Riforma del processo civile: la relazione del Senato (II parte)

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(Pubblichiamo la II parte della relazione del Senato).

L’articolo 46 è composto da 24 commi che apportano modifiche al Libro II del codice di procedura civile, recante la disciplina del processo di cognizione.

La Camera dei deputati, in terza lettura, ha modificato un comma (comma 8 ) e ne ha inserito uno nuovo (comma 12).

Il comma 1 novella il terzo comma dell’art. 163 c.p.c. relativo al contenuto dell’atto di citazione, coordinando la formulazione del n. 7 con il nuovo testo dell’art. 38 c.p.c. in materia di incompetenza.

Tra i contenuti necessari della citazione, il citato n. 7 del terzo comma prevede attualmente l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’art. 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione dei termini, e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’art. 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui all’art. 167 (eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio).

In base al testo novellato, la citazione conterrà l’avvertimento che la costituzione fuori dei termini indicati comporta, oltre alle decadenze di cui all’art. 167, anche la decadenza ad eccepire l’incompetenza del giudice (per materia, valore o territorio) di cui all’art. 38 c.p.c. (cfr. art. 45, comma 2, del disegno di legge in esame).

Il comma 2 apporta due modifiche all’art. 182 c.p.c., in materia di difetto di rappresentanza o autorizzazione.

In primo luogo, estendendo l’ambito di applicazione della disposizione in questione, viene prevista la possibilità di sanare anche i vizi che determinano la nullità della procura al difensore, mediante il rilascio o la rinnovazione della stessa entro un termine assegnato dal giudice ed espressamente definito perentorio.

In secondo luogo, innovando rispetto al regime attuale nel quale i difetti di rappresentanza, assistenza e assistenza sono sanabili con efficacia ex nunc, si prevede che l’osservanza del termine stabilito dal giudice abbia efficacia ex tunc: pertanto gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione.

Come già anticipato, il comma 3 abroga l’art. 184-bis c.p.c., relativo all’istituto della rimessione in termini, che viene disciplinato dall’art. 153 c.p.c., nel testo novellato dall’art. 45, comma 19, del disegno di legge in esame.

Il comma 4 modifica l’art. 191 c.p.c. in materia di nomina del consulente tecnico, anticipando la formulazione dei quesiti alla pronuncia dell’ordinanza di ammissione dei quesiti stessi.

Il comma 5 riformula il terzo comma dell’art. 195 c.p.c., che attualmente prevede che la relazione del consulente tecnico vada depositata in cancelleria nel termine fissato dal giudice. Il nuovo terzo comma stabilisce che un’ordinanza del giudice resa all’udienza di comparizione di cui all’art. 193, debba indicare:

  1. il termine entro il quale il consulente tecnico debba trasmettere alle parti la propria relazione;

  2. il termine entro cui le parti devono far pervenire al consulente le proprie osservazioni sulla relazione stessa,

  3. il termine, comunque anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti ed una propria sintetica valutazione delle stesse.

I commi 6, 7 e 8 modificano la disciplina della prova testimoniale nel processo di cognizione. Il comma 6 adegua il testo dell’art. 249 c.p.c. in materia di facoltà di astensione dei testimoni davanti all’autorità giudiziaria all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale del 1988.

Infatti, il rinvio alla disciplina sulla facoltà d’astensione di cui agli artt. 351 e 352 c.p.p. va ora riferita agli artt. 200, 201 e 202 dello stesso codice, relativi, rispettivamente, al segreto professionale, d’ufficio e di Stato.

Il comma 7 aggiunge una disposizione all’art. 255 c.p.c., relativo alla mancata comparizione dei testimoni.

Viene, infatti, aggiunto un periodo al primo comma con il quale si prevede – in caso di una ulteriore, mancata comparizione del testimone all’udienza senza giustificato motivo -che il giudice possa (con ordinanza) disporre l’accompagnamento coattivo del testimone, condannandolo ad una pena pecuniaria da 200 a 1000 euro.

Il comma 8, introducendo l’articolo aggiuntivo 257-bis, prevede la possibilità per il giudice di disporre l’acquisizione della testimonianza per iscritto, sulla base di un modello di testimonianza predisposto dalla parte che ne fa richiesta.

Tenendo conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, il giudice può decidere di assumere la testimonianza scritta, soltanto in quanto sussista un accordo delle parti. In tale ipotesi, il giudice chiede al testimone, anche nelle ipotesi di assunzione dei mezzi di prova al di fuori della circoscrizione del tribunale ai sensi dell’art. 203 c.p.c., di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

Spetta alla parte che ha richiesto l’assunzione della testimonianza predisporre il modello di testimonianza e farlo notificare al testimone. La disposizione, con formulazione che sarebbe stato opportuno esplicitare, precisa che tale modello è predisposto “in conformità agli articoli ammessi”. Si segnala che il modello è disciplinato dal nuovo art. 103-bis disp. att. c.p.c., introdotto dall’art. 52, comma 3, del disegno di legge in esame.

Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, precisando quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.

Il testimone deve infine sottoscrivere la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che deve poi spedire in busta chiusa con plico raccomandato o consegnare alla cancelleria del giudice. Se il testimone si avvale della facoltà di astensione di cui all’art. 249, deve compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione. Se il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria prevista dall’art. 255, primo comma, c.p.c. in caso di mancata comparizione dei testimoni (si ricorda che l’art. 255, primo comma, c.p.c. viene modificato dal comma 7 dell’art. 46 in esame).

Il ricorso al modello di testimonianza può evitarsi in caso di dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore (il testo approvato dal Senato parlava di dichiarazione “ricevuta dal” difensore) della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti.

Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.

In accordo con le nuove previsioni sulla competenza (art. 45 del disegno di legge in esame), il comma 9 modifica l’art. 279 c.p.c., in materia di forma dei provvedimenti del collegio, prevedendo che il collegio pronunci ordinanza non solo quando provvede su questioni relative all’istruzione della causa, senza definire il giudizio, ma anche quando decide soltanto questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, l’ordinanza deve anche contenere provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa.

Conseguentemente, dal secondo comma dell’art. 279, che elenca i casi in cui il collegio decide con sentenza, viene eliminato il riferimento alle questioni di competenza.

Il comma 10 modifica le modalità di notificazione della sentenza di cui all’art. 285 c.p.c., che attualmente prevede che tale notificazione, al fine della decorrenza del termine per l’impugnazione, si fa, su istanza di parte, a norma dell’articolo 170, primo e terzo comma

Il comma in esame, sopprimendo detto riferimento ai soli commi primo e terzo e dunque generalizzando il rinvio all’art. 170, prevede che se il procuratore è costituito per più parti sarà sufficiente la consegna di una sola copia della sentenza.

In senso analogo viene modificato l’art. 330 c.p.c. (collocato nel capo relativo alle impugnazioni in generale).

I commi successivi dell’articolo in esame dispongono, in particolare, l’abbreviazione di numerosi termini processuali.

Il comma 11 sostituisce l’art. 296 c.p.c., che prevede l’istituto della sospensione del processo su istanza delle parti.

Attualmente, l’art. 296 prevede che il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, possa disporre che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a 4 mesi.

Il comma 11:

  1. subordina la sospensione su istanza delle parti alla sussistenza di giustificati motivi;

  2. specifica che la sospensione de qua può essere concessa una sola volta;

-riduce la durata massima della medesima sospensione a 3 mesi;

– stabilisce che nel disporre la sospensione il giudice deve contestualmente fissare l’udienza per la prosecuzione del processo.

In senso analogo, il comma 12, intervenendo sull’art. 297 c.p.c., riduce da 6 a 3 mesi il termine entro il quale le parti dovranno necessariamente proporre l’istanza di fissazione dell’udienza qualora questa non sia stata fissata dal provvedimento che ha disposto la sospensione del processo.

Il comma 13 sostituisce il quarto comma dell’art. 300 c.p.c. che fissa il momento dell’interruzione del processo in caso l’evento interruttivo (di cui all’art. 299) riguardi la parte contumace. In tale ipotesi, infatti, l’attuale norma stabilisce che il processo sia interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è notificato o è certificato dall’ufficiale giudiziario nella relazione di notifica o comunicazione di un atto al contumace. Il nuovo quarto comma dell’art. 300

c.p.c. prevede come momento che interrompe del processo anche quello in cui il fatto interruttivo (morte o perdita della capacità di stare in giudizio da parte del contumace) è documentato dall’altra parte.

Il comma 14, intervenendo sull’art. 305 c.p.c., riduce da 6 a 3 mesi il termine perentorio entro il quale deve essere proseguito o riassunto il processo interrotto.

Il comma 15 interviene sull’art. 307 c.p.c. che disciplina l’estinzione del processo per inattività delle parti. Il termine perentorio per la riassunzione del processo che sia stato cancellato dal ruolo è diminuito da un anno a 3 mesi.

Analogamente, nei casi in cui la legge autorizza il giudice a fissare il termine perentorio per la riassunzione, questo non potrà essere superiore a 3 mesi (invece degli attuali 6).

Infine, mentre attualmente l’ultimo comma dell’art. 307 c.p.c. prevede che l’estinzione, pur operando di diritto, deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa ed è dichiarata con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio, se dinanzi a questa venga eccepita, la proposta in esame prevede che essa possa essere dichiarata anche d’ufficio.

