Modello ricorso per cassazione accettazione tacita eredità

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ALLA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE CIVILE

RICORSO EX ART. 360 C.P.C.

proposto da

AAA FRANCESCA B. (C.F. …..), nata a Città il 2/8/1961 e ivi residente in Via Matteo R. n. 19, rappresentata e difesa dall’Avv. Mirco Minardi (C.F.: MNRMRC69T06A271W; fax 071.7912550; indirizzo di posta elettronica certificata mirco.minardi@pec-ordineavvocatiancona.it), iscritto nello speciale Albo degli Avvocati Cassazionisti dal 17/04/2015, in forza di procura speciale rilasciata in data 06/09/2019, autenticata dal Notaio GG. PP. di Città (Rep. 81119) (all. c), il quale dichiara di voler ricevere tutte le comunicazioni e le notificazioni, di Cancelleria e di parte, presso l’indirizzo PEC sopra indicato, iscritto nel RE.G.IND.E. e già comunicato all’Ordine degli Avvocati di Ancona, ivi intendendo eleggere domicilio

Ricorrente

nei confronti di

AAA D. D. ———————–

AAA B. FRANCESCA, ———————-

entrambi rappresentati e difesi nel giudizio di secondo grado dall’Avv. ————-

AAA BR. …………………………

Intimati –

PROVVEDIMENTO IMPUGNATO: sentenza n. 1428/2019, pubblicata il 14/06/2019, RG n. 1585/2016, Repert. n. 1459/2019 del 14/06/2019, emessa dalla Corte d’Appello di Città in data 6/6/2019, notificata ad istanza di parte lo stesso giorno della pubblicazione.

OGGETTO: divisione ereditaria. Accettazione tacita eredità. Decadenza.

SCADENZA IMPUGNAZIONE: la sentenza è stata notificata telematicamente all’Avv. Laura VV. il 14/06/2019, pertanto il termine per la notifica del ricorso scade il 13/09/2019.

VALORE DELLA CONTROVERSIA: indeterminabile.

 

I

SINTESI DELLA DECISIONE E DEI MOTIVI DI IMPUGNAZIONE

Nel giudizio di divisione ereditaria pendente tra le parti, la Corte d’appello di Città ha respinto l’eccezione di prescrizione ex art. 480 c.p.c. sollevata dall’odierna ricorrente nei confronti dei fratelli, osservando che fosse incontroverso che la qui intimata AAA BR. avesse presentato la dichiarazione di volturazione catastale anche per conto degli altri due fratelli e della madre, senza minimamente spiegare: (a) perché fosse incontroverso, e (b) da quale elemento aveva ricavato che AAA BR. non solo avesse presentato la dichiarazione di volturazione, ma che avesse agito anche per conto degli altri chiamati. Per tale ragione, la sentenza viene censurata in quanto meramente apparente, essendo del tutto carente delle «ragioni di fatto» ex art. 132 n. 4 c.p.c.

Dopo avere spiegato le ragioni per cui nel caso di specie non opera il limite ex art. 348-ter, si è altresì proposto un motivo ex n. 5) dell’art. 360 c.p.c., evidenziandosi che la Corte territoriale non aveva minimamente esaminato un fatto decisivo e cioè la mancata produzione della domanda di voltura catastale, specie tenuto conto di quanto affermato da Cass. 4843/2019: “la voltura, essendo una richiesta documentale, va provata non per presunzione, ma, con il documento con cui è stata chiesta, da dove può risultare quando, come e, soprattutto, da chi è stata chiesta”.

Preliminarmente, però, in questa sede si chiede alla Suprema Corte di rivedere il proprio orientamento in tema di effetti, ex art. 476 c.c., della presentazione della domanda di voltura catastale da parte del chiamato, sollecitando una riflessione su argomentazioni che non ci risulta essere mai state considerate e quindi confutate, tenendo conto dei rilievi critici sollevati non solo dalla dottrina, ma anche da una buona parte della giurisprudenza di merito e soprattutto alla luce del tenore letterale dell’art. 476 c.c. in combinato disposto con la normativa tributaria in tema di denuncia di successione e volturazione catastale.

In estrema sintesi, l’oggetto della critica è questo: atteso che la domanda di voltura catastale, a norma di legge, va avanzata «obbligatoriamente» dal semplice chiamato che abbia presentato la denuncia di successione (ex artt. 3[1] e 12[2] D.P.R. n. 650/1972), appare difficile sostenere che si tratti di un “atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede” (verbatim art. 476 c.c.). Il chiamato, invero, non solo ha il diritto di presentare la domanda di voltura catastale, ma anche e soprattutto il dovere, a pena di sanzioni; da qui la totale irrilevanza di tale atto ai fini della accettazione tacita della eredità.

Si chiede pertanto l’affermazione del seguente principio di diritto (ovviamente con le migliori parole e la migliore forma che la S.C. saprà trovare): “La presentazione della domanda di voltura catastale da parte del chiamato all’eredità, in assenza di altri indici sintomatici, non può costituire di per sé atto di accettazione tacita ex art. 476 c.c., trattandosi di obbligo di natura tributaria ex art. 3 d.p.r. 350/1972, gravante sullo stesso chiamato che abbia presentato la denuncia di successione, il che, dunque, esclude tanto l’elemento della volontarietà, quanto quello della riserva esclusiva all’erede”.

Si propongono pertanto i seguenti motivi di impugnazione:

I MOTIVO: falsa applicazione dell’art. 476 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., pag. 17.

II MOTIVO: nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e comunque al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”, in violazione dell’art. 132 c.p.c. e 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c., pag. 28.

III MOTIVO: omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c. pag. 38.

IV MOTIVO: violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. e dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c., pag. 41.

 

II

ESPOSIZIONE SOMMARIA DEL FATTO

I.1 IL GIUDIZIO DI PRIMO GRADO

Con atto di citazione ritualmente notificato nei mesi di gennaio e febbraio 2011, AAA D. D. e AAA B. Francesca convenivano innanzi al Tribunale di Città per l’udienza del 9/5/2011, AAA BR. e AAA Francesca B., al fine di conseguire la divisione dei cespiti pervenuti in successione con la morte della madre GG. B. e, segnatamente, dell’immobile sito in Città alla Via Matteo R. n. 19, censito nel catasto fabbricati del suddetto Comune ed individuato al foglio n. 7, particella n. 930, sub 26 e 27, nonché sub 10.

Premettevano che la richiesta di divisione si era resa necessaria per effetto del rifiuto della signora AAA Francesca B., unica dei coeredi che non aveva inteso addivenire, in via amichevole, non solo alla divisione, ma anche alla consegna delle chiavi ai suoi fratelli che pure avevano il suo stesso diritto a detenerle.

Chiedevano, pertanto: (a) di ordinare alla convenuta AAA Francesca B. l’immediata restituzione delle chiavi dell’immobile, con espresso diritto degli attori di agire in separata sede per conseguire la restituzione dei frutti indebitamente percepiti; (b) di ordinare la divisione del cespite immobiliare, con attribuzione ai singoli richiedenti della quota legalmente prevista loro spettante; (d) di porre le spese occorrenti per la stima a carico di tutti i condividenti pro quota, ovvero, nel caso di opposizione alla divisione, a carico dell’opponente.

Con la costituzione in giudizio, AAA Francesca B. dichiarava di non opporsi al chiesto scioglimento della comunione ereditaria chiedendo, tuttavia, in via riconvenzionale, di accertare l’avvenuta prescrizione del diritto degli attori e di AAA BR. all’accettazione dell’eredità di AAA Ugo; di dichiarare la convenuta proprietaria di 5/8 dell’immobile oggetto di successione e di condannare gli altri condividendi a rimborsarle le somme sborsate per la manutenzione straordinaria dell’immobile, ammontanti a complessivi € 10.000,00, ovvero per quella somma maggiore o minore accertata nel corso del giudizio.

Alla prima udienza si costituiva in giudizio anche AAA BR., la quale dichiarava di non opporsi alla divisione e chiedeva di tenere conto nella formazione delle quote di quanto illegittimamente conseguito da AAA B. Francesca, che aveva occupato in via esclusiva l’immobile comune.

Nelle memorie depositate ex art. 183 co. 6 c.p.c., gli attori e la convenuta AAA BR. contestavano le difese e le domande della sorella e le somme di cui la stessa chiedeva il rimborso.

Istruita la causa mediante nomina di CTU per la descrizione e stima degli immobili in comunione, nonché per la predisposizione di un progetto divisionale, il consulente chiariva che gli immobili non erano comodamente divisibili in quattro parti uguali, e che pertanto andavano venduti a terzi ovvero acquistati dal singolo coerede previa corresponsione del giusto conguaglio in denaro.

All’udienza del 16.10.2015 i procuratori delle parti precisavano le conclusioni riportandosi a quelle già formulate negli atti precedenti e, previa assegnazione dei termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa passava in decisione.

 

I.2 LA SENTENZA DI PRIMO GRADO

Il Tribunale di Città, con sentenza n. 3262/2016, pubblicata il 14/6/2016, emetteva il seguente dispositivo: “Rigetta le domande riconvenzionali proposte da AAA Francesca B.; dichiara che gli immobili oggetto di domanda di divisione appartengono in quote uguali, pari a ¼ a AAA D. D., AAA B. Francesca, AAA BR. e AAA Francesca B.; condanna AAA Francesca B. al pagamento, in favore delle altre parti, delle spese processuali per la parte relativa alle domande riconvenzionali, che si liquB.no in € 3.500,00, per compensi di avvocato, oltre rimborso forfetario al 15%, Iva e CPA come per legge; dispone con separata ordinanza in ordine al compimento delle ulteriori operazioni divisionali. Così deciso in Città, il 13 giugno 2016”.

