Pubblichiamo una nuova pronuncia del Tribunale di Varese (estensore dott. Giuseppe Buffone, che si ringrazia per la segnalazione) che aggiunge un nuovo argomento alla tesi della irretroattività.
Il Tribunale di Varese, infatti, ricorda come la Corte Costituzionale si sia pronunciata in merito alla legittimità delle leggi di interpretazione autentica, da ultimo con la sentenza n. 525/2000 (provocata da un’ordinanza di remissione della Corte di Cassazione), affrontando il problema relativo ai limiti che esse incontrano quanto alla loro portata retroattiva.
“In proposito la Consulta ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti, che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali (v., ex plurimis, le sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994), trai quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico. In occasione della sentenza n. 525 del 22 novembre 2000, la Corte si è soffermata in particolare «sull’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica; principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti» (v. le sentenze n. 416 del 1999 e n. 211 del 1997).”
“Secondo la Corte delle Leggi “tale principio deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali” (cfr. la sentenza n. 111 del 1998).”
“Nel caso affrontato nella decisione 525/2000, la Corte ha rilevato che, la norma di interpretazione autentica forniva una lettura della disposizione legislativa sotto esame “che non era fra quelle accolte in sede giudiziale ed era nettamente minoritaria anche nella dottrina”. Dichiarando quindi applicabile anche per il passato la nuova disciplina era “stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali” (cfr. la sentenza n. 211 del 1997).
“In conclusione, la Consulta, nella sentenza 525/2000 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l’efficacia dell’interpretazione autentica, da essa dettata, dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).”
“I limiti alla retroattività delle leggi di Interpretazione autentica sono stati individuati pure dalla giurisprudenza amministrativa. In particolare, Consiglio di Stato, sez. IV, decisione 21 dicembre 2009 n. 8513 ha ricordato che: a) affinché una norma interpretativa ed efficacia retroattiva possa considerarsi costituzionalmente legittima, è necessario che la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, che non integri il precetto di quest’ultima e, infine, che non adotti una opzione ermeneutica non desumibile dalla ordinaria esegesi della stessa (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 2 luglio 2002, n. 3612); b) la efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta al limite del rispetto del principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza della illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi (Corte Costituzionale 27 novembre 2000, n. 525).”
“Orbene: è assolutamente evidente che un limite costituzionale alla retroattività (addirittura) delle Leggi di interpretazione autentica non può non valere anche per le decisioni della Suprema giurisprudenza, pervenendosi, altrimenti, ad un significato giuridico della disposizione legislativa palesemente incostituzionale. In altri termini, l’interpretazione che offre un significato giuridico non prevedibile, che sia portata da una Legge o da una sentenza, non può avere efficacia retroattiva in virtù del principio dell’affidamento con si intende che «il singolo deve poter conoscere lo stato del diritto in base al quale opera e tale stato del diritto non deve poi essere modificato retroattivamente», come scrive la Dottrina costituzionalista italiana. Tale principio non inibisce la retroattività di tutte le pronunce/leggi di interpretazione autentica, ma solo di quelle cd. innovative, in cui, come scrive la Consulta, l’indirizzo espresso non era prevedibile.”
“Un limite del genere non è estraneo al panorama europeo. Come ricorda una attenta dottrina, nell’ordinamento tedesco, ad esempio, la tutela dell’affidamento in relazione alle problematiche prodotte da leggi retroattive è stato riconosciuto sia a livello giurisprudenziale che dottrinale, rimeditando, funditus, il problema della retroattività propria (applicazione della nuova norma alle fattispecie esauritesi prima della sua entrata in vigore) e quello della retroattività impropria (incidenza della nuova norma sulle fattispecie concluse).”
Non solo. Il Tribunale di Varese affronta anche la questione del dies a quo che viene fatto coincidere con il 14 ottobre 2010, data di pubblicazione delle decisione SS.UU. 19246/2010 sul sito Ufficiale della Corte di Cassazione.
