunciata violazione degli artt. 2043, 1227, 2697 c.c., art. 112, 115 e 116 c.p.c. nonchè vizio di motivazione in riferimento alle risultanze testimoniali e documentali acquisite.
Vi si sostiene che la corte d’appello aveva del tutto obliterato la relazione del tecnico comunale geometra G. in data (OMISSIS) in ordine alla eccezionale portata delle piogge, tali da integrare il fortuito; e che non aveva del pari considerato che fino alla sua rimozione, il masso era stato sempre vigilato dai militari, com’era risultato dalle testimonianze assunte.
1.4.- Col quarto e col quinto motivo la sentenza è censurata in punto di determinazione quantitativa del risarcimento e, col sesto, in ordine alla statuizione sulle spese.
2.- Benchè “il diritto vivente” evocato dal ricorrente col secondo motivo di ricorso si configuri, ormai, in senso assolutamente opposto a quello prospettato – essendosi chiarito, a seguito dell’evoluzione indotta dalla sentenza n. 156 del 1999 della Corte costituzionale, che agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale applicabile l’art. 2051 c.c. (Cass., nn. 2308 e 7763 del 2007) e, da ultimo, affermato (Cass., n. 20427 del 2008) che va superata la giurisprudenza di questa Corte, pur già orientata nel senso che l’art. 2051 c.c. può trovare applicazione nei confronti della P.A., per le categorie di beni demaniali quali le strade pubbliche, solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne è possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza, tale da impedire l’insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (Cass., nn. 20827, 15779 e 15383 del 2006) – tuttavia la sussunzione della fattispecie nell’ambito applicativo di tali principi è nella specie preclusa dalla fondatezza del primo motivo di ricorso.
2.1.- Dall’esame degli atti, consentito a questa Corte in relazione alla natura del vizio denunciato (in procedendo), inequivocamente risulta che sia l’atto di citazione, sia la sentenza di primo grado, sia lo stesso atto d’appello dell’ A. furono esclusivamente incentrati sulla evocazione della responsabilità “per colpa” della pubblica amministrazione sotto i profili della imprudenza e della negligenza, appunto escluse dal giudice di primo grado e dall’attore, invece, affermate.
Il tribunale addirittura espressamente escluse, sulla scorta degli orientamenti giurisprudenziali dell’epoca Cass., nn. 10759 e 12314 del 1998) l’applicabilità al caso dell’art. 2051 c.c., affermò che la domanda andava inquadrata nell’azione di responsabilità ex art. 2043 c.c., negò a tale stregua che il pericolo fosse invisibile ed imprevedibile e concluse nel senso della mancanza di colpa dell’amministrazione convenuta.
In appello l’ A. non si dolse della statuizione in punto di omessa applicazione dell’art. 2051 c.c., ma escluivamente censurò la sentenza per non aver ritenuto che il pericolo fosse occulto e che la p.a. versasse in colpa per non aver eliminato l’insidia, o per non averlo fatto adeguatamente e tempestivamente.
In siffatto contesto la corte d’appello non avrebbe potuto porre a fondamento dell’accoglimento della domanda la custodia della cosa in capo alla p.a. e l’omessa dimostrazione del fortuito, ma avrebbe dovuto esaminare l’appello e valutare il caso in base alle regole proprie dell’art. 2043 c.c., che presuppongono il dolo o la colpa dell’autore del danno, del tutto estranei al criterio di collegamento più favorevole al danneggiato di cui all’art. 2051 c.c., a mente del quale la responsabilità del custode deriva dalla sussistenza del solo rapporto causale tra cosa e danno, salva la prova, da offrirsi ovviamente dal custode, dell’elisione del nesso eziologico costituita dal fortuito.
