La rottura del tacco della sposa: secondo le Sezioni Unite è una questione risibile. Ma lo è davvero?

Mirco Minardi

Scrive la Corte, nell’ormai nota sentenza a Sezioni Unite sul danno non patrimoniale:

“Al danno esistenziale era dato ampio spazio dai giudici di pace, in relazione alle più fantasiose, ed a volte risibili, prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle persone: la rottura del tacco di una scarpa da sposa, l’errato taglio di capelli, l’attesa stressante in aeroporto, il disservizio di un ufficio pubblico, l’invio di contravvenzioni illegittime, la morte dell’animale di affezione, il maltrattamento di animali, il mancato godimento della partita di calcio per televisione determinato dal black-out elettrico. In tal modo si risarcivano pregiudizi di dubbia serietà, a prescindere dall’individuazione dell’interesse leso, e quindi del requisito dell’ingiustizia”.

Ma davvero la rottura della scarpa della sposa costituisce un inadempimento non meritevole di ristoro non patrimoniale?

Immaginiamo la scena. E’ uno dei giorni più importanti della vita di Tizia. L’organo della cattedrale suona la marcia nuziale di Meddelsohn; la gente è rivolta, emozionata, verso la sposa, accompagnata dal padre. I flash dei fotografi sono in azione; le cineprese sono pronte a catturare l’evento e …. bada bum la sposa rotola per terra alla Paperissima, a causa di un tacco mal inchiodato. Si rialza, arriva zoppicante all’altare dove il marito, tra mezze risate e lo spavento l’attende per il fatidico sì.

Tutta la cerimonia è evidentemente compromessa
. Ma non è finita. Dovrà pur uscire dalla Chiesa! Che fare? Probabilmente toglierà le scarpe, a meno che qualcuno, nel frattempo, non sia tornato di corsa a casa (così perdendo la cerimonia) a prenderne un paio sostitutive. Ovviamente, il fotografo dovrà stare molto attento a non fotografarle, visto che difficilmente si intoneranno al vestito.

Per la Cassazione le strade sono tre, cioè quelle ordinarie: risoluzione del contratto di compravendita delle scarpe, riduzione del prezzo, ovvero risarcimento del danno emergente pari al costo da sostenere presso il calzolaio. Cifra stimata: da 20 a X euro a seconda del tipo di scarpa. Nessun altro danno.

Davvero è una questione bagatellare? Davvero tutto ciò che può pretendere una sposa è l’aggiustamento del misero tacco? Per piacere! Riportiamo il diritto alla realtà. E la realtà dice che in questi casi non si può non riconoscere un diritto ulteriore oltre quello derivante dal contratto di compravendita delle scarpe. Vi è evidentemente un interesse non patrimoniale, che è tra l’altro espressamente riconosciuto dall’art. 1174 c.c., la cui lesione deve trovare riconoscimento.

La coscienza collettiva ritiene che il giorno del matrimonio (insieme a quello dell’udienza presidenziale di separazione……si perdoni l’amara boutade) sia il giorno più importante nella vita di una persona. Il ricordo della figuraccia e la correlativa sofferenza si perpetua sino all’ultimo giorno di vita nella mente degli sposi, come in quello degli invitati più stretti e la prova cinematografica ne renderà perpetua la testimonianza.

L’inadimpimento del venditore (che potrà rivalersi sul fornitore) ha prodotto un danno che va oltre il valore patrimoniale della cosa. Si potrà discutere di prevedibilità ex art. 1225 c.c.; si può assumere che c’è un vuoto di tutela, ma di certo non si può parlare di questione risibile.

Non sono il solo a pensarla così, anzi sono in buona compagnia. Vi riporto, a questo proposito, un estratto dell’articolo scritto da Domenico Chindemi (Chindemi, Il danno esistenziale ” esiste”, in Resp.civ.prev., 2005, II, 1455), magistrato della Corte d’Appello di Milano, tra i massimi esperti in Italia di responsabilità civile:

“Se, per motivazione di ordine sistematico, le cd lesioni bagatellari sono ostative al risarcimento del danno non patrimoniale in caso di responsabilità extracontrattuale, non ravvisandosi alcuna lesione di diritti di rango costituzionale, nessuna limitazione risarcitoria sussiste in caso di inadempimento contrattuale.

Mentre nel campo penale soccorre, ai limitati fini della punibilità, il criterio del disvalore sociale e della sostanziale inesistenza di un danno economico giuridicamente apprezzabile che ,ad esempio, impedisce di comminare la pena a chi rubi un acino d’uva, nessuna limitazione è legislativamente prevista in tema di inadempimento contrattuale.

Pur condividendosi il “totale dissenso rispetto a questa smania di vedere lesioni di diritti fondamentali e, quindi, danni non patrimoniali, in ogni e qualsivoglia situazione spiacevole della vita”, nei casi in cui, in base alle considerazioni già espresse, è individuabile un danno risarcibile, il giudice, ove adito dal danneggiato, non può respingere la domanda fondando la stessa sulla rilevanza minima del danno.

Non è, peraltro, conforme a giustizia non sanzionare determinati comportamenti, pregni di disvalore sociale quali, ad esempio, il vigile della strada che commini multe “a piacere” ; gli errori della commissione esaminatrice di un concorso che escluda ingiustamente un candidato, costringendolo a estenuanti ricorsi giurisdizionali; la compagnia aerea, che non si preoccupa di tenere sgombre le piste dalla neve, costringendo i viaggiatori ad estenuanti attese di ore o il comportamento del coniuge che, intrattenendo una relazione extraconiugale, umilii la moglie con comportamenti vessatori.

In mancanza di un’espressa previsione legislativa l’interprete non può rovesciare i canoni ermeneutici ed i principi generali in tema di inadempimento che contemplano che il danno debba essere posto a carico del soggetto inadempiente e non riversato, quale che sia la sua entità, sul danneggiato.

Il danneggiato da un inadempimento contrattuale, bagatellare o meno, potrà sempre richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale contrattuale, indipendentemente dalla sua entità, potendosi anche riconoscere un danno, patrimoniale o non patrimoniale, anche inferiore ad un euro come nel caso del barista che agisca in giudizio per il risarcimento del danno patrimoniale contrattuale nel caso in cui il cliente non paghi un caffè.

Nessun giudice, ove adito, potrebbe respingere tale domanda perché trattasi di danno bagatellare, non essendo prevista dal nostro ordinamento civilistico, quale limite alla ammissibilità della domanda, tale valutazione.

Medesimo discorso va fatto per il danno non patrimoniale contrattuale che, ove riconosciuto, non potrà non essere liquidato per la modestia della sua entità.

Certamente fungerà da filtro dissuasivo l’eventuale antieconomicità di un’azione recuperatoria, che indurrà il danneggiato a non promuovere giudizi risarcitori se il danno non raggiunge una soglia minima ma, in termini generali ed astratti, qualunque danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, ove provato dovrà essere risarcito”.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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Un commento:

  1. Gelsale

    grazie per le notizie sempre aggiornate e ben spiegate, e utili ,sulla questione spinosa in materia di risarcimento danni(morali, esistenziali, ecc.)



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