Reputazione e gestione dei key client: i fattori per avere successo
Che il mercato dei servizi professionali negli ultimi anni sia radicalmente cambiato, non è certo una novità. Alla crescita di nuova offerta (più professionisti), nuovi servizi (sempre più articolati e specializzati) si è accompagnato anche un cambiamento radicale della domanda: clienti sempre più esigenti, più informati, più disinvolti quando si tratta di chiedere uno sconto, un preventivo o una seconda opinione ad un altro professionista.
Nel bel mezzo di queste dinamiche gli studi, che non possono più dare per scontato un certo “zoccolo duro” di clienti, non solo si sono più che moltiplicati ma, adesso che i tempi si sono fatti difficili, rischiano anche di commettere l’errore di tagliare risorse piuttosto che impegnarsi a rinvigorire e stimolare nuova domanda.
In altri termini, se si appartiene ad un settore maturo in un Paese sviluppato, è necessario proporsi al mercato in un modo più raffinato e imparare a farsi guidare dalla domanda piuttosto che dall’offerta.
Al centro della crescita dei ricavi di ogni studio c’è la propria reputazione. E questa deriva dall’eccellenza del lavoro svolto. I clienti che si avvicinano per la prima volta ad uno studio sono insicuri. Hanno pochi strumenti per verificarne anticipatamente la qualità: le referenze di persone di cui si fidano, l’accoglienza che ricevono da parte di quanti operano in studio e tutte le informazioni che possono ricavare dal materiale “autoreferenziale” che trovano in circolazione -sito, brochure, ecc.
Una volta che l’incarico si sarà concluso il cliente comincerà a parlare della sua esperienza (sperabilmente positiva) ad altri: ne consegue, pertanto, che i due driver della crescita futura dei ricavi dipendano direttamente dalla qualità del lavoro svolto e dalla qualità del servizio offerto al cliente. Questi due elementi, a loro volta, contribuiranno a creare quella forte reputazione che a tendere si tradurrà in brand e il valore di quest’ultimo sarà il motore che genererà ulteriore domanda.
Questo circolo virtuoso consente agli studi da un lato, di ridurre i costi destinati “alla vendita” di servizi professionali –perchè i clienti arriveranno naturalmente- e, dall’altro, di evitare delle logoranti guerre di prezzo, facendo sì che le tariffe applicate vengano considerate come una naturale “conseguenza” del servizio reso.
Messa in questi termini, è ovvio che l’attività di marketing debba tutta essere focalizzata ad incrementare la reputazione dello Studio.
Ma, allora, quali sono gli elementi di crescita in rapporto alle strategie di marketing?
Prima di tutto il fatto che i lavori giusti si ottengono attraverso le persone giuste –perchè la gente parla, la reputazione cresce e, di conseguenza crea domanda.
In questo senso il marketing deve essere diretto ad amplificare il passaparola, far sì che la reputazione si traduca in brand, creare una situazione in cui la domanda si presenta naturalmente in studio e misurare con oggettività il livello di qualità offerto.
Il secondo elemento è il networking –perchè le relazioni aiutano la vendita dei servizi. Il marketing deve operarsi per gestire relazioni strutturate e creare eventi.
Terzo elemento: la presenza su piattaforme fruibili da un pubblico vasto –perchè la visibilità aiuta la vendita dei servizi e incrementa la reputazione. In tal senso, per quanto riguarda il marketing, via alle relazioni con la stampa, alle conferenze, agli articoli e alle occasioni in cui dimostrarsi “leader di pensiero”.
Last but not least, il quarto elemento è la definizione di una strategia efficace –perchè le risorse, per la nota legge della marmellata al lampone (The law of raspberry jam) “più la spalmi, più sottile diventa lo strato” (The Secrets of Consulting: Giving and Getting Advice Successfully di Gerald M. Weinberg), devono essere focalizzate su opportunità vere e non disperse su mille progetti. Costa pur sempre di meno passare un po’ di tempo a progettare bene le future iniziative, piuttosto che investire senza un piano preciso e/o su clienti non profittevoli. Il marketing, quindi, diviene l’ausilio prezioso per identificare le occasioni, decidere le priorità, stabilire quali servizi offrire a quali clienti e, infine, coordinare tutte le attività necessarie ad agire.
