Anche le dichiarazioni inserite negli atti difensivi possono costituire prove atipiche. Ma qual’è il loro valore probatorio?
A tal riguardo occorre fare una importante distinzione tra:
- a)atti sottoscritti dalla (o anche) dalla parte personalmente;
- b)atti corredati della procura alle liti (comparsa, citazione, intervento, riassunzione)
- c)atti firmati dal solo difensore.
Nessun dubbio che gli atti di cui alla lettera a) sono riferibili alla parte; pertanto laddove contengano confessioni e vi sia l‘animus confitendi si applicherà la disciplina relativa all’istituto.
Per quanto concerne gli atti di cui alla lettera b), la giurisprudenza prevalente ritiene che alle ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti dal procuratore ad litem ben può essere attribuito valore confessorio riferibile alla parte quando quegli scritti rechino anche la sottoscrizione della parte, in calce o a margine dell’atto, dovendo presumersi che la parte stessa abbia avuto piena conoscenza di quelle ammissioni e ne abbia assunto, anch’essa, la titolarità (v. ex multis Cass. n. 2894 del 1999, n. 15760 del 2001).
Di contrario avviso Cass. Civ. 26686/2005 secondo cui:
È vero che le ammissioni contenute nella comparsa di risposta possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea che, come è espressamente chiarito negli artt. 228 e 229 c.p.c., è appunto quella contenuta in qualsiasi atto processuale e, quindi, anche in uno degli atti processuali di parte indicati dall’art. 125 c.p.c. dato che anche questi (contrariamente a quanto è stato asserito nella isolata sentenza di questa Corte n. 2465 del 1994 riv 485725) fanno parte del processo (sent. 11-2-1992 n. 12830 rv 479830).
Ma è essenziale che tale comparsa sia stata sottoscritta dalla parte personalmente (in tal senso, tra le altre, sent, 11-3-1976 n. 854; sent.. 12-8-1996 N. 7492) con modalità che inequivocamente rivelino la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli contenute nell’atto
La firma apposta dalla parte nel mandato alle liti scritto in margine della comparsa di risposta potrebbe tutto al più consentire di riferire genericamente alla parte personalmente, oltre che al suo difensore, la linea difensiva espressa nell’atto ma non anche di assegnare alle singole ammissioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute il valore di una confessione resa dalla parte con l’animus confitendi, necessario requisito questo, della confessione.
L’art. 229 c.p.c., infatti, espressamente richiedendo che la confessione sia contenuta in un atto processuale sottoscritto personalmente dalla parte, pone, inequivocamente, una esigenza di specificità della firma che, come è giustificato anche dalla gravità egli effetti giuridici della confessione, si risolve in quella di diretta inerenza esclusiva della firma all’atto ed al suo contenuto, inerenza che non è affatto soddisfatta dalla sottoscrizione della procura scritta a margine o in calce, che, anche quando è scritta nel medesimo foglio, è atto giuridicamente distinto, benché collegato.
Né l’apprezzamento del tribunale sulla efficacia delle ammissioni contenute nella comparsa di risposta è validamente intaccato dall’argomento che fa leva sulla attribuzione al difensore, nel mandato alle liti, di specifica autorizzazione a transigere con conseguente potere di disposizione del diritto controverso e di confessione dei fatti sfavorevoli alla parte rappresentata; infatti tale particolare censura del motivo in esame, che, come si è detto, è esclusivamente prospettato sotto il profilo della violazione di legge (e non sotto il profilo del vizio di motivazione su fatto decisivo della controversia), si basa sulla allegazione di un fatto non accertato dal giudice di merito e non accertabile, per i limiti propri del giudizio di legittimità, in questa sede.
Per quanto concerne, infine, gli scritti difensivi “puri”, la giurisprudenza afferma che le ammissioni ivi contenute non hanno valore confessorio ma costituiscono meri elementi indiziari che possono essere liberamente valutati dal giudice per la formazione del suo motivato convincimento. Ne consegue che incorre nel vizio di violazione di legge la sentenza del giudice del merito che attribuisca valore confessorio alla dichiarazione contenuta nell’atto di citazione senza specificare se esso contenga o meno anche la firma della parte e prescindendo dall’esame della sussistenza o meno dell’animus confitendi, mentre è configurabile vizio di motivazione allorché, mancando la sottoscrizione della parte, il giudice si limiti a fondare il proprio convincimento sull’elemento indiziario costituito dalla ammissione del procuratore, tralasciando completamente altre risultanze probatorie (nella specie: una prova testimoniale) di segno contrario. Cassazione civile , sez. II, 05 maggio 2003, n. 6750 cfr. ex multis Cass. 30.1.69 n. 279; e da ult. n. Cass. 23.7.1997 n. 6909; Cass. 4.6.1998 n. 5485; Cass. 30.3.2001 n. 4727
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