Il Tribunale argomentava in questo modo:

  • è infondata la domanda formulata in via riconvenzionale dalla convenuta AAA Francesca B. volta all’accertamento della prescrizione del diritto ad accettare l’eredità di AAA Ugo da parte degli altri condividendi. Difatti, sebbene sia certo che il termine decennale per l’accettazione dell’eredità decorra, ex art. 480 c.c., dalla data di apertura della successione, nel caso in esame risulta che gli odierni attori e la AAA BR. causa [così nel testo, n.d.r.], hanno accettato tacitamente l’eredità di AAA Ugo entro detto termine.
  • Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, “l’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare; ne consegue che, mentre sono inidonei allo scopo gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile” (cfr Cassazione civile sez. Il, 11/05/2009, n. 10796, Tribunale Milano sez. IV, 12/02/2013 n. 1994).
  • Dalla documentazione in atti (ed in particolare dalla visura catastale) emerge che gli eredi legittimi di AAA Ugo hanno richiesto, in data 20.9.1994, la voltura a loro nome dei beni del de cuius, per le quote di rispettiva proprietà.
  • Tale atto non può che costituire accettazione tacita dell’eredità di AAA Ugo, a mente della sopra citata giurisprudenza.
  • Ne consegue il rigetto anche della domanda volta all’accertamento della proprietà in capo alla AAA Francesca B. della quota di 5/8 sugli immobili descritti in citazione.

Si riportano in nota le altre statuizioni, siccome non rilevanti ai fini del presente ricorso[3].

La causa veniva, pertanto, rimessa in istruttoria al fine di procedere al compimento delle ulteriori operazioni divisionali (tramite assegnazione o vendita), come da separata ordinanza.

Le spese processuali relative alle domande riconvenzionali, sulla base del principio della soccombenza, a carico di AAA Francesca B..

 

I.3 IL GIUDIZIO DI APPELLO

Con atto di citazione notificato nei giorni 27 e 31/10/2016, AAA Francesca B. proponeva appello avverso la decisione di primo grado, per i seguenti motivi:

  • il diritto di accettare l’eredità da parte dei convenuti si era prescritto (pag. 3);
  • non risultava trascritta alla conservatoria dei registri immobiliari l’accettazione dell’eredità ai sensi e per gli effetti dell’art. 2648 c.c., né risultava che gli stessi avessero posto in essere atti di accettazione tacita (pag. 3);
  • nel giudizio di primo grado gli appellati non avevano prodotto alcuna documentazione atta a provare di avere posto in essere atti di erede (pag. 3);
  • la quota percentuale di AAA Ugo non era stata oggetto di domanda giudiziale, pertanto il giudice aveva pronunciato ultra petita, perché gli attori avevano limitato la domanda alla quota di GG. B., quota all’interno della quale non poteva essere ricompresa anche la quota di AAA Ugo pari ad 1/3 (in applicazione delle norme sulla successione legittima del coniuge) da calcolarsi sulla restante quota di ½ degli stessi immobili in comproprietà con la moglie (pag. 4);
  • B., successivamente alla morte del marito AAA Ugo (avvenuta in data 20/09/1994) aveva subìto un procedimento di interdizione introitato dai figli e in data 12.11.1995 le era stato nominato un tutore provvisorio. Il giudizio rubricato al n. R.G.V. 2410/95 si era concluso con la dichiarazione di interdizione in data 07/04/1997. Pertanto, GG. B., già incapace al momento della morte del marito, non aveva compiuto e non poteva aver compiuto legalmente, né prima, né durante il procedimento di interdizione, né dopo, alcun atto di accettazione espressa o tacita dell’eredità del coniuge, né era stata data prova costituita o costituenda da parte degli altri appellati di tali circostanze, prova che ai sensi dell’art. 2697 c.c., in presenza delle contestazioni ed eccezioni di prescrizione sollevate da AAA Francesca B. nella propria comparsa di costituzione e risposta, era a carico della parte appellata secondo i principi dell’onere probatorio (pag. 3-4);
  • nessun atto di accettazione dell’eredità era stato compiuto dalla tutrice della sig.ra GG. B., la quale era deceduta il 27.01.2010 senza avere mai accettato legalmente l’eredità del marito (pag. 5);
  • la Corte di Appello avrebbe pertanto dovuto procedere a riformulare le quote spettanti a ciascun erede escludendo dalle quote spettanti agli appellati la quota di 1/3 che GG. B. doveva ereditare da AAA Ugo (pag. 5);
  • l’unica chiamata ad avere accettato l’eredità di AAA Ugo era stata la sig.ra AAA Francesca B., quale possessore esclusivo e pacifico a far data dalla morte del padre degli immobili per cui è causa, la quale aveva posto in essere tutti gli atti di amministrazione ordinaria e straordinaria (pag. 6);
  • gli appellati non possiedono e non avevano mai posseduto le chiavi degli immobili di cui avevano chiesto lo scioglimento della comunione e mai avevano richiesto la consegna delle chiavi prima dell’introduzione del giudizio. Dal 1994 solamente AAA Francesca B. aveva goduto in via esclusiva degli immobili, essendosi i fratelli sempre disinteressati (pag. 6-7);
  • la denuncia di successione e la domanda di voltura catastale non costituiscono atti di accettazione tacita dell’eredità trattandosi di obblighi fiscali (pag. 9);
  • in ogni caso i fratelli non avevano prodotto in giudizio la domanda di voltura catastale bensì una semplice visura catastale (pag. 10);
  • non era possibile stabilire, nel caso di specie, chi avesse presentato la domanda di voltura catastale, ben essendo possibile l’iscrizione d’ufficio tenuto conto che erano trascorsi molti anni dalla asserita presentazione della domanda (14/1/1998) rispetto al momento della apertura della successione avvenuta (20/09/1994) (pag. 11);
  • era inverosimile – e d’altra parte smentito dalle stesse controparti che avevaqno affermato di aver presentato la domanda in data 14/1/1998 – che in data 20/09/1994 (giorno del decesso del padre) gli eredi avessero presentato la domanda di voltura catastale, ancor prima di presentare la denuncia di successione (pag. 11);
  • erroneamente quindi il Tribunale aveva affermato che esistesse documentazione in atti comprovante la domanda di voltura catastale e che la domanda fosse stata presentata da tutti gli appellati (pag. 11);
  • che difatti il Tribunale non era stato in grado di specificare chi avesse presentato la domanda di voltura catastale (pag. 11);
  • che la visura catastale non è idonea a provare il soggetto che ha presentato la domanda di voltura catastale (pag. 10-11);
  • che in ogni caso la domanda proposta da uno dei chiamati non può spiegare effetti di accettazione tacita a favore anche di tutti gli altri (pag. 12);
  • diversamente opinando ne deriverebbe che un chiamato all’eredità, che non intendesse accettare neanche tacitamente l’eredità, si ritroverebbe erede puro e semplice in forza di un atto compiuto da un altro soggetto (pag. 12);
  • in difetto di produzione della domanda di voltura catastale, il Tribunale non avrebbe potuto affermare che uno o tutti gli appellati avevano compiuto un atto di accettazione tacita in presenza delle eccezioni delle controparti (pag. 13);
  • pertanto la quota ereditaria del sig. AAA Ugo era stata acquisita dalla sola AAA Francesca B. per accrescimento (pag. 13);
  • ingiusta era la condanna al pagamento delle spese processuali, sia perché si sarebbe dovuta accogliere l’eccezione di prescrizione, sia perché la domanda riconvenzionale proposta da AAA Francesca B. volta a richiedere il rimborso delle somme per i miglioramenti apportati dalla stessa alla cosa comune era stata rinunciata (pag. 14).

 

I.3.1 La difesa delle appellate.

Si costituiva AAA BR. per resistere all’appello, eccependo tanto l’inammissibilità quanto l’infondatezza. Nel merito, la difesa dell’appellata evidenziava che agli atti era stata depositata la dichiarazione di successione presentata da AAA BR. e che “successivamente alla presentazione della predetta dichiarazione di successione si è provveduto alla voltura catastale dell’immobile caduto in eredità”. Dalla documentazione catastale allegata – evidenziava l’appellata – si evinceva che la voltura era stata effettuata il 14/01/1998 in favore di tutti i figli per quote uguali pari a 1/12 e per la moglie B. GG. per la restante quota di 8/12. Era pertanto evidente “che la dichiarazione di successione del 11/03/1995 a firma della sig.ra AAA BR. e la successiva voltura del 14/01/1998 sono state effettuate dagli eredi legittimi, figli e coniugi del defunto, nell’interesse di tutti gli eredi, i quali si sono dati reciprocamente mandato ad eseguire tali atti nell’interesse di tutti i chiamati all’eredità e reciprocamente hanno riconosciuto le rispettive qualità di eredi del defunto padre”. Evidenziava che vi fosse conflitto di interessi tra la sig.ra B. GG. e la figlia nella qualità di tutrice, con conseguente sospensione della prescrizione fino alla data della morte della sig.ra GG., avvenuta il 27/01/2010. Precisava che nel costituirsi in giudizio, aveva dichiarato di accettare l’eredità della madre, ivi compresa quella devoluta a seguito della morte del di lei marito AAA Ugo. In ogni caso si sarebbe profilata una grave responsabilità per mala gestio nei riguardi della tutrice. Rassegnava quindi le seguenti testuali conclusioni: “Piaccia l’Ill ma Corte di Appello adita: rigettare l’appello proposto da AAA Francesca B. e confermare la sentenza impugnata. Con vittoria di spese e competenze di giudizio”.

