Proposta di definizione anticipata ex art. 380-bis c.p.c. Un esempio di memoria

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I

SULLA PROPOSTA DI DEFINIZIONE ANTICIPATA

Il 23 marzo 2023 i ricorrenti hanno ricevuto la seguente proposta di definizione anticipata: «sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso, per le seguenti ragioni: -) tutti i quattro motivi di ricorso investono il modo in cui il giudice di merito ha valutato le prove e ricostruito i fatti; è infatti valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità lo stabilire se e come sia avvenuto un sinistro; se un testimone sia attendibile; se possa essere proficuo disporre una consulenza d’ufficio; accertare il nesso causale tra le condotte e l’evento».

In questa sede appare opportuno affrontare preliminarmente la suddetta proposta di definizione, essendo noto come le pesanti sanzioni previste dall’art. 380bis c.p.c. siano condizionate all’integrale accoglimento della stessa.

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Il primo motivo di ricorso è intitolato “nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4) c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c., quanto alla giustificazione dell’assenza di contributo causale in ordine alla mancata marcia in prossimità del margine destro della carreggiata”.

Con esso è stata denunciata la violazione del “minimo costituzionale” sul rilievo che la Corte d’Appello di Firenze, pur riconoscendo l’adozione di un comportamento non in linea con l’art. 143/1 c.d.s. da parte del TIZIO, ha giustificato l’assenza del contributo causale dello stesso attraverso l’affermazione della liceità della condotta, per la possibile ed astratta immissione di altri veicoli dai varchi del distributore.

Nel motivo si è censurato l’uso di una vera e propria congettura e non di un ragionamento, là dove si è fatto riferimento alla possibile uscita dai varchi di altri veicoli: «La sua [del TIZIO, n.d.r.] posizione di marcia sulla corsia di sua pertinenza, riferita da due testimoni e dedotta anche dall’allineamento delle tracce che ha lasciato, era nella parte centrale della corsia. Quindi non era strettamente a destra ma un certo franco di sicurezza a destra potrebbe essere giustificabile per la presenza dei varchi dell’area di servizio da cui possono uscire o possono attestarsi veicoli in uscita (cfr. pag. 26 della CTU)».

Si è altresì evidenziata la confusione fatta dal giudice d’appello tra il piano della colpa e quello del nesso di causa e ciò proprio alla luce della giurisprudenza di codesta Suprema Corte.

Anche qualora non si fosse d’accordo sulla natura congetturale della affermazione poc’anzi riportata, non si può affermare che con il primo motivo si è chiesta una nuova valutazione del fatto, in quanto oggetto della serrata critica è la motivazione in quanto tale.

Allorquando si denuncia la violazione del minimo costituzionale l’alternativa non può essere sempre inammissibilità/accoglimento; deve esserci spazio anche per l’eventuale infondatezza e ciò tutte le volte in cui il motivo punta a dimostrare – senza eventualmente la condivisione da parte della S.C. – che il ragionamento adottato dal giudice non raggiunge il minimo costituzionale. Detto altrimenti: se ad avviso della Corte la motivazione regge alle critiche del ricorrente, il motivo dovrà dirsi infondato, non inammissibile. Sarà invece inammissibile se dietro la facciata del vizio di motivazione tenda a suggerire una ricostruzione fattuale diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito o a denunciare la mancata valutazione di alcune prove.

Il motivo evidenziava, poi, la decisività della censura, tenuto conto che la violazione di una norma di cautela (in questo caso l’art. 143 c.d.s.) per essere giustificata richiede la prova in concreto che il danno che si voleva evitare fosse maggiore rispetto al rischio che la stessa norma vuole evitare.

In conclusione, ci pare che la critica sia stata sempre rivolta alla motivazione in quanto tale e mai ha preteso da codesta Corte una nuova valutazione del fatto o delle prove.

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Il secondo motivo, collegato al primo, denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143, primo comma,  c.d.s., artt. 40 e 41 c.c.; in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c. quanto alla mancata sussunzione della condotta del TIZIO sotto le norme richiamate nella rubrica.

Si è sostenuto che la motivazione, vista da un’altra angolazione, viola altresì l’art. 143, primo comma, c.d.s. nella parte in cui afferma implicitamente la liceità della deroga in caso di presenza di varchi, o per la possibilità astratta della fuoriuscita di mezzi.

