L’art. 2698 c.c. disciplina i patti relativi all’onere della prova, stabilendo che sono nulli quelli con i quali è invertito ovvero è modificato l’onere della prova, quando si tratta di diritti di cui le parti non possono disporre o quando l’inversione o la modificazione ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto.
Come si vede l’oggetto del patto può riguardare la ripartizione ovvero la modifica dell’onere della prova.
Ad esempio cliente e banca potrebbero convenire che il primo riconosce che i libri e le altre scritture contabili della seconda facciano piena prova nei suoi confronti (per la validità di questo patto v. ad es. Cassazione civile, sez. I, 02/12/2011, n. 25857). Oppure potrebbero stabilire che al fine di prevenire contestazioni, una determinata circostanza debba essere provata in un modo predeterminato, con esclusione di prove diverse (ad esempio testimoniali o presuntive) e che non siano equipollenti a quella pattuita (v. ad. Es. Cassazione civile, sez. I, 02/02/1994, n. 1070).
La norma pone però due limiti: da un lato, non deve trattarsi di diritti indisponibili, dall’altro, il patto non deve avere per effetto quello di rendere l’esercizio del diritto troppo difficile per una parte.
L’inversione dell’onere della prova può risultare anche dal comportamento processuale della parte, ma, affinché ciò si verifichi, non è sufficiente che la parte sulla quale non grava l’onere deduca od anche offra la prova, occorrendo, invece, la inequivoca manifestazione della parte medesima di voler rinunciare ai benefici ed ai vantaggi che le derivano dal principio che regola la distribuzione dell’onere stesso e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta (principio pacifico; v. Cassazione civile, sez. III, 07/07/2005, n. 14306; Cassazione civile, sez. trib., 10/12/2002, n. 17573).
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