E’ noto che per la quantificazione del danno biologico si è spesso fatto riferimento alle tabelle elaborate dagli uffici giudiziari. Famose quelle di Milano. Ciò, almeno, fino a quando, in materia di danni provocati da veicoli a motore soggetti all’obbligo dell’assicurazione, non è entrata in vigore la legge 57/2001, e, successivamente, il d.lg. 209/105 (codice dell’assicurazione).
E’ altresì noto che le tabelle elaborate dal Tribunale di Milano sono più favorevoli per il danneggiato rispetto a quelle ministeriali.
Ma quid juris per liquidare il danno biologico provocato da un sinistro non stradale? E’ possibile far ricorso alle medesime tabelle?
Con questa interessante sentenza, il Tribunale di Roma (sent. 30/04/2007) risponde positivamente al quesito affermando che il ricorso all’analogia appare giustificato sulla base della considerazione che la legge non detta criterio alcuno per il risarcimento del danno biologico, eccezion fatta per l’ipotesi in cui tale danno sia stato causato da un veicolo a motore soggetto all’obbligo dell’assicurazione. riferimento al risarcimento del danno alla salute causato da sinistri stradali, dall’art. 139 d. lg. 209/05 (codice della assicurazioni), e dei relativi valori monetari dettati dal d.m. 31.5.2006.
Il giudice pertanto, dovrebbe liquidare il danno in esame facendo ricorso al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c.. Tuttavia, tra gli infiniti criteri astrattamente adottabili per procedere alla liquidazione equitativa del danno (media dei precedenti, criterio equitativo puro, costituzione di una rendita, ecc.) nessuno può ritenersi più equo, ovvero meno iniquo, di quello che lo stesso legislatore ha ritenuto di adottare.
REPUBBLICA ITALIANA
In Nome Del Popolo Italiano
IL TRIBUNALE DI ROMA
– Sez. XIII Civile –
in persona del giudice unico, dott. Marco Rossetti, ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nella causa civile in primo grado iscritta al n° 32680/06 del
R.G.A.C., trattenuta in decisione all’udienza del 27.11.2006,
vertente
tra
– S.P., elettivamente domiciliata in Roma, v. E. Q. V. 103, presso
l’Avv. Francesco Maria Segnalini che la rappresenta e difende per
procura apposta in margine all’atto di citazione;
– attrice -;
e
-) P.B., elettivamente domiciliato in Roma, lungotev. F. 26, presso
l’Avv. Francesco Baldi che lo rappresenta e difende per procura
apposta in calce alla copia notificata dell’atto di citazione;
– convenuto -;
OGGETTO: risarcimento danni;
CONCLUSIONI DELLE PARTI: all’udienza del 27.11.2006 le parti
concludevano come da verbale in pari data;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione regolarmente notificato, S.P. conveniva dinanzi a questo Tribunale P.B..
L’attrice esponeva che:
– tra il 2000 ed il 2005 si era sottoposta ad una serie di cure dentarie, eseguite da P.B., consistenti tra l’altro nella esecuzione di cure canalari e nella realizzazione di protesi dentarie;
– tali cure erano state eseguite in modo negligente, ed avevano aggravato le sue condizioni di salute.
Concludeva pertanto chiedendo:
– la risoluzione del contratto concluso col convenuto;
– la restituzione delle somme pagate;
– la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dei fatti sopra descritti.
Il convenuto si costituiva regolarmente, eccependo:
– la inesigibilità della restituzione del compenso professionale già pagato;
– ne merito, l’insussistenza di qualsiasi propria responsabilità.
Nel corso dell’istruzione venivano acquisiti documenti, disposta consulenza tecnica medico-legale sulla persona dell’attore dell’attrice.
Esaurita l’istruzione e precisate le conclusioni, la causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 27.11.2006.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. L’attrice ha domandato la risoluzione ex art. 1453 c.c. del contratto di prestazione d’opera professionale stipulato del convenuto.
Occorre dunque in primo luogo stabilire se inadempimento vi sia stato, se esso sia stato grave ex art. 1455 c.c. e se sia ascrivibile a colpa del convenuto.