Si costituivano altresì AAA D. D. e AAA B. Francesca per resistere anch’essi all’appello proposto dalla sorella. Gli stessi ribadivano che la dichiarazione di successione e la successiva voltura catastale costituivano atti di accettazione tacita. Evidenziavano che la domanda riconvenzionale proposta da AAA Francesca B., volta ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per la manutenzione dell’immobile, costituiva riconoscimento della loro qualità di eredi. Sottolineavano che, in ogni caso, vi fosse stata la sospensione della prescrizione quanto all’accettazione di GG. B., tenuto conto del conflitto di interessi esistente tra l’interdetta e la tutrice. Concludevano chiedendo: la declaratoria di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c. e comunque il suo rigetto; di rilevare e dichiarare che gli stessi avevano posto in essere atti concludenti e significativi di accettare l’eredità (accettazione tacita) e comunque tali da integrare un atto incompatibile con quello di segno opposto; di rilevare in ogni caso ex officio l’esistenza di una causa di sospensione del termine di prescrizione decennale per l’accettazione dell’eredità da parte di GG. B. per effetto del conflitto di interessi con la figlia, tutrice oggi appellante; di condannare l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.

 

I.4 LA SENTENZA DELLA CORTE DI APPELLO

La Corte di Appello di Città, con la sentenza qui impugnata, rigettava l’appello per i seguenti testuali motivi:

  • è incontroverso che i coniugi B. GG. e Ugo AAA acquistarono in quote uguali l’immobile sito Città, via Matteo R. n.19, in catasto al foglio 7 p.lla 930, sub 26 e 27. È incontroverso, altresì, che, al decesso di entrambi i coniugi, si sono aperte le rispettive successioni ab intestato, nel primo caso in favore del coniuge superstite, in ragione di 1/3, e dei quattro figli (D. D. AAA, B. Francesca AAA, Francesca B. AAA e BR. AAA) in ragione dei restanti 2/3, e, nel secondo caso (in assenza di coniuge), in favore di tutt’e quattro i detti germani AAA.
  • è incontestato che Francesca B. AAA è nel possesso esclusivo dell’immobile in comunione; il Tribunale di Città ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta da Francesca B. AAA volta a far dichiarare estinto per prescrizione il diritto da parte degli altri condividenti di accettare l’eredità di Ugo AAA. Conclusione cui il primo giudice è giunto affermando che i detti coeredi hanno accettato l’eredità in questione tacitamente, avendo richiesto a loro nome in data 20.9.1994 la voltura dei beni del de cuius e ciò conformemente alla giurisprudenza della Suprema corte che citava.
  • Tale capo di sentenza è appellato da Francesca B. AAA con il primo motivo, laddove ha contestato il compimento da parte degli altri coeredi di condotte idonee a far ritenere tacitamente accettata l’eredità paterna, e da ciò inferendo di esser divenuta unica erede della quota di 1/2 spettante al genitore defunto.
  • Secondo Francesca B. AAA la voltura castale – diversamente da quanto ritenuto dal tribunale – non sarebbe di per sé sufficiente ai fini di una implicita accettazione, non essendo – afferma l’appellante – l’intestazione catastale in grado di trasmettere né la proprietà, né altri diritti reali.
  • Il motivo è infondato sol che si consideri come l’acquisto della quota ereditaria non sia da riconnettere alla mera modifica catastale, ma piuttosto alla condotta che sta a monte e che costituisce, come affermato dalla Cassazione con la sentenza citata dal giudice, atto di accettazione tacita della eredità: la presentazione della domanda di voltura castale (vedi Cass. 11.5.2009 n. 10796 cit.).
  • Né coglie nel segno l’argomento dell’appellante laddove si osserva che nella sentenza della Suprema corte citata l’accettazione tacita è stata riconnessa, non già alla mera attestazione – risultante dalle visure – della avvenuta voltura castale, bensì alla presentazione da parte degli eredi di una domanda in tal senso. Ed infatti – diversamente da quanto affermato dall’appellante – è evidente che nel caso che ci occupa la modifica catastale non può esser avvenuta d’ufficio, ma ad istanza di uno degli eredi.
  • Tale ultima considerazione appare decisiva posto che nella fattispecie è incontroverso esser stata la domanda di voltura presentata da BR. AAA su incarico della madre e degli altri fratelli (incarico che solo costoro avrebbero potuto disconoscere). Né rileva che alla data della presentazione della domanda di voltura l’anziana B. GG. fosse già stata interdetta, ed infatti, anche ad ipotizzare che il coniuge del de cuius non avesse accettato l’eredità, è certo che le quote finali venutesi a determinare a seguito dell’apertura delle due successioni (quella del AAA e quella della GG.) sarebbero comunque identiche, ossia pari, in entrambi i casi, ad 1/4 per ciascuno dei quattro figli.

Si riportano in nota le altre statuizioni in quanto non oggetto di impugnazione con il presente ricorso e non influenti sui motivi proposti, in quanto non costituenti autonome rationes decidendi sul punto[4].

La C.d.A. emetteva quindi il seguente dispositivo: “La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello proposto da AAA Francesca B., nei confronti di AAA D. D., AAA B. Francesca e AAA BR., avverso la sentenza n. 3262 emessa dal Tribunale di Città il 14.6.2016. Condanna Francesca B. AAA al pagamento delle spese processuali del grado in favore di D. D. AAA, B. Francesca AAA, da un lato, e di BR. AAA, dall’altro, spese che, per ciascuno dei due gruppi, liquB. in euro 1.800,00 per la fase di studio, in euro 1.190,00 per la fase introduttiva, in euro 3.062,00 per la fase della decisione, oltre IVA, CPA, ed oltre rimborso spese forfettarie, ex art. 1, comma 2, nella percentuale del 15 % del compenso totale per la prestazione. Dà atto che l’appellante è tenuta al pagamento del doppio del contributo unificato ai sensi del comma 1 bis dell’art. 13 del d.p.r. 115/2002. Così deciso nella Camera di consiglio del 6.6.2019”.

 

III

MOTIVI DI IMPUGNAZIONE

 

I MOTIVO: falsa applicazione dell’art. 476 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

Questa difesa è consapevole dell’orientamento, anche di recente ribadito da Codesta On.le Suprema Corte, in merito agli effetti, ex art. 476 c.c., della domanda di voltura catastale, la quale, a differenza della denuncia di successione, consisterebbe in un atto incompatibile con la volontà di non accettare ed invita, in questa sede, la Suprema Corte a rivedere questa posizione, alla luce delle seguenti considerazioni.

Preliminarmente, si evidenzia la decisività della presente censura, in quanto nel caso di specie qualora si ritenesse la domanda di voltura catastale atto non implicante l’accettazione tacita, verrebbero meno de plano le fondamenta su cui poggia la sentenza impugnata. Difatti è pacifico che:

  • non vi è stata accettazione espressa da parte degli odierni intimati;
  • non vi è stato alcun altro atto di accettazione tacita nel termine di dieci anni dalla apertura della successione.

Per quanto concerne la dimostrazione della non novità della questione, si evidenzia che nell’atto di appello, a pag. 9, dalla terza riga, l’appellante odierna ricorrente scriveva testualmente: “Tra gli atti menzionati occorre prestare particolare attenzione alla dichiarazione di successione e la relativa voltura catastale. In sostanza questi adempimenti hanno il compito di individuare i soggetti che subentrano negli obblighi di carattere tributario che già facevano capo al de cuius. Sul piano sostanziale, la dichiarazione di successione è esclusa – pressoché unanimemente come sopra menzionato – dal novero degli atti implicanti accettazione dell’eredità. In ogni caso, nessuna rilevanza può assumere il compimento di atti di natura fiscale, come la dichiarazione di successione e la domanda di voltura catastale, in quanto atti che non costituiscono accettazione tacita di eredità”. Del pari, nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado, da pag. 5, ultimo cpv., si era evidenziato come la domanda di voltura catastale rappresentasse un obbligo previsto a fini fiscali e pertanto non costituente atto posto in essere volontariamente da chi non potrebbe se non nella qualità di erede (doc. 1 fascicoletto cassazione) e come l’orientamento sopra ricordato della S.C. fosse stato contestato dalla dottrina.

Sul motivo, la C.d.A. ha così risposto (pag. 5, 3° cpv.): “Il motivo è infondato sol che si consideri come l’acquisto della quota ereditaria non sia da riconnettere alla mera modifica catastale, ma piuttosto alla condotta che sta a monte e che costituisce, come affermato dalla Cassazione con la sentenza citata dal giudice, atto di accettazione tacita della eredità: la presentazione della domanda di voltura castale (vedi Cass. 11.5.2009 n. 10796 cit.)”.

La Corte d’appello, dunque, non ha preso in esame la circostanza per cui la presentazione della domanda non poteva essere considerata atto volontario, bensì normativamente imposto.

Come è noto, la domanda di voltura catastale deve essere obbligatoriamente presentata ogni qualvolta si verifichi un trasferimento, tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata, avente ad oggetto la proprietà o altro diritto reale limitato di un bene immobile che sia censito presso l’Ufficio del Territorio, nonché quando si realizza un trasferimento anche a causa di morte, ai sensi del d.lgs. n. 346/1990 (Testo Unico sull’imposta delle successioni e donazioni) e artt. 3[5] D.P.R. 650/1972 (Perfezionamento e revisione del sistema catastale). In caso di successione mortis causa, sono obbligati a presentare la domanda di voltura catastale coloro che sono tenuti alla presentazione della denuncia di successione e quindi, ai sensi dell’art. 28, comma 2, d.lgs. 346/1990 anche i meri chiamati[6]. Il termine per eseguire la voltura è di trenta giorni dalla avvenuta registrazione degli atti o dalla presentazione della denuncia di cui si è detto, ex art. 3, comma 3, d.p.r. 650/1972[7]. In mancanza, coloro tenuti all’adempimento de quo, tra cui anche i chiamati, sono sottoposti a sanzioni pecuniarie ex art. 12[8] d.p.r. 650/1972.

