La non contestazione nel nuovo rito civile (I parte)

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Come è ormai noto a tutti, la legge n. 69/2009 ha modificato l’art. 115 del codice di rito stabilendo che il giudice può porre a fondamento della propria decisione anche «i fatti non specificatamente contestati dalla parte». Il pensiero va subito al convenuto, ma in realtà la norma riguarda tutte le parti private del processo e dunque anche l’attore e i terzi.

Il problema degli effetti della non contestazione è un problema risalente nel tempo. Ne parlavano già negli anni ’20 i grandi Maestri della procedura civile. La dottrina prevalente riteneva che la non contestazione non potesse avere alcun effetto in mancanza di una espressa previsione normativa. Dubitavano di tale conclusione, invece, insigni studiosi come il Mortara e il Furno.

Anche il codice del ’40 non prese posizione, a differenza di quello tedesco e austriaco, tanto che la dottrina continuò a dividersi, sebbene prevalentemente schierata con l’opinione negazionista.
Per molti anni la giurisprudenza affermò il principio che la non contestazione potesse avere un significato solo in casi limitati e cioè:

a) allorquando la parte ammetteva espressamente i fatti;
b) ovvero ne contestava espressamente alcuni e non altri;
c)oppure quando la parte svolgeva argomentazioni incompatibili con la contestazione dei fatti allegati ex adeverso.

A segnare una svolta fu l’introduzione del rito del lavoro e di quell’art. 416 che imponeva – e impone tutt’ora – al convenuto di prendere una «posizione specifica e non limitata ad una generica contestazione» dei fatti allegati dal ricorrente e viceversa a carico dell’attore circa i fatti allegati dal convenuto.

Per la verità, contrariamente a quanto si possa pensare, la giurisprudenza non interpretò quella norma come un vero e proprio onere di allegazione con conseguenti ricadute in caso di sua violazione.
Tutt’altro; per molto tempo si continuò a dire che la sanzione della contestazione generica ovvero della mancata contestazione era puramente sul piano degli effetti derivanti dal mancato rispetto dei principi di lealtà processuale sanzionati dagli articoli 88 e 92. Poi si cominciò ad affermare che la non contestazione, che poteva intervenire anche in fase di appello, poteva fungere da elemento integrativo per la decisione del giudice (Cass. 5359/1994).

Bisognerà aspettare le Sezioni Unite (sent. 721/2002) per sentire affermare che il principio di non contestazione deriva dal sistema e non dall’art. 416 che non sanziona espressamente con la decadenza la non contestazione; che la non contestazione è rilevante se ha ad oggetto i fatti costitutivi e non l’interpretazione di norme giuridiche o contrattuali; che quanto agli effetti, occorre distinguere tra non contestazione di fatti costitutivi e non contestazione di fatti secondari; che per i primi la non contestazione equivale ammissione e dunque non necessità della prova, che per i secondi costituisce argomento di prova liberamente valutabile dal giudice; che la non contestazione dei fatti costitutivi è per le Sezioni Unite tendenzialmente irreversibile ed ancorata alla prima udienza, mentre quella dei fatti secondari è sempre revocabile.

Questa sentenza non ha avuto seguito nella giurisprudenza delle sezioni semplici ordinarie ( a differenza di quella del lavoro e di quella tributaria), tanto che fino al 2008 si è continuato ad affermare che la non contestazione o non rileva affatto oppure può costituire semplice argomento di prova.

Sennonché, nel 2008 la Cassazione, sezione ordinaria, pronuncia una importante sentenza in cui richiamando le pronunce delle sezioni lavoro e tributaria riprende quegli argomenti affermando che l’onere di contestazione tempestiva non è desumibile solo dagli artt. 167 e 416 c.p.c., ma deriva:

  • da tutto il sistema processuale (come risulta dal carattere dispositivo del processo, che comporta una struttura dialettica a catena;
  • dal sistema di preclusioni, che comporta per entrambe le parti l’onere di collaborare, fin dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia controversa;
  • dai principi di lealtà e probità posti a carico delle parti e, soprattutto,
  • dal generale principio di economia che deve informare il processo, avuto riguardo al novellato art. 111 Cost.);

che conseguentemente, ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto) un onere di allegazione (e prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto,  confermando la sussistenza di un onere, per la parte costituita, di contestare tempestivamente i fatti allegati dalla parte avversaria, che altrimenti è esonerata dal fornirne la prova.

La legge 69/2009 recepisce pertanto quella che era una evoluzione in atto della giurisprudenza.

Naturalmente i problemi non sono spariti ed anzi vi sono molti interrogativi:

  • Il principio si applica anche in caso di contumacia?
  • Gli effetti di cui all’art. 115 si riferiscono ai soli fatti costitutivi o anche ai fatti secondari?
  • La non contestazione può essere revocata?
  • Fino a quando il convenuto può contestare specificamente i fatti allegati dall’attore nell’atto di citazione? Già con la comparsa di costituzione o con la I memoria del 183?

(fine prima parte)


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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