Il motivo si chiude anche con la richiesta di applicazione di un principio di diritto: “In tema di responsabilità civile, una volta dimostrata in giudizio la sussistenza dell’obbligo di osservare la regola cautelare omessa ed una volta appurato che l’evento appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare attraverso il comportamento richiesto, ai fini dell’esonero dalla responsabilità è necessario che il soggetto tenuto a detta osservanza abbia agito per salvare sé o altri da un pericolo attuale di un grave danno alla persona, non volontariamente causato e non altrimenti evitabile, non essendo sufficiente far riferimento a mere supposizioni, specie se prive di gravità”.

Anche in questo caso, pertanto, si può ritenere il motivo infondato, ma non certamente sfociante nella richiesta di rivalutare le prove o di ricostruire i fatti diversamente.

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Il terzo motivo denuncia nuovamente la violazione del minimo costituzionale quanto alla motivazione sul motivo di appello relativo alla velocità tenuta dal convenuto. Si è sostenuto che la seguente affermazione “pertanto l’affermazione dell’appellante secondo cui il TIZIO, ove avesse viaggiato alla velocità di 30 km/h, avrebbe avuto 9 metri per porre in essere una manovra di emergenza integra una mera ipotesi matematica, priva, tuttavia, di aderenza alla realtà fattuale” non da sufficientemente conto dell’articolato motivo d’impugnazione proposto, poiché non illustra “le ragioni di fatto” come richiesto dalla legge. Scrivere, come ha fatto la CdA, infatti, che l’ipotesi matematica era priva di aderenza alla realtà fattuale senza spiegare perché, significa rendere una motivazione meramente apparente.

In ogni caso, anche qui, si può essere o meno d’accordo sulla sufficienza di questa motivazione, ma giammai si può affermare che il motivo di ricorso impinge una questione di fatto.

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L’ultimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 141, 142 c.d.s., e artt. 2697, 2054 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c. quanto all’imputazione agli attori della mancata dimostrazione delle diverse e minori conseguenze in caso di andatura regolare da parte del TIZIO.

Si è evidenziato, richiamando la giurisprudenza di Codesta Corte, che in caso di violazione di una norma di cautela da parte di un utente della strada non è il danneggiato a dover provare che in caso di osservanza le conseguenze sarebbero state diverse, ma semmai è il danneggiante. Nonostante ciò, e in assenza di prova contraria, la Corte territoriale ha riversato sugli attori la mancata dimostrazione che una velocità minore avrebbe determinato conseguenze diverse. Si è dunque in conclusione affermato che era manifesta la violazione o la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2054 c.c.

Ebbene, ancora una volta non si comprende in che modo questo motivo possa impingere una questione di fatto.

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Come si vede, il ricorso non ha mai messo in discussione il principio per cui costituisce “valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità lo stabilire se e come sia avvenuto un sinistro; se un testimone sia attendibile; se possa essere proficuo disporre una consulenza d’ufficio; accertare il nesso causale tra le condotte e l’evento”. Mai nel ricorso si chiede alla Corte di Cassazione di stabilire la diversa dinamica del sinistro; mai è stato criticato il giudizio espresso sull’attendibilità di un testimone; mai è stata messa in discussione l’opportunità di aver disposto una CTU; mai è stato chiesto di accertare il nesso di causalità. Nulla di tutto ciò è avvenuto nel ricorso. Sono stati proposti quattro motivi, soltanto due dei quali denunciano il grave vizio motivazionale.

Alla luce di quanto sopra, tenuto conto delle conseguenze rilevantissime previste dall’art. 380-bis c.p.c., si chiede che l’On.le Collegio, anche in caso di rigetto, voglia comunque dissentire dalla proposta di definizione anticipata del Consigliere Delegato.

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In caso di adesione, voglia comunque il Collegio considerare che il vizio di motivazione non ha contorni così ben definiti e delineati come l’error in iudicando e l’error in procedendo. Al contrario, esso si presenta altamente sfumato, sicché nella maggior parte dei casi non è possibile stabilire ex ante il superamento o meno di quel confine virtuale che separa la motivazione rispettosa dell’art. 132 co. 2 n. 4 da quella che non lo è.