Ricapitolando:

  1. ai sensi dell’art. 28, comma 2, d.lgs. 346/1990, anche i semplici chiamati all’eredità hanno l’obbligo di presentare la denuncia di successione;
  2. ai sensi dell’art. 3, d.p.r. 650/1972, coloro che sono tenuti a presentare la dichiarazione di successione (tra cui quindi i chiamati) hanno l’obbligo di domandare la voltura degli immobili caduti in successione entro il termine di 30 giorni dalla presentazione della denuncia di successione;
  3. ai sensi dell’art. 12, comma 1, d.p.r. 650/1972, coloro che pur essendo tenuti (e quindi anche i semplici chiamati) non presentano la domanda di voltura catastale sono sottoposti a sanzioni pecuniarie.

In disparte ciò, codesta On.le Corte da circa venti anni[9] afferma il seguente principio:

“l’accettazione tacita di eredità, che si ha quando il chiamato compie un atto che presuppone la sua volontà di accettare e che non avrebbe diritto di compiere se non nella qualità di erede, può essere desunta anche dal comportamento del chiamato, che abbia posto in essere una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o siano concludenti e significativi della volontà di accettare. E, se gli atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, sono di per sé soli inidonei a comprovare l’accettazione tacita dell’eredità, questa può essere desunta dal comportamento complessivo del chiamato all’eredità che ponga in essere anche atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario ma anche dal punto civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi (v. Cass., sentt. n. 4783 del 2007, n. 5226 del 2002, n. 7075 del 1999)”.

Come si vede, il passaggio fondamentale è questo: “la voltura catastale … rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche dal punto civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi”. E più di recente ha affermato – seppure come obiter – che “secondo la dottrina più attenta, anche la voltura catastale determinerebbe un’accettazione tacita dell’eredità, nella considerazione che solo chi intenda accettare l’eredità assumerebbe l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio legale della proprietà dell’immobile dal de cuius a sé stesso” (Cass. 4843/2019)[10].

Peraltro non senza manifestazioni contrarie; ad. es. Cass. 6397/2011: “E, comunque, non risulta neppure la data di effettuazione della pretesa voltura catastale e chi abbia assunto l’iniziativa. Piuttosto, posto che nell’ipotesi in esame, la voltura è riconducibile alla denuncia di successione, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte la voltura riconducibile alla denuncia di successione, non comporta accettazione”.

[OMISSIS]

 

II MOTIVO: nullità della sentenza per motivazione meramente apparente e comunque al di sotto del c.d. “minimo costituzionale”, in violazione dell’art. 132 c.p.c., 111 Cost. , in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.

In disparte il primo motivo, si censura la sentenza per violazione del c.d. “minimo costituzionale”.

E’ noto come la motivazione della sentenza debba contenere anche la concisa esposizione delle ragioni di fatto (e di diritto) che giustificano la decisione del giudice e che la mancanza di queste ragioni ne determini la nullità. Si è infatti in presenza di una motivazione apparente, tale da far discendere la nullità del provvedimento impugnato, quando non è percepibile il fondamento della decisione, perché recante “argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice” (Cass. 10950/2019) o comunque “non idonee a rilevare la ratio decidendi”(Cass. 18643/2018) oppure, ancora, quando il giudice ometta l’indicazione degli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, come pure allorquando detti elementi siano stati indicati senza un’approfondita disamina logico-giuridica (Cass. 2778/2015).

“Ragioni di fatto” significa che la giustificazione della questione di fatto non può avvenire tramite apodittiche affermazioni, bensì tramite “proposizioni”, costituite a loro volta da premesse maggiori e minori, che nel rispetto della regola di implicazione logica giustifichino la tesi finale, cioè l’accertamento della esistenza o della inesistenza del fatto. Allorquando le premesse siano costituite da elementi di prova diretta, il giudice dovrà riportarne il contenuto, mentre là dove siano costituite da elementi indiziari, il giudice dovrà anche giustificare l’inferenza che dai fatti noti lo ha condotto alla conoscenza dei fatti ignoti.

Ha affermato plasticamente Cass. 18056/2019, cassando la decisione di secondo grado, che “I motivi di una sentenza devono infatti consistere in ragioni, non in affermazioni”.

Nel caso di specie, sin dal primo grado[11] e con l’atto di appello[12] (si riportano in nota i passi oggetto di contestazione), l’odierna ricorrente ha sostenuto con forza che non fosse stata fornita la prova della avvenuta accettazione tacita, stante, tra le altre cose, la mancata produzione in giudizio da parte di alcuno della “domanda di voltura catastale[13]. Difatti, ciò che era stato prodotto agli atti era la mera “visura catastale”, la quale (oltre a non costituire accettazione tacita) non dimostrava affatto da chi fosse stata presentata la vera e propria domanda di voltura catastale.

E la questione era tutt’altro di lana caprina, tenuto conto del fatto che i chiamati ai quali si imputava la decadenza dal diritto di accettare l’eredità erano ben quattro. Difatti, qualora i chiamati fossero stati solo due, si sarebbe anche potuto inferire logicamente per esclusione che, negando l’uno di avere presentato la domanda di voltura, questa fosse stata presentata necessariamente dall’altro (salva la possibilità della iscrizione d’ufficio). Al contrario, qui si trattava di stabilire chi avesse presentato la domanda e da chi e come avesse ricevuto il mandato di agire anche per conto degli altri, ovvero in quale momento avesse ottenuto la ratifica, tenuto conto che i possibili soggetti interessati, oltre alla parte odierna ricorrente, erano astrattamente quattro (GG. B., AAA BR., AAA D., AAA B. Francesca).

In assenza della “domanda di voltura catastale”, in primo grado il Tribunale[14] ha ritenuto dirimente la mera “visura catastale” agli atti, scrivendo che “orbene dalla documentazione in atti (ed in particolare dalla visura catastale) emerge che gli eredi legittimi di AAA Ugo hanno richiesto, in data 20/09/1994 la voltura a loro nome dei beni del de cuius, per le quote di rispettiva proprietà” (pag. 3, 5° capoverso), oltretutto confondendo la data del decesso con quella della presentazione della domanda, in realtà dichiarata dagli intimati nel 14/1/1998 (come affermato in corso di causa dalla difesa delle altre parti; su cui infra).

Il Tribunale di Città, dunque, aveva svolto una considerazione di questo tipo: dalla visura catastale emerge che gli eredi legittimi sono intestatari dei beni, ergo ciò significa che tutti gli eredi legittimi hanno presentato la domanda di voltura a loro nome dei beni del de cuius.

Il ragionamento non era accettabile, in quanto, come ognuno sa, è sufficiente che un solo chiamato presenti la denuncia di successione, indicando quelli che lui considera eredi, per determinare la relativa annotazione catastale. Ciò però non impedisce che:

  • il chiamato che non abbia accettato e che sia nel possesso dei beni possa rinunciare all’eredità entro tre mesi dall’apertura della successione, nonostante l’avvenuto inserimento del suo nome nel catasto;
  • il chiamato che non abbia accettato e che non sia nel possesso dei beni possa rinunciare all’eredità anche dopo tre mesi dall’apertura della successione, o rimanere silente per dieci anni, decorsi i quali non potrà più accettare, ancora una volta nonostante la visura catastale riporti anche il suo nominativo e la sua quota.

Tutto ciò senza che abbia alcun rilievo l’annotazione catastale eseguita su istanza di altro coerede, per la semplice ragione che nessuno può attribuire ad altri una qualità così pregna di conseguenze, senza che il chiamato abbia o espressamente o tacitamente tenuto un comportamento implicante l’accettazione stessa. Difatti, l’erede puro e semplice finirebbe per rispondere dei debiti ereditari anche con il proprio patrimonio e questo solo perché qualcun altro ha ritenuto di dover presentare la domanda di voltura catastale indicando anche la sua quota! Ha infatti affermato Cass. 8980/2017 che:

“l’accettazione tacita di eredità – pur potendo avvenire attraverso “negotiorum gestio”, cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria – può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l’altro chiamato all’eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del “de cuius”); dall’altro, che è indubitabile che la denuncia di successione ed il pagamento della relativa imposta non importano accettazione tacita dell’eredità”.

Come si è dianzi visto nella esposizione sommaria del fatto, l’odierna ricorrente, nell’atto introduttivo del giudizio di appello, aveva ribadito l’assenza di prova in ordine all’autore della domanda di voltura che, secondo il Tribunale, era stata fatta da tutti i chiamati, mentre secondo la Corte d’appello era stata eseguita da AAA BR. su incarico della madre (interdetta!) e dei fratelli. Ma in nessun punto la Corte territoriale spiega attraverso quali elementi di prova sia giunta a questa conclusione. Mancano totalmente le premesse maggiori e minori del sillogismo sulla questione di fatto.

La C.d.A. si limita infatti ad affermare: “Né coglie nel segno l’argomento dell’appellante laddove si osserva che nella sentenza della Suprema corte citata l’accettazione tacita è stata riconnessa, non già alla mera attestazione – risultante dalle visure – della avvenuta voltura castale, bensì alla presentazione da parte degli eredi di una domanda in tal senso. Ed infatti – diversamente da quanto affermato dall’appellante – è evidente che nel caso che ci occupa la modifica catastale non può esser avvenuta d’ufficio, ma ad istanza di uno degli eredi. Tale ultima considerazione appare decisiva posto che nella fattispecie è incontroverso esser stata la domanda di voltura presentata da BR. AAA su incarico della madre e degli altri fratelli (incarico che solo costoro avrebbero potuto disconoscere). Né rileva che alla data della presentazione della domanda di voltura l’anziana B. GG. fosse già stata interdetta, ed infatti, anche ad ipotizzare che il coniuge del de cuius non avesse accettato l’eredità, è certo che le quote finali venutesi a determinare a seguito dell’apertura delle due successioni (quella del AAA e quella della GG.) sarebbero comunque identiche, ossia pari, in entrambi i casi, ad 1/4 per ciascuno dei quattro figli”.