Trib. Varese, sez. Prima civ., ordinanza 10 dicembre 2010 (est. G. Buffone)
Opposizione a decreto ingiuntivo – Costituzione dell’opponente – Dimezzamento automatico dei termini – Sezioni Unite 19246/2010 – Overruling – retroattività della nuova interpretazione adozione di una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi – Incostituzionalità – Affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica – Eadem ratio di tutela rispetto alle Leggi di interpretazione autentica cd. innovative – Interpretazione costituzionalmente orientata – Irretroattività del decisum delle SSUU 19246/2010 – Dies a quo – 14 ottobre 2010 – Pubblicazione sul sito C.E.D.
Massima – Le Leggi di interpretazione autentica, secondo la giurisprudenza della Consulta, non possono avere portata retroattiva ove la retroattività attenti al principio costituzionale di tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico. Tale principio deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali. Ciò vuol dire che la norma di interpretazione autentica che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi, perché non rientrante fra quelle accolte in sede giudiziale e nettamente minoritaria anche nella dottrina (cd. innovativa), non può avere effetti se non per l’avvenire. Orbene: è assolutamente evidente che un limite costituzionale alla retroattività (addirittura) delle Leggi di interpretazione autentica non può non valere anche per le decisioni della Suprema giurisprudenza, pervenendosi, altrimenti, ad un significato giuridico della disposizione legislativa palesemente incostituzionale. In altri termini, l’interpretazione che offre un significato giuridico non prevedibile, che sia portata da una Legge o da una sentenza, non può avere efficacia retroattiva in virtù del principio dell’affidamento con si intende che «il singolo deve poter conoscere lo stato del diritto in base al quale opera e tale stato del diritto non deve poi essere modificato retroattivamente». (Nel caso di specie viene esclusa la retroattività del decisum delle SSUU 19246/2010 e l’efficacia del nuovo principio viene fatto coincidere con il 14 ottobre 2010, data di pubblicazione della decisione sul CED)
Rileva e Osserva
L’atto di opposizione è stato iscritto successivamente al quinto giorno dalla notifica al creditore sostanziale, ma entro il decimo giorno: all’opposto non sono stati ridotti i termini per comparire. All’odierna udienza, l’opponente ha chiesto l’applicazione dell’istituto della remissione in termini.
Le Sezioni Unite del 9 settembre 2010 n. 19246, come noto, hanno affermato che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che “in ogni caso di opposizione i termini a comparire sono ridotti a metà”.
La decisione nomofilattica sopraccitata non è portatrice di un mero revirement giurisprudenziale, fenomeno fisiologico nell’ambito del tumultuoso evolversi del diritto vivente, ma espressione di un cambiamento delle regole del gioco a partita già iniziata e dunque una somministrazione al giudice del potere-dovere di giudicare dell’atto introduttivo in base a forme e termini il cui rispetto non era richiesto al momento della proposizione della domanda (cd. overruling). L’overruling si distingue dal mero revirement in quanto la lettura interpretativa di cui si fa espressione il Supremo Collegio: a) riguarda norme processuali; b) determina una limitazione all’accesso alla Giustizia, introducendo una interpretatio in malam partem; c) non era in alcun modo prevedibile dall’interprete (in quanto mai sostenuta prima del nuovo arresto ovvero sostenuta in tempi remoti e poi abbandonata).
Successivamente alla decisione in esame, la giurisprudenza di merito è stata pressoché unanime nel negare valenza diretta del nuovo decisum ai processi già pendenti, seppur ricorrendo a forme di tutela differenti (Trib. Varese, sez. I civ. Sent. 8 ottobre 2010, 11 ottobre 2010, 29 novembre 2010; Trib. Torino, Ord. 11 ottobre 2010; Trib. Milano, Ord. 13 ottobre 2010; Trib. Tivoli, Sent. 13 ottobre 2010; Trib. Pavia, Ord. 14 ottobre 2010; Trib. Velletri, Sent. 15 ottobre 2010; Tribunale di Latina, sez. II, Sent. 19 ottobre 2010; Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, Sent. 20 ottobre 2010, n. 625 ; Tribunale di Marsala, Ord. 20 ottobre 2010; Tribunale di Macerata, Sent. 22 ottobre 2010; Trib. Torino, sez. III civ., Sent. 28 ottobre 2010; Trib. Novara, Sent. 28 ottobre 2010; Trib. Novara, Sent. 29 ottobre 2010; Trib. Arezzo, sez. Sansepolcro, Sent. 29 ottobre 2010; Tribunale di Belluno, Ord. 30 ottobre 2010; Tar Lombardia, sez. III Sent. 2 novembre 2010; Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi Sent. 3 novembre 2010; Trib. di Milano, sez. I civ. Sent. 3 novembre 2010; Trib. di Catanzaro, sez. II, Ord. 4 novembre 2010; Tribunale di Siracusa, sez. distaccata di Avola, ordinanza 4 novembre 2010 ; Trib. Verona, sez. IV civ.,, Ord. 9 novembre 2010; Corte Appello di Roma, Ord. 17 novembre 2010; Trib. Piacenza, ord. 2 dicembre 2010).