1.1. Al primo quesito va data risposta affermativa: dalla consulenza d’ufficio sono infatti emerse varie imprecisioni nell’esecuzione delle prestazioni richieste al convenuto.
Le più gravi di queste sono rappresentate dalla inadeguatezza delle terapie endodontiche effettuate sugli elementi dentari 1.7, 2.4, 2.5, 2.7, 4.4 e 4.5 (cfr. c.t.u., p. 2), ma non lievi vanno ritenute altresì:
(a) la imprecisione nella contornazione del margine delle protesi in metallo ceramica applicate sugli elementi 1.6 e 1.7 (cfr. c.t.u., p. 2);
(b) la inadeguata terapia endodontica degli elementi 3.8 e 4.7, che con alta verosimiglianza ne hanno determinato la successiva estrazione (cfr. c.t.u., p. 5).
1.2. La gravità ex art. 1455 c.c. dell’inadempimento sopra descritto è in re ipsa. La prestazione eseguita dal convenuto è stata infatti sostanzialmente inutile per l’attrice, la quale non solo non ha risolo i propri problemi, ma ha dovuto per effetto di cure incongrue perdere altri due denti, pur essendo già portatrice di una situazione odontostamotologica compromessa.
1.3. Per quanto attiene infine alla colpa, va ricordato che secondo l’ormai consolidato orientamento della Suprema Corte chi lamenta l’inadempimento di una obbligazione contrattuale deve soltanto dimostrare l’esistenza e l’efficacia del contratto, mentre è onere del convenuto dimostrare o di avere adempiuto, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa, ai sensi dell’art. 1218 c.c. (cfr., da ultimo, Cass. sez. un. 30.10.2001 n. 13533, in Dir. e giust., 2001, fasc. 42, 26).
Tali princìpi trovano applicazione anche nell’ipotesi di responsabilità professionale del medico. In questi casi, è dunque onere del medico dimostrare che il danno non sussiste, ovvero non è dipeso da propria colpa (ex permultis, Cass., sez. III, 23-05-2001, n. 7027, in Danno e resp., 2001, 1165; Cass., sez. III, 06-10-1997, n. 9705, in Giust. civ., 1998, I, 424; nonché, per la giurisprudenza di questo Tribunale, ex multis, Trib. Roma 30.11.2003, Plaitano c. Toscana, inedita; Trib. Roma 30.6.2003, Felix c. Marcorelli, inedita; Trib. Roma 1.8.2003, Nardozi c. Diotallevi, inedita).
Ciò, premesso, è agevole rilevare come nel caso di specie il convenuto non ha fornito prova alcuna della propria assenza di colpa.
2. Deve, in definitiva, essere accolta la domanda di risoluzione del contratto.
Dall’accoglimento della domanda di risoluzione discende sul piano degli effetti che:
(a) è dovuta la restituzione delle somme già versate (effetto restitutorio scaturente dalla risoluzione);
(b) è dovuto il risarcimento del danno (effetto risarcitorio scaturente dalla risoluzione).
3. Restituzioni.
Per quanto attiene agli obblighi restitutori scaturenti dalla risoluzione di un contratto di prestazione d’opera professionale, ritiene questo Tribunale che il medico sia tenuto alla restituzione del corrispettivo ricevuto, a nulla rilevando che la prestazione da lui resa non sia ripetibile in natura. Ostano all’accoglimento della conclusione contraria (sostenuta da Trib. Roma 30.6.2004, in Giurispr. romana, 2004, 367, invocata da parte convenuta), almeno due rilievi.
Innanzitutto, l’irripetibilità dell’onorario già pagato dal cliente contrasta con l’esigenza di salvaguardare il sinallagma tra le reciproche prestazioni. Se si ritenesse irripetibile l’onorario versato dal paziente, infatti, quest’ultimo verrebbe costretto a pagare una prestazione inutile, se non dannosa. Si consideri, del resto, che il controvalore pecuniario di una prestazione professionale che abbia arrecato un danno alla salute del paziente non può non essere pari a zero, e dunque per esso non sarebbe dovuto alcun corrispettivo.