I “fatti” rilevanti per l’affermazione della responsabilità ex art. 2051 c.c. sono diversi da quelli necessari per proclamarla ex art. 2043 c.c., con la conseguenza che, se il giudice di primo grado abbia escluso l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. ed abbia negato la responsabilità del convenuto per difetto di colpa ex art. 2043 c.c., ed il soccombente non si sia doluto in appello della mancata applicazione dell’art. 2051 c.c., al giudice di appello non è consentito prescindere dall’indagine sull’elemento soggettivo dell’illecito ed affermare la responsabilità del convenuto in base alla sola considerazione del nesso eziologico tra cosa e danno ed alla mancanza di prova del fortuito, essendogli tanto impedito dai limiti della devoluzione segnati dall’atto di appello (ex art. 346 c.p.c.) e risultando altrimenti la sentenza affetta dal vizio di ultrapetizione (art. 112 c.p.c.).
3.- Assorbiti tutti gli altri motivi, la sentenza va dunque cassata perchè il giudice del rinvio, che si designa nella stessa corte d’appello in diversa composizione, decida sull’impugnazione dell’ A. esclusivamente alla stregua dei criteri di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2043 cod. civ..
Il giudice del rinvio regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri, cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2009

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Se una sentenza ha accolto un opposizione a d.i. nel senso di ridurre l’importo indicato nel decreto, l’opposto può proporre appello e contestualmente
avviare l’esecuzione della gravata sentenza per la parte di credito riconosciuta? oppure, come mi è stato riferito, l’esecuzione equivale ad implicita acquiescenza e, conseguentemente, impedirebbe la proposizione del gravame?
Grazie
@dario: l’inizio dell’esecuzione non equivale ad acquiescenza
grazie per le delucidazioni.
Buongiorno Ho bisogjno del suo aiuto!!
Mio papa si è fatto fregare dal commune un terreno anni fà e non ancora pagato. Dopo tantissimi anni ancora la causa non è stata risolta…
Le ultime scuse sono:
1) La informo che la trattazione dell’appello è stata rinviata all’udienza del 26/05/2016, in quanto la Cancelleria della Corte di Appello non aveva ancora acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado.
Questa acquisizione è indispensabile per potere andare avanti nella causa ed i ritardi sono imputabili al fatto che la Sezione Distaccata di Siderno (presso la quale si è svolto il primo grado del giudizio), è stata soppressa con accormapento al Tribunale Civile di Locri, presso il quale sono confluiti tutti i fascicoli e documenti relativi a detta sezione.
2) la causa oggi è stata rinviata al 10/11/2016 per la trattazione dell’appello e sempre per l’acquisizione del fascicolo di primo grado, ossia relativo al giudizio che si è svolto a Siderno, non avendo ancora provveduto la cancelleria del Tribunale di Locri. Purtroppo questi sono i tempi della giustizia, dettati dai giudici, sui quali, ahimè, gli avvocati non hanno potere.
Mi sà spiegare in modo semplice perchè I termini giuridici sono complicati “non aveva ancora acquisito il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado”
La ringrazio tantissimo!
Con il primo grado di giudizio venivo assolto con formula piena per alcuni capi di imputazione mentre per altri venivo condannato per peculato. Contestualmente venivo sospeso dal lavoro dall’Ente Comune con retribuzione ridotta ad assegno alimentare pari al 5O%. Successivamente in appello la sentenza veniva riformata dihiarando la Corte non doversi procedere in ordine al relativo reato in quando estinto in data antecedente a quella della condanna inflitta in primo grado e per l’effetto revoca le statuzioni civili contenute in ques’ultima. Si chiede gentilmente se si ha diritto alla restituzione delle somme dello stipendio non percepite. Considerando che in primo grado avevo già riportato per altri capi di imputazione l’assoluzione con formula piena grazie
La sentenza di appello riforma parzialmente quella del tribunale, dispone sulle spese di lite ma nulla dice riguardo le spese del giudizio di primo grado. Che fine fanno tali ultime spese ? Grazie
@Giusti: ricorso per Cassazione
Egregio Avv. ho un dubbio. Ho vinto in Cassazione in merito al mio divorzio. Vittoria totale, tutte le domande accettate. Rimandata la causa alla Corte d Appello. Quest ultima aveva completamente spazzato via ben 3 assegni di mantenimento(mio e dei miei 2 figli)
Stiamo procedendo al conteggio del dovuto di questi anni mai più pagati. L avvocato che mi ha seguito x separazione e divorzio sostiene che i calcoli vanno fatti a partire dalla sentenza di Appello,il cassazionista dice che per il principio della sostituzione(mi sembra..) vengono cassati i precedenti gradi di giudizio e si riparte dalla sentenza di separazione. Chi ha ragione?