Quanto all’indirizzo pretorile che ha applicato la decisione delle Sezioni Unite ai procedimenti in corso alla data del 9 settembre 2010 (del tutto minoritario e che non consta allo stato di provvedimenti editi), esso va fortemente respinto in quanto apertamente in contrasto con il Principio del Giusto Processo e portatore di una lettura dell’art. 645 c.p.c. (come interpretato dalle Sezioni Unite 19246/2010) tacciata di incostituzionalità, come tale da non poter essere condivisa.
Quanto all’indirizzo che ha respinto il principio di Diritto espresso dalle Sezioni Unite, perché mero obiter dictum (Trib. Belluno, 30 ottobre 2010), perché recessivo rispetto alla pregressa lettura interpretativa (Trib. Catanzaro, 4 novembre 2010; Trib. Verona, 9 novembre 2010) o, comunque, perché semplicemente “sbagliato” (Corte App. Roma, 17 novembre 2010), trattasi di percorso argomentativo senz’altro legittimo e riccamente motivato (in particolare, v. Trib. Monza, sent. 27 novembre 2010, est. S. Giani), ma disatteso da questo Tribunale, tenuto conto dell’importanza per il giudice di merito di rispettare la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, costituzionalmente tipizzata, e garante della certezza del Diritto nell’ordinamento.
Quanto all’indirizzo giurisprudenziale che ha applicato l’istituto della remissione in termini (artt. 184-bis c.p.c. per il passato; artt. 153 c.p.c. per le cause iscritte dal 4 luglio 2009; art. 37 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, per il processo amministrativo), seppur prevalente nella giurisprudenza di merito e sempre accompagnato da ricche motivazioni (Trib. Pavia, ord. 14 ottobre 2010; Trib. Velletri, sent. 15 ottobre 2010; Trib. Torino, sez. III civ., sent. 28 ottobre 2010 e da ultimo: Tribunale di Piacenza; ord. 2 dicembre 2010, est. G. Morlini), esso non può essere condiviso per le seguenti ragioni.
1)In primo luogo, pur dichiarata in astratto nelle pronunce qui in esame, la remissione in termini non è poi concretamente applicata in quanto si fa effettivo ricorso all’istituto, diverso, della sanatoria. La stessa pronuncia Cass. Civ., Sez. II, ord. 2 luglio 2010 n. 15811, richiamata a supporto della tesi, non perviene affatto alle conclusioni dei giudici sostenitori della tesi, in quanto, in concreto, dispone la ripetizione dell’atto (v. dispositivo: «la Corte assegna, alla parte ricorrente: (a) il termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza per proporre e notificare ricorso per cassazione secondo le forme del codice di procedura civile»).
2)In secondo luogo, sostenere che il difensore della parte opponente sia incorso in errore, quale elemento presupponente la remissione, non è all’evidenza corrispondente al vero: non si può prima somministrare una regola all’operatore e poi accusarlo di non averla rispettata. Peraltro, come pure si è evidenziato, l’accertamento (implicito) dell’errore del difensore, non esclude, in astratto, conseguenze in punto di responsabilità professionale.
3)In terzo luogo, come ha scritto la dottrina, “l’accertamento in concreto dell’impedimento è superfluo, come è superflua l’istanza della parte, né sussiste un significativo margine di apprezzamento da parte del giudice”. In altri termini, “applicare la rimessione in termini in questa fattispecie è una vera e propria finzione”.