In secondo luogo v’è da considerare che, se prima della risoluzione del contratto il cliente ancora non abbia pagato l’onorario professionale, egli potrebbe legittimamente rifiutare tale pagamento, ai sensi dell’articolo 1460 c.c.. Appare pertanto illogico, a fronte dell’inadempimento del professionista, consentire al cliente di non pagare l’onorario se il contratto è ancora in vita, e fargli perdere l’onorario già pagato se il contratto è risolto.
Deve, pertanto, concludersi che il paziente non è tenuto a versare al medico libero professionista il corrispettivo pattuito e, se versato, ha diritto a pretenderne la restituzione, quando l’intervento sia stato eseguito in modo imperito (così Trib. Roma 20.10.2003, in Giurispr. romana, 2004, fasc. 12).
Nel caso di specie, parte attrice ha dimostrato di avere versato a più riprese al convenuto la somma complessiva di euro 8.447,79 (cfr. all.ti 7-11 fasc. attoreo).
Poiché l’obbligo restitutorio scaturente dalla risoluzione del contratto ha natura di obbligazione di valuta e non di valore (Cass., sez. un., 04-12-1992, n. 12942, in Foro it., 1993, I, 401), l’importo suddetto non deve essere rivalutato, mentre sono dovuti gli interessi nella misura legale con decorrenza dalla data della solutio, e cioè:
– su euro 3.253,68 dal 8.11.2000;
– su euro 1.032,91 dal 24.11.2000;
– su euro 2.374,41 dal 28.3.2001;
– su euro 515,17 dal 4.5.2001;
– su euro 516,46 dal 10.10.2001;
– su euro 101,29 dal 4.3.2004;
– su euro 201,29 dal 8.3.2004;
– su euro 351,29 dal 19.7.2004 .
4. Risarcimento del danno.
Il danno patito da S.P. deve così liquidarsi:
4.1. Danno alla persona:
secondo le conclusioni cui è pervenuto il Consulente Tecnico d’Ufficio, in conseguenza del fatto di cui è causa S.P. ha subìto un evento biologico, inteso quale lesione della struttura complessa dell’organismo umano, consistito nella perdita di due elementi dentari (3.8 e 4.7); nella grave compromissione degli elementi 1.6 ed 1.7; nella necessità di ritrattamento dell’elemento 2.7.
Tale evento biologico si sostanzia in una lesione della salute così quantificata dal C.T.U.:
-) 7% di invalidità permanente, riducibile al 2% attraverso le cure opportune;
-) 0 giorni di invalidità temporanea assoluta;
-) 35 giorni di invalidità temporanea relativa al 50%.
Le conclusioni cui è pervenuto il C.T.U. non sembrano congruamente motivate e pienamente condivisibili.
4.2. Per quanto concerne il grado di invalidità permanente che sarebbe residuato ai futuri interventi correttivi, era stato domandato all’ausiliario di determinarlo facendo riferimento al Baréme curato da Bargagna ed all., Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente, Milano 1996. Secondo tale autorevole criterio nosografico, la perdita di un elemento dentario protesizzabile comporta una invalidità dell’1%. Nel caso di specie gli elementi perduti sono stati 3 (cfr. c.t.u., p. 7), ed a tale danno deve aggiungersi quello da indebolimento degli impianti fissi preesistenti.
Pertanto, tenendo conto del fatto che il grado complessivo di invalidità permanente, nel caso di lesioni monocrone concorrenti è funzione, e non somma, delle singole invalidità, il grado complessivo di i.p. che residuerà agli interventi di protesizzazione degli elementi mancanti va determinato più appropriatamente nella misura del 4%.
4.4. Le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u. non possono essere condivise nemmeno per quanto concerne la durata della invalidità temporanea.
Secondo la costante giurisprudenza di questo Tribunale, nel caso in cui il danno alla salute sia emendabile con appositi interventi, il danno biologico risarcibile è costituito dal grado di invalidità permanente che presumibilmente residuerà all’intervento, mentre il costo di quest’ultimo va liquidato a titolo di risarcimento del danno patrimoniale (ex multis, Trib. Roma 25.1.2004, Giuliani c. Milano, inedita; Trib. Roma, 17-07-1998, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1999, 798, nonché in Dir. ed economia assicuraz., 1999, 680).