Nella quasi totalità delle ordinanze confermative finora edite, emesse dalle sezioni di codesta Corte diverse dalla tributaria, la condanna ex art. 96 n. 3 c.p.c. è stata quantificata in misura pari alle spese di lite. Riteniamo, però, che detta condanna (come pure l’ammenda) andrebbe calibrata caso per caso, avuto riguardo al tenore del ricorso, alla natura della controversia e alle ragioni più o meno analitiche della proposta di definizione. Si vuole cioè dire che un conto è la situazione di chi si ostina a chiedere il giudizio nonostante una manifesta causa di improcedibilità (Cass. 31460/2023; Cass. 35017/2023; Cass. 27947/2023; Cass. 23758/2023) o di chi insiste nel ritenere impugnabile un provvedimento che per giurisprudenza costante certamente non lo è (Cass. 33264/2023; Cass. 31581/2023), altra è la situazione di chi, come nel caso di specie, ha proposto il ricorso muovendosi nelle “zone grigie di incerti confini”, per citare un autorevole ex Presidente di Codesta Corte.

Se si deve accettare che in base alla norma riformata la decisione conforme alla proposta comprova l’avvenuto «abuso del processo» da parte del ricorrente, con presunzione iuris et de iure, non si può però convenire sulla circostanza che tutti gli abusi abbiano la stessa identica gravità, tanto da potersi sempre quantificare il danno in misura pari alle spese legali. Un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma dovrebbe suggerire la valutazione caso per caso, calibrando le condanne ex art. 96, 3° e 4° co. c.p.c. all’effettiva misura dell’abuso.

Un atteggiamento più “morbido” si rinviene, in effetti, nella giurisprudenza della sezione tributaria che ad oggi, a quanto consta, ha emesso quattro ordinanze confermative della proposta, in cui la condanna ex art. 96 c.p.c. è sempre stata quantificata in misura sensibilmente inferiore rispetto alla condanna per spese di lite (Cass. 131/2024: 5000 spese – 1500 lite temeraria – 1000 ammenda; Cass. 111/2024: 5000 sp. – 1500 l.t.– 1000 amm.; Cass. 37/2024: 2800 sp. – 800 l.t.– 600 amm.; Cass. 30855/2023: 5100 sp. – 2600 l.t.– 1000 amm.).

Alla luce di quanto sopra, si chiede che in caso di adesione alla proposta, codesta On.le Corte voglia contenere il più possibile la condanna ex art. 96, 3° e 4° comma.

II

SUL CONTRORICORSO DI [ALFA]

I doveri di correttezza e lealtà gravano su tutte le parti, e quindi anche sui controricorrenti, i quali dovrebbero astenersi dal sollevare eccezioni manifestamente infondate, se non temerarie. Difatti [ALFA] ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso ex art. 348 ter c.p.c. stante l’esistenza di una doppia conforme, come se detta situazione impedisse di proporre tout court il ricorso per cassazione. La lettura della norma, invece, non ammette(va) incertezze: in caso di doppia conforme soltanto il motivo n. 5) dell’art. 360 c.p.c. non può essere proposto ed infatti mai i ricorrenti lo hanno invocato in questo giudizio.

Afferma, poi, che il ricorso sarebbe inammissibile in quanto i motivi non indicano le norme violate. Ebbene, ognuno dei quattro motivi (ivi comprese le rubriche) indica esattamente quali norme sono state violate e per quale ragione.

Si sostiene poi che i motivi non sono stati formulati “nei termini strettamente rigorosi previsti dall’art. 360 c.p.c”. Invero, è l’art. 366 c.p.c.  che disciplina il modo in cui i motivi devono essere formulati, non certamente l’art. 360 c.p.c.

Per il resto la memoria non fa altro che ripetere che ciascun motivo tenderebbe ad ottenere una nuova valutazione dei fatti. Al fine di evitare inutili ripetizioni si richiama quanto scritto sopra e, soprattutto, quanto scritto nel ricorso.

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Alla luce di quanto sopra si insiste per l’accoglimento del ricorso.

Senigallia, lì 26/01/2024

Avv. Mirco Minardi

La supervisione del ricorso per cassazione.

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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.


2 commenti:

  1. Nico

    Buondì. Nel richiamare quanto, pro bono pacis, rappresentato sotto precedente commento di Cassazione: procura speciale 380-bis cpc, aggiungo che controparte in controricorso, pedissequamente con copia e incolla parola per parola, ha riprodotto solo il controricorso già davanti al giudice a quo, di fatto contenente anche sottesa domanda incidentale in quanto già rigettata da quello meritale. Come valutare l’aspettativa della compensazione delle spese nel futuro decreto di estinzione ? Mille grazie per il sempre sicuro utile riscontro.



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