Povero danno morale. Di lui, oggi, rimane ben poco, essendo stato fagocitato dal danno biologico e svilito, negli altri casi, a elemento per la quantificazione dell’intero danno non patrimoniale.
Vediamo perché.
In caso di uccisione del prossimo congiunto si era giunti, dopo tanto penare, ad un orientamento solido in Cassazione. Al prossimo congiunto spettava a titolo di danno non patrimoniale:
– il danno morale;
– il danno da perdita del rapporto parentale;
– (ed eventualmente) il danno biologico, nel caso in cui alla perdita del rapporto conseguiva anche una lesione dell’integrità psicofisica.
Avevamo letto in particolare in Cassazione Civile n. 22884/2007:
- che l’interesse al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, per la definitiva perdita del rapporto parentale, era ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost. e si concretizzava nell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e all’inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia;
- che esso si collocava nell’area del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., in raccordo con le suindicate norme della costituzione;
- che esso si distingueva sia dall’interesse al “bene salute”, (protetto dall’art. 32 Cost. e tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse, all’integrità morale (protetto dall’art. 2 Cost,. e tutelato attraverso il risarcimento del danno morale soggettivo) (Cass. 19/08/2003, n. 12124; Cass. n. 8828/2003).
Nella fattispecie decisa dalla Corte, il giudice di appello aveva liquidato agli attori, rispettivamente in L. 150 milioni per il coniuge e L. 50 milioni per il figlio, il danno “essenzialmente morale e consistente nel dolore per la scomparsa nella loro vita di una presenza familiare importante”.
La sentenza era stata pertanto cassata, in quanto nella predetta motivazione non era indicato se il giudice, nella liquidazione dell’unitario danno non patrimoniale, avesse tenuto conto solo delle sofferenze morali degli attori, danneggiati dalla morte del congiunto, o anche (in tutto o in parte) dei profili di danno non patrimoniale derivanti dalla perdita del rapporto parentale, con i conseguenti pregiudizi alla quotidianità della vita, quale si era in precedenza instaurata.
Oggi, se la sentenza delle Sezioni Unite farà giurisprudenza (ma ciò, a mio avviso, non è così scontato) le cose cambieranno. Leggiamo infatti che “determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.
Ma in pratica cosa cambia?
Prima, il giudice avrebbe dovuto liquidare il danno non patrimoniale tenendo in considerazione sia il danno morale, sia il danno da perdita del rapporto parentale. Non era necessario distinguere in motivazione o in dispositivo gli importi, ma era comunque essenziale dimostrare di avere tenuto conto di entrambi i danni.
Oggi, liquidare 100 a titolo di danno morale e danno da perdita del rapporto parentale, o, peggio, 20 a titolo dell’uno e 80 a titolo dell’altro determina una duplicazione di risarcimenti.
Quindi?
Quindi, se la Corte sarà coerente con il principio affermato, tutte le sentenze che oggi attendono una decisione in Cassazione e che hanno riconosciuto tanto il danno morale, quanto il danno da perdita del rapporto parentale verranno cassate.
Rimane un piccolo spazio in caso di morte avvenuta a breve distanza dalla lesione: in tali casi, affermano le Sezioni Unite, il giudice potrà “riconoscere e liquidare il solo danno morale, a ristoro della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche, alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, che sia rimasta lucida durante l’agonia in consapevole attesa della fine”. Viene da chiedersi: come si fa ad accertare che la vittima è rimasta “in consapevole attesa della fine”? Dunque il danno morale di chi fino alla fine ha sperato nella salvezza non va risarcito?
Quell’inciso “lucida consapevole attesa della fine” è davvero fuori luogo, inutile, fuorviante. E già mi immagino le battaglie in tribunale: “signor giudice, gli eredi di Tizio non hanno diritto al risarcimento del danno morale, perché il de cujus ha perso subito i sensi prima di morire e dunque non è stato in consapevole attesa della fine!”.
Che tristezza.
Stessa sorte subiranno le sentenze (cioè tutte) che hanno riconosciuto il danno morale separatamente dal danno biologico. Affermano le Sezioni Unite che ove siano dedotte degenerazioni patologiche della sofferenza “si rientra nell’area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. Pertanto “determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.
Insomma, il danno biologico si è fagocitato il danno morale. Ne valeva davvero la pena?
Di certo, qualcuno sta brindando.
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Interessante articolo che sviluppa approfonditamente il danno patrimoniale.
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spero vi sia utile!
Cordiali Saluti,
Avv. Mengoni
verament euna sentenz ailluminante riportata in un buon articolo, sentenz ache chiarisce molto i vari tipi di danno, grazie