Tuttavia dal momento del fatto illecito sino alla pronuncia della presente sentenza (e cioè fino al momento della aestimatio del danno e della condanna al relativo risarcimento) S.P. ha dovuto comunque sopportare in corpore una menomazione più grave (7% di invalidità permanente) di quella posta a base della liquidazione (4% di invalidità permanente). Questo pregiudizio costituisce una forma di invalidità temporanea relativa, che potremmo definire “danno funzionale temporaneo”, e rappresenta un danno biologico meritevole di risarcimento.
Per la aestimatio di tale danno, può stimarsi la maggior invalidità temporanea patita dall’attrice nelle more tra il fatto illecito e la data odierna in misura pari al 3% della totale, per un periodo di 2.043 giorni, e cioè quanti ne sono trascorsi tra il 10.10.2001 ed oggi.
4.5. Pertanto, in ragione delle considerazioni che precedono e di quanto risulta dagli atti, si ritiene corretto quantificare la lesione della salute residuata a S.P., in conseguenza del sinistro di cui è causa, come segue:
– 4%, di invalidità permanente;
– 0 giorni di invalidità temporanea assoluta;
– 35 giorni di invalidità temporanea relativa al 50%;
– 2043 giorni di invalidità temporanea relativa al 3%.
Di conseguenza, tenuto conto della gravità effettiva delle lesioni e dell’età del soggetto leso; posto in relazione il concreto evento biologico con il quadro completo delle funzioni vitali in cui poteva e potrà estrinsecarsi l’efficienza psicofisica del danneggiato, si ritiene equo ex art. 1226 c.c. liquidare il danno alla persona nel caso concreto, secondo l’insegnamento del giudice di legittimità (Cass., sez. III, 11-08-2000, n. 10725; Cass., sez. III, 25-05-2000, n. 6873; Cass., sez. III, 13-04-1995, n. 4255, in Resp. civ., 1995, 519; Cass., sez. III, 18-02-1993, n. 2008, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 1993, 790), come segue:
1) a titolo di risarcimento di quell’aspetto del danno non patrimoniale rappresentato dalla lesione permanente dell’integrità psicofisica, nella misura di euro 3.328,52 attuali (pari a euro 832,13 per ogni punto di invalidità permanente, valore che nel caso di specie si ritiene costituire un equo ristoro del pregiudizio personale subìto dal danneggiato).
Si perviene a tale valore facendo applicazione analogica (analogia legis) del criterio dettato, con riferimento al risarcimento del danno alla salute causato da sinistri stradali, dall’art. 139 d. lg. 209/05 (codice della assicurazioni), e dei relativi valori monetari dettati dal d.m. 31.5.2006.
Il ricorso all’estensione analogica delle norme appena ricordate appare doveroso in base alle seguenti considerazioni.
La legge non detta criterio alcuno per il risarcimento del danno biologico, eccezion fatta per l’ipotesi in cui tale danno sia stato causato da un veicolo a motore soggetto all’obbligo dell’assicurazione.
Questo Tribunale, pertanto, dovrebbe liquidare il danno in esame facendo ricorso al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c.. Tuttavia, tra gli infiniti criteri astrattamente adottabili per procedere alla liquidazione equitativa del danno (media dei precedenti, criterio equitativo puro, costituzione di una rendita, ecc.) nessuno può ritenersi più equo, ovvero meno iniquo, di quello che lo stesso legislatore ha ritenuto di adottare.
2) A titolo di risarcimento di quell’aspetto del danno non patrimoniale rappresentato dalla invalidità temporanea, appare equo liquidare a S.P. la somma di euro 3.164,21 attuali (pari a euro 40,16 per ogni giorno di invalidità assoluta, proporzionalmente ridotti in funzione del grado percentuale della invalidità medesima). Anche in questo caso si perviene a tale importo facendo applicazione analogica dei criteri stabiliti dal ricordato d.m. 31.5.2006, per le ragioni già esposte.
3) Poiché l’illecito civile di cui è causa integra gli estremi del reato di cui all’art. 590 c.p. (e comunque, anche a prescindere dall’esistenza di reato, trattasi di illecito che ha leso interessi della persona di rango costituzionale, e quindi obbliga l’offensore al ristoro del danno morale anche a prescindere dall’esistenza di un reato, secondo il più recente orientamento del giudice di legittimità: cfr. Cass. 31.5.2003 n. 8827 e Cass. 31.5.2003 n. 8828, nonché Corte cost. 11.7.2003 n. 233), ha altresì diritto al risarcimento di quell’aspetto del danno non patrimoniale rappresentato dalla sofferenza morale in senso stretto.