Come si vede, manca qualsivoglia riferimento a dichiarazioni, atti, comportamenti in grado di giustificare il fatto che BR. avesse davvero presentato la domanda e oltretutto anche per conto dei congiunti. E questa indagine era invero fondamentale tenuto conto che, da un lato, l’odierna ricorrente aveva espressamente ribadito la mancanza di prova, dall’altro la stessa C.d.A. a pagina 4 aveva dato atto che fosse “incontestato che Francesca B. AAA è nel possesso esclusivo dell’immobile in comunione”. Quindi, non essendo gli altri chiamati nel possesso dei beni era fondamentale verificare se davvero vi fosse stato un atto di accettazione tacita.

La C.d.A. avrebbe dovuto spiegare da dove aveva ricavato che fosse stata proprio BR. AAA ad aver presentato la domanda, tenuto conto che codesta Corte (Cass. 4843/2019) ha giustamente affermato che:

la voltura, essendo una richiesta documentale, va provata non per presunzione, ma, con il documento con cui è stata chiesta, da dove può risultare quando, come e, soprattutto, da chi è stata chiesta”.

Non solo. Ma anche ad ammettere (solo per un attimo) che BR. AAA avesse presentato la domanda di volturazione, non si comprende come la C.d.A. sia giunta a stabilire che la stessa avesse agito anche su incarico della madre (oltretutto interdetta e quindi impossibilitata a compiere qualsivoglia atto giuridico) e dei fratelli. Ancona una volta mancano completamente le premesse del sillogismo sulla questione di fatto. Dunque, quella della Corte territoriale non è una “ragione di fatto” bensì una “affermazione di fatto”, priva di qualsivoglia supporto argomentativo.

La C.d.A. scrive tra parentesi che solo i fratelli avrebbero potuto disconoscere l’incarico. Non si comprende cosa il Giudice di secondo grado intendesse dire. Sembrerebbe aver opinato che il mandato o la ratifica si presumono in caso di mancato disconoscimento. In realtà, poiché la legge richiede un certo comportamento entro il termine di dieci anni dalla apertura della successione, il semplice “non aver disconosciuto” non può essere interpretato come conferimento di mandato o ratifica, perché l’omissione, in quanto tale, è priva di significato in questo caso. Il chiamato che non ha chiesto la volturazione ha l’onere di attivarsi in qualche modo entro dieci anni per dimostrare di voler far propri gli effetti della suddetta attività, non essendo certo sufficiente il semplice silenzio o la ratifica avvenuta dopo la scadenza del termine.

Su tale questione, oltre a richiamarsi la sopra citata Cass. 8980/2017, appare opportuno riportare le parole di Codesta Corte contenute nell’ordinanza 15888/2014:

“3.2. giudice del merito sul punto ha affermato: “appare irrilevante che la richiesta di voltura venga effettuata da uno soltanto degli eredi nell’interesse anche degli altri…, conseguendo comunque l’atto di voltura l’effetto della intestazione del bene agli aventi diritto”. 3.3. Questa conclusione non è condivisibile. Nella specie è pacifico che la dichiarazione di successione di B.E. e la domanda di voltura catastale, aventi ad oggetto la quota di un mezzo dell’immobile esecutato, siano state presentate e sottoscritte esclusivamente da M.P., coniuge del de cuius, la quale ha provveduto anche al pagamento integrale delle relative imposte. B.M. risulta essere rimasta estranea all’intera vicenda successoria, rinunciando, anzi all’eredità. Ora, è principio affermato nella giurisprudenza della Corte di legittimità che se anche l’accettazione dell’eredità può desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, ciò non vuoi dire che la necessaria attività negoziale di costui non possa essere provata in via indiretta, né che debba essere personale nel senso di non ammettere attività procuratoria o addirittura di gestione altrui (v. anche Cass. 1.12.1977 n. 5227; Cass. 3.12.1974 n. 3958). Ma nel caso in esame non risultano elementi dai quali desumere, né il conferimento di un’attività procuratoria, né una delega, e nemmeno un consenso al compimento delle operazioni svolte, esclusivamente nel proprio interesse, dall’altro chiamato (la M.). Non vi, quindi, né una prova diretta – nel senso che la B. non ha sottoscritto la domanda di voltura catastale, né ha conferito procura scritta per il compimento di tale attività nel suo interesse; né alcuna prova indiretta nemmeno in via presuntiva – del suo consenso al compimento dell’atto, con la conseguente accettazione tacita dell’eredità; anzi, proprio la rinuncia effettuata nei tempi prescritti costituisce una prova indiretta in senso contrario. In conclusione, quindi, la richiesta di voltura catastale effettuata e sottoscritta dalla sola M. non integra alcuna volontà di accettare tacitamente, ai sensi dell’art. 476 c.c., l’eredità da parte della B., totalmente estranea all’atto. E ciò perché con la presentazione della voltura catastale ad opera e nell’interesse della sola M., la B. non ha per nulla compiuto un atto che, ai sensi dell’art. 476 c.c., presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di compiere se non nella qualità di erede”.

 

Il principio è stato ribadito più di recente da Cass. 9713/2017:

«Ad avviso del Collegio appare quindi corretta l’affermazione del giudice di merito che ha escluso che possa attribuirsi valenza di ratifica al mero silenzio serbato da parte del ricorrente, ben potendosi fare richiamo ai principi espressi da Cass. n. 15888/2014, che, sebbene in relazione alla presentazione della domanda di voltura catastale, ha ribadito che l’attività svolta anche da un coerede nell’interesse di altro coerede, in tanto può determinare l’accettazione dell’eredità, ancorché in maniera tacita, in quanto, in assenza di una preventiva delega, vi sia stata la successiva ratifica.

Trattasi peraltro di principi radicati nella giurisprudenza di questa Corte, che già con la sentenza n. 5227/77 ebbe ad affermare che l’accettazione tacita di eredità può avvenire anche per mezzo di negotiorum gestio concernente i relativi beni, ove intervenga la ratifica del chiamato a norma dell’art. 2032 c.c., in quanto tutte le ragioni che si oppongono alla configurabilità di un’accettazione tacita di eredità per effetto della gestione di affari compiuta nell’interesse del chiamato e relativa ad atti di amministrazione (conf. Cass. n. 3958/1974, con specifico riferimento all’attività di intestazione di beni catastali compiuta da un coerede in favore di altro coerede, ma con il consenso di quest’ultimo), vengono meno laddove la manifestazione di volontà del gestore, non dotato di poteri rappresentativi, sia ratificata dall’erede.

Tuttavia sebbene l’attività del gestore faccia venire meno lo stato di inazione che sta a base della prescrizione, e determina la interruzione di questa, ponendo nel nulla il tempo già passato e dando inizio ad un nuovo corso del termine prescrizionale, la ratifica da parte dell’erede deve comunque intervenire nel termine decennale che va calcolato dalla cessazione dell’attività del gestore (Cass. n. 1773/1969).

Alla luce di tali principi, deve pertanto essere confermata la correttezza della soluzione alla quale è giunta la Corte d’Appello, atteso che non risulta essere stata effettuata, in epoca anteriore alla proposizione della domanda di assunzione, una ratifica da parte dell’attore dell’operato di colui che ha richiesto a suo nome il certificato di eredità, ed essendo decorso tra la data di rilascio del certificato (13 aprile 1989) e da quella della sua integrazione (25/5/1989) a quella di proposizione della domanda giudiziaria (20/12/2012) un termine abbondantemente superiore a quello decennale di prescrizione del diritto di accettare l’eredità».

Pertanto, là dove un chiamato afferma di avere agito per conto di uno o altri chiamati, occorre comunque la prova diretta o indiretta di un mandato o di una ratifica, espressa o tacita, entro il termine decennale. Ma anche di tale fondamentale accertamento nella sentenza non vi è traccia. E tale indagine si rendeva oltremodo necessaria tenuto conto che sulla questione della volturazione (peraltro avvenuta – stando alle allegazioni degli intimati – a distanza di oltre tre anni dal decesso e quindi verosimilmente ex officio) gli odierni intimati si erano espressi in maniera molto vaga.

In particolare, nella 1° memoria ex art. 183 c.p.c. la difesa di parte attrice (AAA D. D. e AAA B. Francesca) aveva semplicemente scritto a pag. 2 che “Dalla documentazione richiamata emerge che la voltura del cespite sito in Città in via Matteo R. n. 19 è stata effettuata il 14/01/1998 con attribuzioni di pari quote per i figli – per 1/12 – e una quota per GG. B. per 1/8 – coniuge”, senza altro specificare[15].

Ugualmente generica l’allegazione di AAA BR. (ripresa dalla difesa di AAA D. D. e AAA B. Francesca nella replica conclusionale, a pag. 3, quarta riga, che si deposita unitamente alla 1° memoria ex art. 183 c.p.c. come allegato n. 4), sempre contenuta nella prima memoria ex art. 183 c.p.c.[16] (ma la stessa identica affermazione è contenuta a pag. 2 della comparsa conclusionale e a pag. 1 della replica conclusionale del giudizio di primo grado) in cui a pag. 1 scriveva che “Successivamente alla presentazione della predetta dichiarazione di successione si è provveduto alla voltura catastale dell’immobile caduto in eredità …”, ancora una volta rimarcando che la prova emergeva dalla “documentazione catastale” agli atti e cioè dalla visura.

Si noti che questo atteggiamento vago è perdurato in fase di appello, nonostante il motivo specifico di impugnazione proposto da AAA Francesca B., considerato che nella comparsa di costituzione e risposta, a pag. 3, riga seconda, AAA BR. ha continuato ad affermare semplicemente che “…si è provveduto alla voltura catastale...”, mentre la difesa di AAA D. D. scrive a pag. 6 che “l’assunto difensivo dell’appellante è stato smentito e superato in primo grado con l’allegazione documentale – dichiarazione di successione del giorno 11/3/2015 e successiva voltura catastale …” (v. allegati fascicolo di cassazione n. 4 e 5).