Se il primo elemento da considerare per costruire una solida reputazione sono le “persone giuste” e se è vero -come è vero- che i clienti “giusti” soddisfatti sono i migliori referral dello Studio, allora prima ancora di affannarsi a cercarne dei nuovi, diventa fondamentale chiedersi chi sono “i key client” e imparare a gestirli al meglio focalizzando su di loro le iniziative di marketing dello studio.
Per questo è opportuno cominciare analizzando il proprio portafoglio per distinguere i clienti più profittevoli –i key client appunto- da tutti gli altri –i valued client.
Sulla base di quali fattori? In primis prendendo in considerazione il profitto e non il fatturato, come molti ancora erroneamente fanno. Alcuni clienti potranno anche apportare volumi consistenti di fatturato ma se per il tipo di incarico affidato, il lavoro svolto per loro non è particolarmente profittevole, allora non sono key client.
E lo stesso vale per quelli con cui sono state negoziate le fee talmente tanto tempo fa che se adesso lo studio decidesse di alzarle ad un livello ragionevolmente redditizio, rischierebbe di perdere il cliente.
Altri fattori per definire i key client -meno matematici ma che possono però decisamente sovvertire le decisioni prese considerando solo il profitto- sono: il loro valore strategico (il tipo di incarico svolto consente allo studio di acquisire altri clienti sul mercato?), il loro valore come referral (quali altre porte si potrebbero aprire allo studio per il fatto di averli in portafoglio?) e la loro crescita potenziale (quanti profitti potranno generare in futuro?). E se tra i clienti c’è qualcuno che da solo genera un reddito che non si riuscirebbe ad eguagliare nemmeno nel lungo periodo e nemmeno aggregando i profitti realizzati dagli altri clienti? Allora quello è un crown jewel e prima che, andandosene, arrechi una perdita non recuperabile, sarà meglio che lo studio impari a gestirlo come si conviene.
Giulia Picchi
marketude – consulenza in marketing e comunicazione per avvocati e commercialisti
Che il mercato dei servizi professionali negli ultimi anni sia radicalmente cambiato, non è certo una novità. Alla crescita di nuova offerta (più professionisti), nuovi servizi (sempre più articolati e specializzati) si è accompagnato anche un cambiamento radicale della domanda: clienti sempre più esigenti, più informati, più disinvolti quando si tratta di chiedere uno sconto, un preventivo o una seconda opinione ad un altro professionista.
Nel bel mezzo di queste dinamiche gli studi, che non possono più dare per scontato un certo “zoccolo duro” di clienti, non solo si sono più che moltiplicati ma, adesso che i tempi si sono fatti difficili, rischiano anche di commettere l’errore di tagliare risorse piuttosto che impegnarsi a rinvigorire e stimolare nuova domanda.
In altri termini, se si appartiene ad un settore maturo in un Paese sviluppato, è necessario proporsi al mercato in un modo più raffinato e imparare a farsi guidare dalla domanda piuttosto che dall’offerta.
Al centro della crescita dei ricavi di ogni studio c’è la propria reputazione. E questa deriva dall’eccellenza del lavoro svolto. I clienti che si avvicinano per la prima volta ad uno studio sono insicuri. Hanno pochi strumenti per verificarne anticipatamente la qualità: le referenze di persone di cui si fidano, l’accoglienza che ricevono da parte di quanti operano in studio e tutte le informazioni che possono ricavare dal materiale “autoreferenziale” che trovano in circolazione -sito, brochure, ecc.
Una volta che l’incarico si sarà concluso il cliente comincerà a parlare della sua esperienza (sperabilmente positiva) ad altri: ne consegue, pertanto, che i due driver della crescita futura dei ricavi dipendano direttamente dalla qualità del lavoro svolto e dalla qualità del servizio offerto al cliente. Questi due elementi, a loro volta, contribuiranno a creare quella forte reputazione che a tendere si tradurrà in brand e il valore di quest’ultimo sarà il motore che genererà ulteriore domanda.
