Quando, per la prima volta, scorsi velocemente il testo della riforma sbiancai: era infatti abrogato l’art. 184 bis c.p.c. che prevede, come a tutti noto, la rimessione in termini.
In realtà, esso è sostituito dall’art. 153, secondo comma, che stabilirà:
“La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma”.
La rimessione in termini, dunque, diviene norma generale del processo e non collegata alla sola fase istruttoria.
Ciò, infatti, aveva portato la S.C. (non sempre per la verità) a pronunce assai rigorose, quale quella n. 2946/2008 in cui si stabilì che la disciplina della rimessione in termini, concernendo appunto la sola fase istruttoria, è applicabile a tutte le decadenze verificatesi entro la prima udienza di trattazione e, comunque, all’interno del giudizio di primo grado, mentre non riguarda la fase di proposizione delle impugnazioni. Nella specie, la S.C. aveva confermato la sentenza di merito che – dichiarando l’improcedibilità dell’appello per tardivo deposito dell’originale dell’atto di citazione – aveva negato che l’appellante potesse essere rimesso in termini deducendo che il ritardo nel deposito era dovuto allo smarrimento dell’atto da parte dell’ufficiale giudiziario.
E’ pertanto da salutare con favore l’introduzione del secondo comma dell’art. 153 c.p.c..

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Perché escludere le controversie di lavoro? Sarebbe stato un ottimo strumento nei casi il cui il datore rifiuti di reintegrare o comunque riammettere in servizio il lavoratore vittorioso in giudizio!
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