“le stesse possono trovare ingresso nella fase di g”ravame predetta al fine di precostituire il titolo esecutivo per le restituzioni, fermo restando che la condanna restitutoria va subordinata al passaggio in giudicato e, in ogni caso, non può essere eseguita prima di quel momento.”
Dunque se pende il giudizio in cassazione non mi possono chiedere la restituzione delle somme?
Buonasera ho appena subito sentenza di separazione personale con un aumento dell’assegno di mantenimento. Il mio stipendio attuale e’ di circa 1250 euro ed il trib.ha stabilito debba 380 euro di mantenimento. Attualmente convivo avendo lasciato l’abitazione familiare poiche’ assegnata.Ho ragione di chiedere un abbattimento della debenza?
Se non avessi convissuto sarei letteralmente per strada.
Sono laureato ho la qualifica di operaio ed il giudice ha innalzato il mantenimento valutando che la mia preparazione lasci ben sperare per un posto di lavoro migliore.Peccato non sia cosi’…se fosse cosi’facile mi piacerebbe chiedere al giudice di trovarmi un posto da laureato.Sono una guardia giurata…
Grazie x l’attenzione ed eventuale gradita replica.
Gli attori, eredi di un soggetto deceduto a seguito di sinistro stradale, sono stati condannati al pagamento delle spese legali a seguito del rigetto della loro domanda. Soltanto uno degli eredi vorrebbe proporre gravame alla sentenza . Posso proporre appello solo per uno di loro e non per tutti?
Grazie.
@Avv. Caccia: sì, ma l’atto, ritengo, debba essere notificato a tutti
@Ludovico: sempre difficile in questi casi prevedere la decisione
Vorrei esporre il mio caso :
Il condominio aveva intentato causa ad un condomino ; il sottoscritto aveva partecipato al primo grado.
Il condominio vide rigettarsi in primo grado le richieste , con compensazione delle spese.
Il condominio era ricorso in appello ; il sottoscritto aveva espresso ritualmente dissenso in base al 1132 c.c.
All’esito dell’appello il condominio vide la “conferma integrale della sentenza impugnata” e la rifusione delle spese sia di primo che secondo grado.
L’amministratore elabora una ripartizione secondo il seguente schema:
• la parte della soccombenza in appello dovuta per il primo grado , a coloro che avevano promosso il primo grado ( tra cui il sottoscritto) ed a coloro che non avevano dissentito
• la parte della soccombenza in appello dovuta per il secondo grado , a coloro che avevano promosso il secondo grado ed a coloro che non avevano dissentito
La domanda è la seguente :
Se è certo che è stato il ricorso in appello del condominio a determinare la condanna alla rifusione delle spese alla controparte anche in primo grado , perchè il sottoscritto , che aveva ritualmente espresso il proprio dissenso in riferimento all’art.1132 c.c. “separando la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza” , si è visto caricato di quest’onere , soprattutto in considerazione che il primo grado aveva visto la compensazione delle spese?
@mi pare corretta la ripartizione, in quanto il giudice d’appello ha modificato la decisione delle spese relative al primo grado
Ho vinto il primo grado di giudizio e il mio ex datore di lavoro è stato condannato al pagamento di un’indennita risarcitoria di 12 mensilità per licenziamento nullo più la reintegra che io ho rifiutato in luogo dell’indennita’ di 15 mesi. Dopo diversi mesi ancora non ha pagato e ha impugnato in appello. Mi è stato sconsigliato dal mio avv di andare avanti con il pignoramento, perché nel caso la sentenza di primo grado venga confermata in secondo, si dovrebbe rifare tutta la procedura da capo essendo cambiando il titolo esecutivo. È corretto?