Detto altrimenti, non solo gli odierni intimati non hanno mai provato di avere presentato la domanda di voltura e di avere conferito il mandato ad uno di essi di presentarla, ma prima ancora non hanno mai nemmeno «allegato puntualmente» il fatto. Addirittura la difesa di AAA BR., come poc’anzi visto, si era espressa in termini impersonali (“… si è provveduto”), senza specificare chi aveva provveduto. Allo stesso modo, la difesa di AAA D. D. e B. Francesca non ha allegato e dimostrato quando ebbero a conferire il mandato o a ratificare l’attività asseritamente posta in essere – secondo la corte d’appello – dalla sorella BR..

Ed è interessante notare che la Corte d’appello ha addirittura travalicato le stesse allegazioni dei fratelli D. D. e B. Francesca, i quali nella comparsa conclusionale del giudizio di appello, a pag. 2[17], avevano espressamente scritto quanto segue: “Ciò evidenzia, al fine di confutare dubbi di sorta, sono state effettuate dagli eredi legittimi, rispettivamente coniuge e figli del defunto, nell’interesse di tutti gli eredi, i quali si sono dati reciprocamente mandato ad eseguire tali atti nell’interesse di tutti i chiamati all’eredità e in tale veste reciprocamente hanno riconosciuto le rispettive qualità di eredi del defunto padre”. Come si vede, dunque, secondo i fratelli D. D. e Francesca B. non era avvenuto un mandato da parte degli stessi alla sorella BR., bensì una sorta di mandato collettivo di tutti nell’interesse di tutti (“reciprocamente mandato”) volto al compimento delle suddette operazioni, in contrasto con l’assunto della Corte d’appello.

Per i sopra esposti motivi si chiede pertanto la cassazione della sentenza.

 

III MOTIVO: Omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.

L’art. 348-ter c.p.c. limita la proposizione del motivo n. 5) dell’art. 360 c.p.c. nelle ipotesi in cui la sentenza di secondo grado abbia confermato quella di primo grado sulla base delle “stesse ragioni inerenti la questione di fatto”.

Nel caso di specie, come abbiamo visto nel motivo precedente, la sentenza di secondo grado è totalmente carente delle “ragioni di fatto”, pertanto riteniamo non possa applicarsi il limite de quo.

Detto altrimenti, tanto nella ipotesi in cui la decisione del giudice del gravame contenga ragioni di fatto diverse, tanto nella ipotesi in cui dette ragioni manchino del tutto, ci troviamo al di fuori del campo di applicazione degli ultimi due commi dell’art. 348-ter c.p.c. e della stessa ratio della disposizione.

Sotto un profilo logico potrebbe sembrare inutile la proposizione di questo motivo tenuto conto che:

  1. se la S.C. dovesse ritenere nulla la sentenza in base al II motivo, non vi sarebbe ragione di approfondire l’aspetto dell’omissione;
  2. se la S.C. dovesse, invece, ritenere esplicitate le ragioni di fatto siccome confermative di quelle contenute nella sentenza di 1° grado, allora non vi sarebbe spazio per la denuncia de qua.

Crediamo, però, che vi sia un interesse giuridico meritevole di tutela a proporre questo motivo nella ipotesi sub a) e la ragione è la seguente. La portata dell’annullamento della decisione nel caso sub n. 4) dell’art. 360 c.p.c. è molto diversa rispetto a quella del n. 5). Nel primo caso, infatti, il giudice del rinvio deve semplicemente argomentare meglio, senza che nulla gli impedisca di riutilizzare gli stessi elementi di fatto già considerati nella sentenza cassata. Al contrario, in caso di annullamento ex n. 5), il giudice del rinvio è obbligato ad esaminare il fatto il cui esame è stato omesso e a prendere posizione espressa sullo stesso.

Fatta questa premessa, nella presente fattispecie il fatto di cui è stato omesso l’esame è quello più volte richiamato sopra: in giudizio non è mai stata depositata la domanda di voltura catastale, tanto che in primo grado il Tribunale era stato costretto a fondare la sua decisione sulla mera “visura catastale”.

E questo fatto doveva necessariamente essere considerato, tenuto conto che secondo la recentissima  Cass. 4843/2019:

la voltura, essendo una richiesta documentale, va provata non per presunzione, ma, con il documento con cui è stata chiesta, da dove può risultare quando, come e, soprattutto, da chi è stata chiesta”.

 

Dunque, la Corte d’appello non poteva sottrarsi a questa indagine, in quanto in assenza della domanda di voltura avrebbe dovuto concludere nel senso della impossibilità di stabilire – per usare le parole della Suprema Corte – chi, quando e come avesse presentato la domanda, da qui la sua decisività.

Per quanto concerne la dimostrazione dell’avvenuta deduzione della questione da parte della sig.ra AAA Francesca B. si evidenzia quanto segue:

  1. nella comparsa conclusionale di primo grado, dep. il 15/12/2015, a pag. 7 dalla 3° riga[18], si scriveva quanto segue: “Nel caso di specie, sebbene i cespiti immobiliari siano stati oggetto di voltura catastale, non è stata fornita la prova di chi abbia provveduto a tale domanda senza considerare che la domanda proposta da uno dei chiamati non può spiegare effetti di accettazione tacita a favore anche di tutti gli altri”.
  2. Nella replica conclusionale dep. il 4/1/2016 a pag. 3, dalla 5° riga[19]: “Ma a ben vedere, né parte attrice, né la convenuta AAA BR., hanno fornito prova di colui o coloro che abbiano presentato siffatta domanda di voltura catastale, né può assumersi che il compimento dell’atto da parte di qualcuno dei chiamati possa spiegare effetti di accettazione nei confronti (a favore o contro) degli altri”.
  3. Nell’atto di appello dep. il 4/11/2016, a pag. 11, penultimo cpv.[20]: “Non essendo in atti la domanda di volturazione catastale il Giudice tuttavia non è in grado neanche di indicare chi sia stato tra gli appellati a presentare tale domanda, ma lo dà per scontato e addirittura afferma labialmente e senza che esista documentazione in atti, che la domanda è stata presentata da tutti gli appellati”.

Per quanto concerne, invece, la contestazione delle altre parti si richiama quanto già sopra evidenziato (v. pag. 36 e 37 del presente ricorso).

Alla luce di quanto sopra, pertanto, si chiede la cassazione della decisione anche per il sopra esposto motivo.

 

IV MOTIVO: Violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. e dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 476 c.c. e quindi in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.

Motivo proposto in via subordinata, in caso di mancato accoglimento dei motivi precedenti.

Lo scrupolo difensivo ci impone di censurare, infine, la sentenza anche da un’altra angolazione. L’art. 115 c.p.c., come autorevolmente affermato da Codesta Corte, vieta al giudice di fondare la propria decisione su prove reputate assenti e invece presenti (Cass. 30182/2018) e viceversa.

Non solo, Cass. 11892/2016 ha affermato che allorquando il cattivo uso del potere discrezionale di valutazione della prova ex art. 116 c.p.c. sia talmente grave da immutare ingiustificatamente il fatto, si verifica la falsa applicazione di legge, da censurare ex art. 360 n. 3 c.p.c.[21].

Ebbene, nel caso di specie era fortemente controverso ed oggetto di discussione tra le parti l’autore della domanda di volturazione. Difatti, l’odierna ricorrente aveva ribadito in appello, dopo averlo fatto nel giudizio di primo grado, che non vi era prova né su chi avesse presentato la domanda, né da dove derivasse il mandato o la ratifica degli altri.

Pertanto, la C.d.A. non poteva “liquB.re” semplicisticamente la questione “sposando” la tesi degli odierni intimati, specie tenuto conto della necessità di fornire la prova del mandato, del consenso o della ratifica, entro il termine di dieci anni, da parte dei soggetti rimasti estranei al compimento dell’atto, sulla cui questione ci si è già soffermati sopra; né poteva – qualora si ritenesse lo abbia fatto – ricorrere alla figura della non contestazione, tenuto conto che nel caso di specie si trattava di un fatto ignoto alla sig.ra AAA Francesca B. (come poteva infatti costei sapere chi, quando, come e per conto di chi aveva presentato la domanda?) e come tale non necessitante di tempestiva contestazione specifica (Cass. 87/2019; Cass. 3576/2013), specie in mancanza di una altrettanto allegazione specifica[22] (Cass. 5482/2015; Cass. 31619/2018) e comunque riferito ad un atto da compiere necessariamente in forma scritta (cioè la domanda di voltura catastale) e quindi non sostituibile dalla non-contestazione (Cass. 25999/2018).

Si è poi già ricordato sopra quanto affermato da codesta Corte: (Cass. 4843/2019): “Inconferente è, poi, la tesi sostenuta dal ricorrente secondo la quale la voltura emergerebbe dalla stessa trascrizione della denuncia di successione, perché, non tiene conto che la voltura, essendo una richiesta documentale, va provata non per presunzione, ma, con il documento con cui è stata chiesta, da dove può risultare quando, come e, soprattutto, da chi è stata chiesta”, con conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c.

La violazione delle suddette norme, inoltre, sussiste anche per il fatto che la Corte territoriale, come abbiamo visto alla fine del precedente motivo, è andata addirittura oltre le allegazioni in fatto delle stesse parti interessate. Difatti, nella comparsa conclusionale in appello i fratelli AAA D. D. e AAA B. Francesca avevano parlato di mandato reciproco e non di mandato unilaterale verso la sorella BR., scrivendo testualmente: “Ciò evidenzia, al fine di confutare dubbi di sorta, sono state effettuate dagli eredi legittimi, rispettivamente coniuge e figli del defunto, nell’interesse di tutti gli eredi, i quali si sono dati reciprocamente mandato ad eseguire tali atti nell’interesse di tutti i chiamati all’eredità e in tale veste reciprocamente hanno riconosciuto le rispettive qualità di eredi del defunto padre”.

