Estratto dall’ebook “COME SI CONTESTA UNA CTU“.
8. LA NULLITA’ DELLA RELAZIONE
Al pari di tutti gli atti processuali anche la relazione del CTU può essere (e molto spesso in effetti lo è) viziata. L’invalidità di un atto processuale è costituita dalla maggiore o minore difformità dello stesso rispetto al modello che lo prevede e, in funzione del grado di difformità, si parla di irregolarità, nullità o inesistenza[1].
L’irregolarità è caratterizzata da una minima difformità rispetto al modello, che non pregiudica la validità dell’atto processuale, né incide sui requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo dell’atto.
La nullità è costituita da una difformità dell’atto rispetto al modello, tale da non impedire il passaggio in giudicato della sentenza che ne sia affetta, ove non fatta valere con l’impugnazione (conversione della nullità della sentenza in vizi di gravame: art. 161, comma 1, c.p.c.).
L’inesistenza è ravvisata nelle ipotesi in cui l’atto processuale manca totalmente degli estremi e dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come atto del tipo o della figura giuridica considerati, ovvero se sia inidoneo non solo a produrre gli effetti processuali propri degli atti riconducibili a detto tipo o figura, ma persino ad essere preso in considerazione sotto il profilo giuridico (cosi, in motivazione, Cass. S.U. n. 9859 del 1997), con la conseguenza che l’inesistenza dell’atto impedisce che la sentenza, che sullo stesso si fonda, possa passare in giudicato, e con l’ulteriore conseguenza che tale inesistenza, può essere fatta valere con autonoma querela nullitatis, oltre che con i normali mezzi di impugnazione.
Irregolarità e inesistenza, con riferimento alla CTU, sono ipotesi di scarsa rilevanza: la prima, perché non produce conseguenze pratiche. La seconda perché è molto rara.
Assai maggiori le ipotesi di vizi che generano nullità. Tuttavia, in tema di vizi della consulenza assistiamo ancora una volta ad un incomprensibile atteggiamento della S.C., secondo cui tutti i vizi – n.b.: tutti – sono sempre relativi e quindi sanati se non tempestivamente eccepiti[2].
In altre parole, una consulenza tecnica che abbia valutato danni mai allegati dalla parte o ancora una consulenza tecnica che si fondi su documenti irritualmente introdotti durante le operazioni, sarebbe sanata dalla mancata tempestiva contestazione. Del che bisognerebbe spiegare per quale ragione il principio di preclusione – assertiva e probatoria – dovrebbe operare in maniera diversa a seconda che nel processo sia o non sia disposta una consulenza tecnica, tanto che, ad esempio, il documento depositato tardivamente sarebbe sempre e comunque inutilizzabile dal giudice nei procedimenti senza CTU, a prescindere dall’avvenuta o meno contestazione dell’altra parte; mentre potrebbe essere posto a fondamento della decisione se consegnato o acquisito dal consulente tecnico, in assenza di tempestiva contestazione[3].
In realtà una ragione non c’è. I principi fondamentali che reggono il processo civile sono sempre gli stessi, sia che venga nominato un CTU, sia che non venga nominato.
Ma torniamo ai vizi della consulenza, che possono distinguersi in formali e procedurali. Vizi formali sono ad esempio la mancata sottoscrizione da parte del consulente della relazione o del verbale di udienza, ovvero la redazione della perizia in lingua non italiana. Sono rari o ipotesi di scuola e ci interessano poco. Ben più frequenti sono i vizi procedurali. Esaminiamo dapprima le ipotesi più ricorrenti che, tuttavia, secondo la giurisprudenza non determinano la nullità della relazione.
La Corte ha affermato che non costituiscono ipotesi di nullità:
- la mancanza o l’invalidità della iscrizione nell’albo dei consulenti tecnici[4];
- la mancata prestazione del giuramento[5];
- la mancata sottoscrizione del verbale[6];
- il tardivo deposito della relazione[7];
- l’omesso deposito di campioni[8];
- il mancato avviso della data per la prosecuzione delle indagini[9];
- il mancato avviso alla parte contumace[10];
- l’omessa verbalizzazione delle operazioni compiute senza l’intervento del giudice[11];
- la mancata verbalizzazione delle istanze e delle osservazioni delle parti[12];
- la partecipazione di un consulente di parte non formalmente nominato[13];
- l’omessa trasmissione della relazione alle parti prima del deposito, così come disposto dal giudice[14];
- L’assenza del P.M. nei procedimenti in cui l’intervento è obbligatorio, all’udienza di conferimento dell’incarico al consulente e per la conseguente omissione della sua firma sul documento oggetto di querela[15].