Questo circolo virtuoso consente agli studi da un lato, di ridurre i costi destinati “alla vendita” di servizi professionali –perchè i clienti arriveranno naturalmente- e, dall’altro, di evitare delle logoranti guerre di prezzo, facendo sì che le tariffe applicate vengano considerate come una naturale “conseguenza” del servizio reso.
Messa in questi termini è ovvio che tutta l’attività di Marketing debba tutta essere focalizzata ad incrementare la reputazione dello Studio.
Ma, allora, quali sono gli elementi di crescita in rapporto alle strategie di marketing?
Prima di tutto il fatto che i lavori giusti si ottengono attraverso le persone giuste –perchè la gente parla, la reputazione cresce e, di conseguenza crea domanda.
In questo senso il marketing deve essere diretto ad amplificare il passaparola, far sì che la reputazione si traduca in brand, creare una situazione in cui la domanda si presenta naturalmente in studio e misurare con oggettività il livello di qualità offerto.
Il secondo elemento è il networking –perchè le relazioni aiutano la vendita dei servizi. Il marketing deve operarsi per gestire relazioni strutturate e creare eventi.
Terzo elemento: la presenza su piattaforme fruibili da un pubblico vasto –perchè la visibilità aiuta la vendita dei servizi e incrementa la reputazione. In tal senso, per quanto riguarda il marketing, via alle relazioni con la stampa, alle conferenze, agli articoli e alle occasioni in cui dimostrarsi “leader di pensiero”.
Last but not least, il quarto elemento è la definizione di una strategia efficace –perchè le risorse, per la nota legge della marmellata al lampone (The law of raspberry jam) “più la spalmi, più sottile diventa lo strato” (The Secrets of Consulting: Giving and Getting Advice Successfully di Gerald M. Weinberg), devono essere focalizzate su opportunità vere e non disperse su mille progetti. Costa pur sempre di meno passare un po’ di tempo a progettare bene le future iniziative, piuttosto che investire senza un piano preciso e/o su clienti non profittevoli. Il marketing, quindi, diviene l’ausilio prezioso per identificare le occasioni, decidere le priorità, stabilire quali servizi offrire a quali clienti e, infine, coordinare tutte le attività necessarie ad agire.
Se il primo elemento da considerare per costruire una solida reputazione sono le “persone giuste” e se è vero -come è vero- che i clienti “giusti” soddisfatti sono i migliori referral dello Studio, allora prima ancora di affannarsi a cercarne dei nuovi, diventa fondamentale chiedersi chi sono “i key client” e imparare a gestirli al meglio focalizzando su di loro le iniziative di marketing dello studio.
Per questo è opportuno cominciare analizzando il proprio portafoglio per distinguere i clienti più profittevoli –i key client appunto- da tutti gli altri –i valued client.
Sulla base di quali fattori? In primis prendendo in considerazione il profitto e non il fatturato, come molti ancora erroneamente fanno. Alcuni clienti potranno anche apportare volumi consistenti di fatturato ma se per il tipo di incarico affidato, il lavoro svolto per loro non è particolarmente profittevole, allora non sono key client.
E lo stesso vale per quelli con cui sono state negoziate le fee talmente tanto tempo fa che se adesso lo studio decidesse di alzarle ad un livello ragionevolmente redditizio, rischierebbe di perdere il cliente.
Altri fattori per definire i key client -meno matematici ma che possono però decisamente sovvertire le decisioni prese considerando solo il profitto- sono: il loro valore strategico (il tipo di incarico svolto consente allo studio di acquisire altri clienti sul mercato?), il loro valore come referral (quali altre porte si potrebbero aprire allo studio per il fatto di averli in portafoglio?) e la loro crescita potenziale (quanti profitti potranno generare in futuro?). E se tra i clienti c’è qualcuno che da solo genera un reddito che non si riuscirebbe ad eguagliare nemmeno nel lungo periodo e nemmeno aggregando i profitti realizzati dagli altri clienti? Allora quello è un crown jewel e prima che, andandosene, arrechi una perdita non recuperabile, sarà meglio che lo studio impari a gestirlo come si conviene.
Giulia Picchi
www.marketude.it
marketude – consulenza in marketing e comunicazione per avvocati e commercialisti
Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.
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