Sul punto è noto come “in materia di ricorso per cassazione, mentre l’errore dì valutazione in cui sia incorso il giudice di merito, e che investe l’apprezzamento della fonte di prova come dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità, l’errore di percezione, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’articolo 360, n. 4 del codice di procedura civile, per violazione dell’articolo 115 del medesimo codice, norma che vieta di fondare la decisione su prove reputate assenti, ma in realtà offerte” (Cass. 30182/2018), come pure, evidentemente, su prove reputate presenti, ma in realtà mai offerte.

Anche per tali ragioni, dunque, crediamo che la sentenza debba essere cassata.

* * *

Per i sopra esposti motivi, lo scrivente difensore rassegna le seguenti

CONCLUSIONI

Piaccia alla On.le Corte di Cassazione, cassare la sentenza n. 1428/2019, pubblicata il 14/06/2019, RG n. 1585/2016, Repert. n. 1459/2019, emessa dalla Corte d’Appello di Città, notificata ad istanza di parte lo stesso giorno della pubblicazione, con vittoria di spese e compensi di ogni fase e grado.

PRODUZIONI

Produrrà al momento del deposito del ricorso:

ATTI:

  1. Copia autentica del ricorso notificato telematicamente (unitamente alla procura) sia come (a) scansione di atto firmato analogicamente e poi digitalmente, sia come (b) pdf nativo firmato digitalmente in CADES, con relata di notifica, messaggio PEC di trasmissione, ricevuta di accettazione, ricevute di consegna, il tutto con attestazione di conformità ai corrispettivi documenti informatici;
  2. Ricorso in originale, sottoscritto analogicamente, oggetto di scansione e di successiva notifica telematica, munito di attestazione di conformità;
  3. Procura speciale alle liti in originale, rilasciata in data 06/09/2019 con atto del Notaio GG. PP. (Rep. 81119), notificata unitamente al ricorso;
  4. Copia autentica della sentenza della Corte d’appello di Città n. 1428/2019;
  5. Copia autentica della sentenza notificata telematicamente in data 14/06/2019 dall’Avv. Laura VV., estratta dal relativo messaggio pec in pari data, con relata di notificazione, messaggio pec, il tutto munito di attestazione di conformità da parte del difensore ricevente la notifica telematica, Avv. Laura VV.;
  6. 2 copie nota richiesta trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 369 c.p.c. vidimate dal cancelliere della Corte d’Appello di Città;
  7. Autorizzazione alla notifica in proprio;
  8. 7 copie della sentenza impugnata;
  9. 7 copie del ricorso scansionato notificato telematicamente.

 

ATTI E DOCUMENTI SU CUI IL RICORSO SI FONDA (art. 369 n. 4) c.p.c.):

  • Comparsa conclusionale I grado (dep. 15.12.2015), ii. replica conclusionale I grado (dep. 04.01.2016) di AAA Francesca B.;
  • Atto di citazione in appello AAA Francesca B. (dep. 04.11.2016);
  • Tribunale Città n. 3262/2016;
  • 1° memoria 183 c.p.c. (dep. 25.07.2011), replica conclusionale I grado (dep. 30.12.2015), iii. comparsa di costituzione in appello (dep. 20.02.2017), iv. comparsa conclusionale in appello (dep. 06.05.2019), di AAA D. D. e AAA B. Francesca;
  • 1° memoria 183 c.p.c. (dep. 25.07.2011), ii. comparsa conclusionale I grado (dep. 14.12.2015), iii. replica conclusionale I grado, (dep. 22.12.2015) iv. comparsa di costituzione in appello (dep. 18.02.2017) di AAA BR.;
  • Fascicoli di 1° e 2° grado.

 

Senigallia, lì 12/09/2019                                                               Avv. Mirco Minardi

 

 

[1] Art. 3, comma 1: “Ogni qualvolta vengono posti in essere atti civili o giudiziali od amministrativi che diano origine al trasferimento di diritti censiti nel catasto dei terreni, coloro che sono tenuti alla registrazione degli atti stessi hanno altresì l’obbligo di richiedere le conseguenti volture catastali. 2. Lo stesso obbligo incombe, nei casi di trasferimenti per causa di morte, a coloro che sono tenuti alla presentazione delle denunce di successione”.

[2] Art. 12, comma 1: “Coloro che non osservino le disposizioni di cui ai precedenti articoli 3, 4, 5, 6 e 7 sono soggetti alla pena pecuniaria da lire 5000 a lire 20.000, sempreché non abbiano ottemperato all’invito loro rivolto di provvedere nel termine improrogabile di trenta giorni alla eliminazione della irregolarità accertata a loro carico; l’inosservanza di tutti i termini temporali è tuttavia contestabile immediatamente”.

[3]La domanda volta alla condanna della convenuta AAA. FF. Renata al pagamento dei frutti dell’immobile, mai percepiti dagli altri condividendi (ovvero alla compensazione delle dette somme con eventuali controcrediti vantati dalla convenuta), non è stata formulata nei termini di legge, né dagli originari attori (che, per come riportato in fatto nell’atto di citazione hanno rinviato ad altra sede la domanda stessa), né dalla convenuta AAA. Brunilde (che si è costituita solo alla prima udienza e non nei termini di cui all’art. 167 c.p.c.). La domanda riconvenzionale formulata tempestivamente dalla AAA. Renata FF. relativa al rimborso delle somme per i miglioramenti apportati alle cose comuni, va rigettata perché rimasta assolutamente sfornita di prova (sia documentale che orale). Nessuna contestazione è invece sorta tra le parti con riferimento alla domanda di scioglimento della comunione ereditaria, né sui valori assegnati ai beni da parte del CTU e sulla indivisibilità degli stessi in tante quote uguali spettanti ai quattro comproprietari”.

[4]  “Non meritevole di accoglimento è, inoltre, la doglianza mossa da FF. Renata AAA. laddove afferma – secondo motivo d’appello – che il giudice di primo grado sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione allorché ha sciolto anche la comunione ereditaria di Ugo AAA.. Ed infatti, osserva il collegio, è certo che con l’atto di citazione NN RR. AAA. e Ilda FF. AAA. hanno chiesto lo scioglimento, non della sola comunione ereditaria della madre, bensì di entrambe le comunioni, e ciò avendo chiesto la divisione dell’immobile di via Matteo Ricci in base alle quote di proprietà così come cristallizzate alla data della domanda (e, quindi, siccome determinatesi a seguito dell’apertura di entrambe le successioni). La domanda, infatti, ove avesse avuto ad oggetto solo la comunione ereditaria della madre, avrebbe riguardato esclusivamente la quota di comproprietà spettante alla detta de cuius (mentre, nel caso in esame, come detto, si è chiesto lo scioglimento della comunione dell’intero immobile). Infondato è, poi, il terzo motivo di appello con cui si contesta il capo della sentenza di primo grado inerente la regolamentazione delle spese processuali relative alle domande riconvenzionali, regolamentazione – è la tesi dell’appellante – sarebbe stata diversa se il primo giudice avesse tenuto conto che (come in effetti era avvenuto) la domanda di rimborso dei miglioramenti era stata frattanto abbandonata (siccome da essa appellante non riproposta in sede di precisazione delle è conclusioni). L’appello è infondato, corretta essendo, in ogni caso, l’impugnata condanna alle spese processuali di AAA. FF. Renata, e ciò dovendosi comunque tener conto che la AAA. è soccombente quanto all’eccezione di prescrizione del diritto di accettare l’eredità e che, peraltro, anche con riferimento alla domanda poi abbandonata, le controparti hanno dovuto dispiegare apposita attività difensiva. In ragione della soccombenza, l’appellante AAA. FF. Renata va condannata, altresì, al pagamento delle spese processuali del presente grado liquIIte siccome in dispositivo”.

[5] Art. 3, comma 1: “1. Ogni qualvolta vengono posti in essere atti civili o giudiziali od amministrativi che diano origine al trasferimento di diritti censiti nel catasto dei terreni, coloro che sono tenuti alla registrazione degli atti stessi hanno altresì l’obbligo di richiedere le conseguenti volture catastali. 2. Lo stesso obbligo incombe, nei casi di trasferimenti per causa di morte, a coloro che sono tenuti alla presentazione delle denunce di successione”.

[6] Art. 28, comma 2. “Sono obbligati a presentare la dichiarazione: i chiamati all’eredità e i legatari, anche nel caso di apertura della successione per dichiarazione di morte presunta, ovvero i loro rappresentanti legali; gli immessi nel possesso temporaneo dei beni dell’assente; gli amministratori dell’eredità e i curatori delle eredità giacenti; gli esecutori testamentari”.

[7] Art. 3, comma 3: “Le volture devono essere richieste mediante presentazione delle apposite domande, nel termine di trenta giorni dall’avvenuta registrazione degli atti o delle denunce di cui ai precedenti commi, all’ufficio tecnico erariale della provincia dove ha sede l’ufficio presso il quale ha avuto luogo la registrazione, ovvero della provincia ove si trovano i beni su cui si esercitano i diritti trasferiti”.

[8]   Art. 12, comma 1: “1. Coloro che non osservino le disposizioni di cui ai precedenti articoli 3, 4, 5, 6 e 7 sono soggetti alla pena pecuniaria da lire 5000 a lire 20.000, sempreché non abbiano ottemperato all’invito loro rivolto di provvedere nel termine improrogabile di trenta giorni alla eliminazione della irregolarità accertata a loro carico; l’inosservanza di tutti i termini temporali è tuttavia contestabile immediatamente”.

