Riforma del processo civile 2009. L’aumento di competenza per le cause decise dal giudice di pace.

Mirco Minardi

La riforma ha aumentato la competenza per valore del giudice di pace:

  • fino a 5.000,00 euro per quelle relative a beni mobili;
  • fino a 20.000,00 per quelle di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione stradale.

La ratio è quella di sottrarre il carico di lavoro ai giudici togati, ovviamente con ricadute sulla qualità del servizio giustizia, visto che la preparazione di un magistrato onorario non è paragonabile a quella del magistrato togato. Ciò non toglie che ci sono ottime sentenze emesse da magistrati onorari e pessime sentenze emesse da magistrati togati.

Sorprende poi l’introduzione di un ulteriore caso di competenza per materia: si tratta delle cause relative agli interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali, per le quali però non si applica il rito del lavoro. Sarebbe interessante andare a frugare tra i lavori parlamentari per capire la ratio di una simile norma che sembra più specifica e concreta, piuttosto che generale e astratta.


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Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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3 commenti:

  1. Luca

    Molto interessante, grazie.
    A mio parere il principio rimane non applicabile in caso di contumacia, come già da costante giurisprudenza della Suprema Corte.
    In caso contrario penso che il legislatore non avrebbe fatto specifico riferimento alla parte “costituita”.
    Ciao.

  2. Aldo

    A mio avviso, invece, il principio si applica anche nel caso in cui la controparte sia contumace. Ciò, in quanto, bisogna aver rilievo, nel prendere posizione in merito a tale questione, alla ratio legis della norma. Il novellato 115 c.p.c. mira a sollevare dall’onere della prova ex art. 2697 c.c. colui il quale, a fronte di fatti addotti a sostegno di un diritto, non li veda contestati in maniera specifica. Sostanzialmente, allorquando ci si trovi dinanzi ad un comportamento passivo e disinteressato della controparte in merito ad un fatto, questo non deve essere rienuto bisognoso di prova per esser posto a sostegno della decisione del giudice. Ora, nel caso di parte contumace, in cosa si concreta il suo atteggiamento se non in un disinteresse per le sorti del giudizio che lo vede parte? E’ la mancata presa di posizione in merito ad un fatto che la norma ex 115 c.p.c. và a regolamentare, cosa che si verifica anche in caso di contumacia della controparte. Il fatto che la norma faccia riferimento “alla parte costituita” non và inteso alla lettera, in quanto, qualora così fosse, si concretizzerebbe un’ingiusta dicrastia di trattamento fra chi, pur interessatosi al suo processo, ometta di contestare un fatto e chi, viceversa, non abbia affatto preso parte al giudizio, snobbadolo per intero. Certo, il nostro legislatore poteva dimostrare maggiore chiarezza espositiva, ma non è certo la prima volta che, per comprendere il senso di una rifoma, è necessario indagare nel recondito. Ricordiamo, inoltre, che nel nostro ordinamento la contumacia si presume, fino a prova contraria, volontaria, con ciò rendendo ulteriormente parificabile il comportamento di chi volontariamente non contesta dei fatti a quello di chi, volontariamente, non prende parte al giudizio.



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