Considerata la natura del fatto, i postumi del sinistro, la durata prolungata delle cure, la circostanza che la imperizia del convenuto ha costretto l’attrice a patire l’estrazione di due elementi dentari (più un terzo che dovrà essere estratto in futuro), notoriamente dolorosa e stressante anche da un punto di vista psicologico; la giovane età ed il sesso dell’attrice, circostanze rilevanti in questa sede essendo notorio (art. 116 c.p.c.) che per le persone di sesso femminile e di giovane età la eumorfia del proprio aspetto costituisce fonte di gratificazione morale e di benessere psichico, appare equo liquidare tale danno nella misura di euro 5.000 attuali.
4.6. Danno patrimoniale.
Per le spese mediche da sostenere in futuro in conseguenza dei fatti di causa, letta e valutata la documentazione allegata, appare equo liquidare all’attrice la somma di euro attuali.
Si perviene a tale importo sommando:
(a) l’importo di euro 8.955 indicato dal c.t.u., che può ritenersi congruo;
(b) l’importo di euro 1.000 (pari ad euro 200 per ogni dente) per la cura degli elementi 2.4, 2.5, 2.7, 4.4 e 4.5, che il c.t.u. ha riconosciuto essere stati oggetto di terapie endodontiche incongrue, omettendo però di indicare il costo delle terapie necessarie per sanare tali “incongruenze”.
4.7. Alla danneggiata va inoltre attribuita la somma di euro 3.418,85 a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante consistito nel mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento, somma che – ove posseduta ex tunc – sarebbe stata presumibilmente investita per ricavarne un lucro finanziario.
Tale importo è stato determinato equitativamente ex art. 2056 co. I c.c., secondo l’insegnamento della S.C. (cfr. Cass. Sez. Un. 17 febbraio 1995, n. 1712), col metodo seguente:
– a base di calcolo si è assunta non la somma sopra liquidata (cioè espressa in moneta attuale), ma una somma pari alla media tra l’ammontare del risarcimento devalutato all’epoca in cui è sorto il credito (in base all’indice FOI elaborato dall’Istat), e l’ammontare del risarcimento espresso in moneta attuale;
– su tale importo si è applicato un saggio di rendimento ricavato – equitativamente – dalla media ponderata del rendimento dei titoli di stato e dal tasso degli interessi legali (3,00%), in base alla considerazione che parte attrice, se fosse tempestivamente entrata in possesso della somma a lei spettante a titolo di risarcimento, l’avrebbe verosimilmente impiegata (arg. ex art. 2727 c.c.) nelle più comuni forme di investimento accessibili al piccolo risparmiatore (BOT, CCT, obbligazioni);
– il periodo di temporanea indisponibilità della somma liquidata a titolo di risarcimento è stato computato con decorrenza dalla data dell’illecito, individuata nel 10.10.2006 .
Sull’intera somma liquidata a titolo di risarcimento, pari a euro 24.866,58, decorrono gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza.
5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
-) condanna P.B. alla restituzione in favore di S.P. della somma di euro 8.447,79, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna P.B. al pagamento in favore di S.P. della somma di euro 24.866,58, oltre interessi come in motivazione;
-) condanna P.B. alla rifusione in favore di S.P. delle spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 2960 per spese (comprensive di compenso al c.t.u. ed al c.t.p.); euro 1258 per diritti di procuratore; euro 2907 per onorari di avvocato, per complessivi euro 7125, oltre spese generali ex art. 14 d.m. 8.4.2004 n. 127, I.V.A. e C.N.A..
Così deciso in Roma, nella tredicesima sezione civile del Tribunale, addì 30.4.2007.
Il Giudice est.
(dott. Marco Rossetti)
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spero vi sia utile!
Cordiali Saluti,
Avv. Mengoni
verament euna sentenz ailluminante riportata in un buon articolo, sentenz ache chiarisce molto i vari tipi di danno, grazie