[9] Abbandonando così il precedente orientamento affermato ad es. da Cass. 5275/1986, poi ribadito da Cass. 5111/2009: I ricorrenti sotto un primo profilo sostengono che la richiesta di trascrizione di un acquisto a causa di morte di una determinata eredità da parte di un soggetto costituisce un comportamento inequivocabile che comporta l’accettazione tacita dell’eredità stessa, inoltre essi assumono che la predetta richiesta di trascrizione era stata fatta da L.V. per sé e per i figli, e quindi quale “erede e rappresentante”, posto che con essa si era fatto constare che L.M. era divenuto proprietario dell’immobile in questione per successione ereditaria alla propria madre. Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate. Il giudice di appello, nell’esaminare gli elementi addotti dagli appellanti a fondamento del loro assunto di avere tempestivamente accettato l’eredità materna, ha rilevato che la sopra richiamata trascrizione dell’eredità di S.D.C.R. richiesta da L.V. per sé (quanto all’usufrutto) e per i figli M. e S. (per le quote ereditarie di loro pertinenza), trattandosi di un atto avente solo natura conservativa, non poteva essere considerata quale accettazione tacita dell’eredità, e che inoltre tale richiesta era stata posta in essere da L. V. e non dal figlio M., all’epoca maggiorenne. Tale statuizione è corretta sotto entrambi i profili, posto che anzitutto la mera richiesta di trascrizione di un atto di acquisto relativo ad una successione ereditaria, trattandosi di un adempimento caratterizzato da finalità conservative, è privo di rilevanza ai fini di una sua configurazione come accettazione tacita dell’eredità, in quanto inidoneo ad esprimere in modo certo l’intenzione univoca di assumere la qualità di erede (vedi in tal senso Cass. 28.8.1986 n. 5275 con riferimento alla richiesta di registrazione e di trascrizione di un testamento); inoltre è decisivo rilevare che la suddetta richiesta di trascrizione, essendo stata avanzata da L.V., non poteva comunque valere come accettazione tacita dell’eredità con riferimento al figlio L.M., all’epoca maggiorenne, che quindi, qualora avesse voluto accettare l’eredità materna, avrebbe dovuto farlo autonomamente: il diverso assunto dei ricorrenti non spiega in base a quale ragione la pretesa accettazione dell’eredità da parte di L.V., in assenza di un potere di rappresentanza conferitogli dal figlio M., potesse spiegare effetti nei confronti di quest’ultimo”.

[10] La stessa motivazione è contenuta in tutte le decisioni conformi; Cass. 19833/2019 in cui si legge “… f) ed infine, secondo la dottrina più attenta, anche, la voltura catastale determinerebbe un’accettazione tacita dell’eredità, nella considerazione che, solo chi intenda accettare l’eredità, assumerebbe l’onere di effettuare tale atto e di attuare il passaggio legale della proprietà dell’immobile dal de cuius a se stesso”. Cass. 5319/2016: “La censura non merita accoglimento: essa non si misura efficacemente con la considerazione, sottolineata dalla Corte di merito citando Cass. 10796/09, che l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale, che rileva non solo dal punto di vista tributario, ma anche da quello civile (cfr. Cass. 22317/2014)”. Cass. 7738/2004: “…contrariamente alle ipotesi di iscrizione catastale dei beni relitti, eseguita per conto degli eredi dal notaio o di esecuzione della loro voltura catastale, costituenti atti rilevanti non solo da punto di vista tributario ma anche dal punto di vista civile in relazione all’accertamento della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi (V. Cass. n. 11813/1992; n. 7075/1999). Cass. 21902/2011: “Neppure è poi configurabile nella specie una accettazione tacita dell’eredità da parte di C.E., occorrendo ai riguardo un atto da parte del chiamato all’eredità che presupponga la sua volontà di accettare o un suo comportamento consistente in una serie di atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di accettare, come la voltura catastale”. Cass. 6574/2005: “…ma anche atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale che rileva non solo dal punto di vista tributario ma anche sotto il profilo civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi“. Cass. 2422/2003: “poiché il convincimento sull’accettazione tacita è stato tratto da un atto, quale la voltura catastale, che rileva nell’ordinamento anche da un punto di vista non solo fiscale, ma anche civile, ai fini dell’accertamento legale, o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi”. Cass. 7075/1999: “Pertanto l’accettazione tacita dell’eredità può essere desunta dal comportamento complessivo del chiamato all’eredità che ponga in essere non solo atti di natura meramente fiscale, come la denuncia di successione, ma anche atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale. Infatti in tal caso l’atto (voltura catastale) rileva non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi. Soltanto chi intenda accettare l’eredità, in effetti, assume l’onere di effettuare la voltura catastale e di attuare il passaggio della proprietà dal de cuius a sè stesso”.

[11] V. ad es. pag. 7, terza riga, comparsa conclusionale: “Nel caso di specie, sebbene i cespiti immobiliari siano stati oggetto di voltura catastale, non è stata fornita la prova di chi abbia provveduto a tale domanda senza considerare che la domanda proposta da uno dei chiamati non può spiegare effetti di accettazione tacita a favore anche di tutti gli altri”. La comparsa conclusionale si trova nel fascicolo di parte, in quello d’ufficio di cui si chiede la trasmissione, nonché allegata al fascicoletto di cassazione con il n. 1.

[12] V. ad es. pag. 11, penultimo cpv., atto di appello: “Non essendo in atti la domanda di volturazione catastale il Giudice tuttavia non è in grado neanche di indicare chi sia stato tra gli appellati a presentare tale domanda, ma lo dà per scontato e addirittura afferma labialmente e senza che esista documentazione in atti, che la domanda è stata presentata da tutti gli appellati”. L’atto di citazione in appello si trova nel fascicolo di parte, in quello d’ufficio di cui si chiede la trasmissione, nonché allegato al fascicoletto per la Cassazione con il n. 2.

[13]  Sebbene nella comparsa di costituzione in appello di AAA. Brunilde, nell’elenco dei documenti, si è fatto erroneamente riferimento alla “voltura catastale”, fermo restando che il documento prodotto era pur sempre la stessa visura prodotta in primo grado.

[14] Si deposita la sentenza del Tribunale di Catania nel fascicoletto per la Cassazione come allegato n. 3.

[15] La suddetta 1° memoria ex art. 183 c.p.c., la replica conclusionale, la comparsa di costituzione in appello, la comparsa conclusionale in appello, si trovano nel fascicolo d’ufficio di cui si chiede la trasmissione, nonché allegate al fascicoletto per la Cassazione con il n. 4.

[16] La suddetta 1° memoria ex art. 183 c.p.c. la comparsa conclusionale e la replica conclusionale, la comparsa di costituzione in appello, si trovano nel fascicolo d’ufficio di cui si chiede la trasmissione, nonché allegate al fascicoletto per la Cassazione con il n. 5.

[17] La comparsa conclusionale di AAA. RR. NN e AAA. II FF. viene depositata nel fascicoletto per la Cassazione come allegato n. 4.

[18] V. allegato 1 fascicoletto per la Cassazione.

[19] V. allegato 1 fascicoletto per la Cassazione.

[20] V. allegato 2 fascicoletto per la Cassazione.

[21] La Corte ha affermato che la violazione dell’art. 116 c.p.c. «non trova di per sé alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione. p.4.5. Può semmai ipotizzarsi che il ricorrente in Cassazione possa svolgere considerazioni sul cattivo esercizio del detto potere non già sub specie di denuncia in sé e per sé di un vizio della sentenza impugnata, bensì solo in funzione e, quindi, come elemento, di un’attività di dimostrazione che il giudice di merito è pervenuto ad una erronea ricostruzione della quaestio facti, sì che essa l’abbia indotto in ultima analisi ad applicare erroneamente una norma di diritto alla fattispecie dedotta in giudizio. Sicché il motivo di ricorso sia la denuncia di tale erronea applicazione. Si può dunque ipotizzare che dette considerazioni possano e debbano necessariamente incasellarsi solo come elemento di un ben più articolato quadro evidenziatore della deduzione di un error in iudicando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, circa la norma applicabile ed applicata alla fattispecie. Tale residua possibilità supporrebbe sempre l’argomentazione del cattivo esercizio non già con la prospettazione di una mera alternativa di apprezzamento limitata alla singola prova, bensì di un’alternativa non solo necessaria, come avveniva quando operava il vecchio n. 5, quanto ad essa stessa, ma anche solo come punto di partenza per approdare alla censura in iure, essendo, dunque, ulteriormente necessario dimostrare come e perché l’apprezzamento corretto si sarebbe incasellato nel complessivo quadro probatorio, sì da rendere necessario – e non già solo possibile – appunto sul piano probatorio complessivo il risultato di una ricostruzione della quaestio facti del tutto diversa e, quindi, tale da giustificare come approdo argomentativo finale in iure quello che la fattispecie è stata sussunta erroneamente in iure sotto la norma che il giudice di merito ha applicato, sì da risultare dimostrato un error iuris sul diritto sostanziale con cui la fattispecie è stato deciso. In pratica potrebbe ipotizzarsi che la critica all’esercizio concreto del potere di cui all’art. 116 c.p.c., si collochi come parte di un ragionamento più ampio che giustifichi innanzitutto in termini di necessarietà logica una ricostruzione della quaestio facti sulla base del materiale probatorio diversa da quella operata dal giudice di merito e per tale ragione evidenzi che egli ha mal sussunto la vicenda sotto la norma che ha applicato, perché tale norma non sarebbe stata applicabile se la ricostruzione fosse stata quella esatta. Una siffatta attività argomentativa sarebbe diretta ad evidenziare un errore di sussunzione della fattispecie concreta e di individuazione dell’esatto diritto applicabile e, dunque, della motivazione in iure, ma essa supporrebbe, in ossequio ai requisiti di chiarezza necessari in ogni motivo di impugnazione, l’articolazione dell’esposizione di un siffatto motivo in modo puntuale secondo le scansioni progressive appena sopra indicate».

[22] Si veda quanto sopra affermato a proposito del contenuto delle memorie ex art. 183 n. 1 c.p.c. delle controparti (pag. 36 e 37 del presente ricorso); v. all. 4 e 5 fascicoletto per la Cassazione.

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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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Un commento:

  1. Angelo

    Salve, si dimentica evidenziare il travisamento della consulenza ctu secondo l’art 395 cpc…e quando non è argomento di discussione tra le parti….saluti



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