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Il dott. Marco Rossetti, consigliere della III sezione della Corte di Cassazione, non finisce mai di sorprenderci con la sua sterminata competenza, unita alla rara chiarezza.
In questa sentenza (Cass. 4024/2018) affronta il tema della prova del nesso di causalità, ricordandoci che, trattandosi di una relazione tra eventi, il nesso di causa non si prova; ciò che si prova sono i fatti alla base del ragionamento che conduce ad affermare la relazione di causa-effetto.
Non v’è dubbio che quel che comunemente è chiamato “nesso di causa” non sia un fatto materiale, ma un giudizio. La causalità in quanto tale è una relazione stabilita dall’uomo a posteriori tra due fatti, e non una categoria a priori, oggettivamente accertabile.
Ne consegue che l’espressione “prova del nesso causale”, largamente diffusa nel lessico giudiziario e forense, costituisce in reaità una metonimia: il nesso di causa in quanto tale non è provabile, perchè costituisce l’oggetto d’un ragionamento deduttivo, non un fatto materiale. D’una motivazione che accertasse o negasse il nesso di causa potrebbe discutersi se sia logica, non se sia provata (così già Sez. 3, Sentenza n. 178 del 24/01/1972; più di recente, nello stesso senso si veda Sez. 3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013).
Quando dunque si discorre di “prova del nesso di causa” si usa una espressione ellittica per designare la prova dei fatti materiali, sui quali fondare il ragionamento (non rileva qui se logico-deduttivo, analitico-induttivo, inferenziale, probabilistico) ricostruttivo del nesso o della sua inesistenza.
Ma i fatti materiali sui quali si fonda il sillogismo sull’esistenza o l’inesistenza del nesso di causa possono essere oggetto di qualsiasi mezzo di prova, non ponendo la legge alcuna limitazione al riguardo: e dunque potranno provarsi con documenti, testimoni, giuramento, confessione e presunzioni semplici.
1.3. Questi principi sono stati ripetutamente affermati da questa Corte, nelle materie più diverse. Il ricorso alla prova presuntiva è stato ammesso per dimostrare i fatti, dai quali desumere il nesso di causa, in materia di:
(-) danni da emotrasfusione con sangue infetto (Sez. U, Sentenza n. 582 del 11/01/2008, Sez. 3, Sentenza n. 5961 del 25/03/2016);
(-) danni al consumatore derivanti da un’intesa anticoncorrenziale tra imprese (Sez. 3, Sentenza n. 7039 del 09/05/2012);
(-) danni al paziente derivanti dall’opera del medico, nel caso di cartella clinica incompleta (Sez. 3, Sentenza n. 10060 del 27/04/2010);
(-) danni da demansionamento (Sez. L, Sentenza n. 26666 del 06/12/2005);
(-) danni da malattie professionali (Sez. L, Sentenza n. 14403 del 27/09/2003, Sez. L, Sentenza n. 1488 del 06/03/1986), ovvero da infortuni sul lavoro (principio, quest’ultimo, pacifico: la sentenza capostipite risale addirittura a Sez. 2, Sentenza n. 1543 del 19/06/1962);
(-) danni da attività pericolosa (Sez. 1, Sentenza n. 1666 del 09/06/1973);
(-) danni da seduzione con promessa di matrimonio (Sez. 1, Sentenza n. 2661 del 23/07/1968; Sez. 1, Sentenza n. 963 del 11/05/1967).
Allo stesso modo, e converso, questa Corte ha ripetutamente affermato che attraverso la prova presuntiva può giungersi anche all’affermazione dell’esclusione del nesso di causa (Sez. L, Sentenza n. 15080 del 26/06/2009, in tema di danno da malattie professionali).
1.4. Alla luce di questi principi può tornarsi ora ad esaminare la sentenza impugnata.
L’espressione usata dalla Corte d’appello, secondo cui attraverso le presunzioni semplici si potrebbe dimostrare “la difettosità del prodotto, ma non anche il nesso causale tra quest’ultima e il danno”, potrebbe teoricamente essere intesa in due diversi sensi: ma sarebbe in ogni caso giuridicamente erronea.
Se con quell’espressione la Corte volle intendere che attraverso il ragionamento deduttivo non possa pervenirsi all’affermazione del nesso di causa, l’affermazione è ovviamente erronea per l’epistemologia, prima che per il diritto, dal momento che per quanto detto il nesso di causa in altro non consiste se non in un ragionamento, sicchè bene è stato osservato che in natura non esisterebbero nè cause nè effetti, se non vi fosse un essere umano a ravvisare le prime e predicare i secondi.
Se, invece, con quell’espressione la Corte d’appello volle intendere che la prova dei fatti materiali sui quali costruire il giudizio di causalità non può essere data per presunzioni, l’affermazione sarebbe altrettanto insostenibile, dal momento che la legge non pone a tal riguardo alcun limite alla prova presuntiva (come si desume dall’art. 2729 c.c., comma 2).
1.5. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio su questo punto, in applicazione del seguente principio di diritto:
“Il nesso di causa è una costruzione logica, non un fatto materiale; pertanto l’affermazione dell’esistenza di quel nesso tra una condotta illecita ed un danno costituisce oggetto di un ragionamento logico-deduttivo, non di un accertamento fattuale. Ne consegue che, mentre rispetto a tale ragionamento non sono concepibili questioni di prova, ma solo di coerenza logica, debbono essere debitamente provati i fatti materiali sui quali il suddetto ragionamento si fonda. La prova di tali fatti può essere data con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni semplici, dal momento che la legge non pone alcuna limitazione al riguardo”.
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sarebbe interessante un formulario con i singoli casi per l’appello
Buongiorno,
Mi ha colpito la frase ” ciò non accade mai”.
Speriamo.
Io ho una domanda giudiziale dimostrata da registrazioni fonografiche non disconosciute e quindi piene prove, per cui avrei vinto.