Quindi tanto vale aspettare e accettare la proposta ricevuta da avv della controparte, cioè di pagarmi un acconto oggi e aspettare la sentenza di secondo grado. Io sono perplessa, ho una sentenza in mio favore da tanti mesi e non mi sento per niente tutelata.
A seguito di sentenza di appello che mi impone la restituzione di quanto incamerato in primo grado (quale distrattario), mi viene un dubbio nell’apprestarmi alla riconsegna: a suo tempo l’impresa soccombente versò in mio favore le spese comprensive di IVA e applicò la Ritenuta di Acconto provvedendo al versamento. Mi chiedo: io dovrò restituire anche l’importo ricevuto per IVA, nonostante l’impresa ha avuto titolo per “scaricarla” ? e indoltre: dovrò aggiungere alla somma netta percepita anche l’importo a suo tempo versato dall’impresa soccombente come Ritenuta di Acconto ?
Grazie
Antonio
Salve, avrei una domanda. Mio cognato, docente, anni fa ha vinto in primo grado una causa di lavoro ottenendo il risarcimento x mancata stabilizzazione. Essendo nel frattempo entrato di ruolo e avendo proposto appello il Miur, mio cognato ha deciso di non costituirsi in giudizio, stante anche gli orientamenti a lui sfavorevoli della Cassazione. Il giudice di appello stavolta ha accolto il ricorso del MIUR sia basandosi appunto sulle recenti sentenze della Cassazione che considerano il passaggio di ruolo come una forma diversa di ristoro sia adducendo che nel ricorso mancano “le prove” dell’abuso reiterato da parte del MIUR, non essendo stati allegati al ricorso i documenti che provano il susseguirsi del rapporto di lavoro presso lo stesso istituto e con riguardo alla stessa cattedra. Ora io mi chiedo: il giudice d’appello non avrebbe dovuto avere contezza di questi documenti rinvenendoli nel fascicolo d’ufficio di primo grado? Perché è chiaro che il MIUR non li ha allegati al suo ricorso, né mio cognato avrebbe potuto non n essendosi costituito in appello. Inoltre, posto che mio cognato ha difatti prestato servizio in modo reiterato presso la stessa cattedra può ricorrere in Cassazione facendo valere questi documenti che lo attestano o non si può far nulla? E se non si può ricorrere in Cassazione si può rifare un’altra causa facendo valere questi documenti che in appello forse intenzionalmente non sono stati esibiti da parte del MIUR? Grazie della risposta
Gentile Collega, approfitto della tua esperienza per chiederti un parere su una questione capitatami di recente. Uno dei convenuti (già contumace), muore durante il processo e il fatto è documentato da relata dell’ufficiale giudiziario relativa alla notifica dell’ordinanza che ammette interrogatorio. Il giudice “dimentica” nella confusione dell’udienza di dichiarare l’interruzione e rinvia per proseguire interrogatorio formale Delle altre parti (nessun collega si accorge dell’anomalia, eravamo 10 convenuti). A distanza di più di 3 mesi, prima di procedere all’interrogatorio, eccepisco l’estinzione per mancata riassunzione…il collega dell’attore sostiene che ha tempo un anno per riassumere al domicilio del defunto presso gli eredi…il giudice si è riservato…che ne pensi?
Sul giudizio di appello e domanda di garanzia vorrei sottoporLe il seguente quesito.
Tizio cita Caio e Caio chiama in causa Sempronio per manleva.
Il giudice condanna Caio a risarcire Tizio accogliendo anche la domanda di manleva.
Sempronio (terzo soccombente in primo grado) impugna la sentenza contro Tizio (attore in primo grado).
Caio (convenuto in primo grado) deve costituirsi con appello incidentale o può semplicemente riproporre la domanda di manleva?