In conclusione, questo giudice reputa, allo stato, di non doversi discostare dalla propria giurisprudenza (Trib. Varese, sez. I civile, sentenze: 8 ottobre 2010, 11 ottobre 2010, 29 novembre 2010; ordinanza 3 dicembre 2010), recante principi autorevolmente enunciati in Dottrina e condivisi da altre pronunce di merito (Tribunale di Latina, sez. II, Sent. 19 ottobre 2010; Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, Sent. 20 ottobre 2010, n. 625; Trib. Novara, Sent. 28 ottobre 2010; Trib. Novara, Sent. 29 ottobre 2010; Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi Sent. 3 novembre 2010; Tribunale di Siracusa, sez. distaccata di Avola, ordinanza 4 novembre 2010), tra cui quelle del Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. Rho, ord. 15 ottobre 2010), seppur con motivazione in parte differente, più focalizzata sul Principio del Giusto Processo (v. Trib. Milano, ord. 13 ottobre 2010; Trib. di Milano, sez. I civ., sent. 3 novembre 2010).
In caso di overruling, la retroattività del nuovo principio giurisprudenziale “sorprende gli interessati e quindi attenua o esclude la prevedibilità” del comando legislativo, così provocando un vulnus al principio di legalità anche nel quadro complessivo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il cui preambolo richiama la “preminenza del diritto” come valore ed esigenza comune a tutti i Paesi europei che hanno accettato e ratificato il trattato. Né il termine “diritto” può riferirsi solo alla legge formale: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha chiarito che il termine legge riguarda anche la norma di diritto vivente (“englobe le droit d’origine tant législative que jurisprudentielle”). Si ha, così, come si è scritto autorevolmente, che l’unità, la costanza, la conoscibilità, la prevedibilità della giurisprudenza, nell’ottica della Corte europea, assicurano la legalità delle vicende che si svolgono a livello nazionale: ove tale prevedibilità venga meno, la retroattività dell’interpretazione giurisprudenziale deve essere esclusa, approdando ad una lettura pretorile fedele all’art. 6 della CEDU e rispettosa dell’art. 111 della Costituzione.
La tesi della irretroattività della pronuncia delle Sezioni Unite 19246/2010, in caso di overruling, ha trovato diverse obiezioni. Esse, però, non appaiono fondate. Come è stato di recente affermato, per giustificare la tesi della irretroattività sarebbe sufficiente ipotizzare che, invece delle SSUU cit., fosse stato il Legislatore ad intervenire con una legge di interpretazione autentica dell’art. 645 comma II c.p.c. Come noto, una normativa siffatta ha per sua ontologica natura efficacia retroattiva. Nel caso di specie, tuttavia, non avrebbe superato lo scrutinio di costituzionalità.
La Corte costituzionale, infatti, si è occupata in passato più volte della legittimità costituzionale delle norme d’interpretazione autentica, da ultimo con la sentenza n. 525/2000 (provocata da un’ordinanza di remissione della Corte di Cassazione), affrontando il problema relativo ai limiti che esse incontrano quanto alla loro portata retroattiva. In proposito la Consulta ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti, che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali (v., ex plurimis, le sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994), trai quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico. In occasione della sentenza n. 525 del 22 novembre 2000, la Corte si è soffermata in particolare «sull’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica; principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti» (v. le sentenze n. 416 del 1999 e n. 211 del 1997). Secondo la Corte delle Leggi “tale principio deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell’esigenza che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro pregiudizievoli, nonché nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento del giudizio secondo le regole vigenti all’epoca del compimento degli atti processuali” (cfr. la sentenza n. 111 del 1998).
Nel caso affrontato nella decisione 525/2000, la Corte ha rilevato che, la norma di interpretazione autentica forniva una lettura della disposizione legislativa sotto esame “che non era fra quelle accolte in sede giudiziale ed era nettamente minoritaria anche nella dottrina”. Dichiarando quindi applicabile anche per il passato la nuova disciplina era “stato frustrato l’affidamento dei soggetti nella possibilità di operare sulla base delle condizioni normative presenti nell’ordinamento in un dato periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessità di sacrificare tale affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali” (cfr. la sentenza n. 211 del 1997).
In conclusione, la Consulta, nella sentenza 525/2000 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale), nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l’efficacia dell’interpretazione autentica, da essa dettata, dell’art. 38, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).