Il comma 16 modifica il secondo comma dell’art. 310 c.p.c. che, nel testo attuale, prevede che l’estinzione del processo rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e quelle che regolano la competenza.

La modifica ha natura di puro coordinamento normativo con la nuova previsione che le pronunce sulla competenza si assumono con ordinanza anziché con sentenza (v. art. 45, commi 3 e ss., del disegno di legge in esame).

Il comma 17 modifica l’art. 327 c.p.c., che prevede il cosiddetto termine lungo per le impugnazioni. Mentre ai sensi dell’art. 325 c.p.c. in caso di notificazione della sentenza il termine per l’impugnazione è di 30 giorni dalla notificazione stessa (60 per il ricorso per cassazione), l’art. 327 c.p.c. stabilisce attualmente che, in assenza di notificazione, l’impugnazione deve essere proposta a pena di decadenza entro un anno dalla pubblicazione della sentenza.

Il comma in esame prevede che tale ultimo termine sia abbreviato a 6 mesi.

Il comma 18 interviene sull’art. 345, comma terzo, c.p.c. chiarendo che in appello non possono essere prodotti nuovi documenti (salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non averli potuti proporre o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile).

Il comma 19 modifica l’art. 353 c.p.c. (Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione o di competenza).

L’art. 353 prevede che il giudice d’appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice. Le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di sei mesi dalla notificazione della sentenza. Se contro la sentenza d’appello è proposto ricorso per cassazione, il termine è interrotto. L’articolo in questione conteneva anche un quarto comma, ai sensi del quale la disposizione del primo comma si applicava anche quando il pretore, in riforma della sentenza del conciliatore, dichiarava la competenza di questo. Tale quarto comma è stato abrogato dall’art. 89 della legge 26 novembre 1990, n. 353, di riforma del processo civile.

Il comma in esame elimina dalla rubrica dell’art. 353 c.p.c. il riferimento alla competenza (che è sopravvissuto all’abrogazione del suddetto quarto comma) e riduce da 6 a 3 mesi il termine per la riassunzione del processo.

Il comma 20 abroga il quarto comma dell’art. 385 c.p.c., ai sensi del quale, quando pronuncia sulle spese, la Corte di cassazione, anche d’ufficio, condanna, altresì, la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma, equitativamente determinata, non superiore al doppio dei massimi tariffari, se ritiene che essa ha proposto il ricorso o vi ha resistito anche solo con colpa grave. Come accennato, l’abrogazione assume natura di coordinamento con la modifica apportata all’art. 96 c.p.c. dall’art. 45, comma 12, del disegno di legge in esame.

Il comma 21 modifica l’art. 392 c.p.c., stabilendo che il termine per la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio è di 3 mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione e non già di un anno, come previsto attualmente.

Il comma 22, aggiunto nel corso dell’esame in terza lettura alla Camera dei deputati, interviene sull’art. 442 c.p.c. – relativo alle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie – aggiungendovi un nuovo comma che sottrae le cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali (che diverranno di competenza del giudice di pace ai sensi dell’art. 45, comma 1, del disegno di legge in esame) all’applicazione del rito del lavoro.

Il comma in esame riformula l’art. 46, comma 2, del testo approvato dal Senato in prima lettura (che è stato conseguentemente soppresso, v. scheda di lettura relativa all’art. 45 del disegno di legge in esame). La modifica risponde probabilmente all’opportunità di assicurare che il rito applicabile alle suddette controversie sia individuato all’interno del codice di procedura civile e non in una legge speciale (come sarebbe stato se la Camera non avesse provveduto a modificare gli artt. 45 e 46 del disegno di legge in esame).

Il comma 23 integra la formulazione del primo comma dell’art. 444 c.p.c. in materia di giudice competente per le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie.

La disposizione aggiuntiva definisce la competenza in caso di attore residente all’estero assegnandola al tribunale del lavoro nella cui circoscrizione l’attore risiedeva prima del trasferimento all’estero; se la prestazione è, invece, chiesta dagli eredi, è competente il tribunale nella cui circoscrizione il defunto aveva l’ultima residenza.

Il comma 24 dispone l’estensione ai giudizi amministrativi e contabili della disciplina del primo comma dell’art. 291 c.p.c. che, in caso di mancata costituzione del convenuto, prevede che se il giudice istruttore rileva un vizio che importi nullità nella notificazione della citazione, debba fissare all’attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza. 


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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2 commenti:

  1. Luigi Passalacqua

    Perché escludere le controversie di lavoro? Sarebbe stato un ottimo strumento nei casi il cui il datore rifiuti di reintegrare o comunque riammettere in servizio il lavoratore vittorioso in giudizio!



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