I limiti alla retroattività delle leggi di Interpretazione autentica sono stati individuati pure dalla giurisprudenza amministrativa. In particolare, Consiglio di Stato, sez. IV, decisione 21 dicembre 2009 n. 8513 ha ricordato che: a) affinché una norma interpretativa ed efficacia retroattiva possa considerarsi costituzionalmente legittima, è necessario che la stessa si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, che non integri il precetto di quest’ultima e, infine, che non adotti una opzione ermeneutica non desumibile dalla ordinaria esegesi della stessa (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 2 luglio 2002, n. 3612); b) la efficacia retroattiva della legge di interpretazione autentica è soggetta al limite del rispetto del principio dell’affidamento dei consociati nella certezza dell’ordinamento giuridico, con la conseguenza della illegittimità costituzionale di una disposizione interpretativa che indichi una soluzione ermeneutica non prevedibile rispetto a quella affermatasi nella prassi (Corte Costituzionale 27 novembre 2000, n. 525).
Orbene: è assolutamente evidente che un limite costituzionale alla retroattività (addirittura) delle Leggi di interpretazione autentica non può non valere anche per le decisioni della Suprema giurisprudenza, pervenendosi, altrimenti, ad un significato giuridico della disposizione legislativa palesemente incostituzionale. In altri termini, l’interpretazione che offre un significato giuridico non prevedibile, che sia portata da una Legge o da una sentenza, non può avere efficacia retroattiva in virtù del principio dell’affidamento con si intende che «il singolo deve poter conoscere lo stato del diritto in base al quale opera e tale stato del diritto non deve poi essere modificato retroattivamente», come scrive la Dottrina costituzionalista italiana. Tale principio non inibisce la retroattività di tutte le pronunce/leggi di interpretazione autentica, ma solo di quelle cd. innovative, in cui, come scrive la Consulta, l’indirizzo espresso non era prevedibile.
Un limite del genere non è estraneo al panorama europeo. Come ricorda una attenta dottrina, nell’ordinamento tedesco, ad esempio, la tutela dell’affidamento in relazione alle problematiche prodotte da leggi retroattive è stato riconosciuto sia a livello giurisprudenziale che dottrinale, rimeditando, funditus, il problema della retroattività propria (applicazione della nuova norma alle fattispecie esauritesi prima della sua entrata in vigore) e quello della retroattività impropria (incidenza della nuova norma sulle fattispecie concluse).
Ciò detto, si pone però il serio problema della individuazione del dies a quo a partire dal quale deve ritenersi che l’operatore sia tenuto a conoscere (e dunque seguire) la nuova regola. Questo giudice ha reputato doversi trattare di termine senz’altro successivo al 9 settembre 2010 (Trib. Varese, sez. I, sent. 11 ottobre 2010). Guardando alle opinioni espresse in giurisprudenza e Dottrina, sembra condivisibile la tesi secondo cui tale termine deve coincidere con il 14 ottobre 2010, data di pubblicazione delle decisione SS.UU. 19246/2010 sul sito Ufficiale della Corte di Cassazione.
Alla luce dei rilievi sin qui esposti, non vi è ragione alcuna per una pronuncia anticipata nell’odierno giudizio, non apparendo, allo stato, la questione di procedibilità idonea a definire il giudizio ed essendovi, tutt’al più, motivi per porre in contraddittorio la questione oggi discussa onde consentire ad ogni parte di svolgere i propri rilievi difensivi.
I motivi sin qui illustrati conducono al rigetto dell’istanza di remissione in termini.
Per questi Motivi
Il Tribunale di Varese,
Sezione Prima Civile,
Visto l’art. 153 c.p.c.
Rigetta l’istanza di rimessione in termini.
Visto l’art. 101, comma II, c.p.c.
assegna alle parti termine entro il 30 gennaio 2011 per il deposito di memorie contenenti osservazioni sulla questione discussa in data odierna e
Fissa
nuova udienza in data 18 febbraio 2011 ore 11.20 per l’ammissione dei mezzi di prova. Ammette entrambe le parti, sin da ora, a repliche orali all’udienza.
Ordinanza letta in udienza
Varese, lì 10 dicembre 2010
Il Giudice
dott. Giuseppe Buffone
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