Costituiscono invece ipotesi di nullità relativa:
- l’inosservanza di una norma di legge professionale che vieta alla categoria professionale cui appartiene il consulente di occuparsi di determinate materie[16];
- il mancato avviso alle parti dell’inizio delle operazioni peritali[17];
- il mancato avviso alle parti della prosecuzione delle operazioni, qualora dopo il loro rinvio ad una data determinata il consulente proceda ad un’ulteriore operazione peritale in data anticipata rispetto a quella fissata, sempre che ciò abbia comportato, in relazione alle circostanze del caso concreto, un pregiudizio al diritto di difesa[18];
- la partecipazione senza autorizzazione di un collaboratore ad un sopralluogo, in luogo del consulente d’ufficio, ove si traduca in una violazione in concreto del diritto di difesa[19];
- l’accertamento di fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni il cui onere probatorio incombe sulle parti e lo sconfinamento dai limiti del mandato[20];
- l’utilizzo di documenti non ritualmente depositati[21];
- nel rito del lavoro, il deposito della relazione oltre dieci giorni prima della nuova udienza di discussione[22];
- nel procedimento per la declaratoria dello stato di adottabilità di un minore, introdotto posteriormente al 1° luglio 2007, lo svolgimento della consulenza senza la nomina del difensore ai genitori[23].
Di recente la S.C. ha precisato che se una parte dell’attività di accertamento e rilevazione dei dati compiuta dal consulente tecnico sia invalida, perché svolta in violazione del principio del contraddittorio e al di fuori del necessario controllo delle parti, il vizio non si traduce in una nullità che possa assumere rilevanza qualora quella frazione di attività non si sia riverberata sull’atto conclusivo, consistente nella relazione di consulenza[24].
[1] V. Cass. 16/2000.
[2] Cass. 5422/2002: «In materia di procedimento civile, tutte le ipotesi di nullità della consulenza tecnica – ivi ricompresa quella dovuta all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – hanno carattere relativo e devono essere fatte valere nella prima udienza successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate».
[3] Cass. 25242/2006: «Con riguardo ai procedimenti pendenti alla data del 30 aprile 1995 – per i quali trovano applicazione le disposizioni di cui agli art. 183 e 184 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla “novella” di cui alla legge n. 353 del 1990 (art. 9 d.l. n. 432 del 1995, conv. nella legge n. 534 del 1995) – il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del giudizio di primo grado risulta posto a tutela della parte destinataria della domanda; pertanto, la violazione di tale divieto – pur essendo rilevabile anche d’ufficio, non essendo riservata alle parti l’eccezione di novità della domanda – non è tuttavia sanzionabile in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte medesima, consistente nell’accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implichi l’accettazione. A tal fine, l’apprezzamento della concludenza del comportamento della parte, riservato al giudice di merito, va compiuto attraverso una seria indagine sulla significatività dello stesso, senza che assuma rilievo decisivo il semplice protrarsi del difetto di reazione alla domanda nuova, o – qualora questa sia formulata all’udienza di precisazione delle conclusioni – il mero silenzio della parte contro la quale la domanda è proposta, sia essa presente, o meno, a detta udienza. Viceversa, il regime di preclusioni introdotto dalla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 deve ritenersi inteso non solo a tutela dell’interesse di parte ma anche dell’interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, con la conseguenza che la tardività di domande, eccezioni, allegazioni e richieste deve essere rilevata d’ufficio dal giudice indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte al riguardo» (Nella specie, è stato escluso che potesse integrare accettazione del contraddittorio il silenzio della controparte nelle due udienze successive alla proposizione della domanda nuova); v. anche Cass. 6238/2000; Cass. 8531/1999.
[4] Cass. 14906/2011.
[5] Cass. 14906/2011; Cass. 2460/1967; Cass. 1531/1970; Cass. 3907/1974.
[6] Cass. 10386/1996.
[7] Cass. 2746/1986.
[8] Cass. 241/1978.
[9] Cass. 11786/2003; Cass. 4821/1993; Cass. 3615/1990.
[10] Cass. 12578/1991.
[11] Cass. 3680/1999.
[12] Cass. 3680/1999.
[13] Cass. 9231/2001.
[14] Cass. 5897/2011.
[15] Cass. 25722/2008.
[16] Cass. 23504/2007
[17] Cass. 5762/20005; id. 14483/1999.
[18] Cass. 18598/2008.
[19] Cass. 13428/2007.
[20] Cass. 1020/2006; contra Cass. 7936/1987.
[21] Cass. 13401/2005; Cass. 12231/2002.
[22] Cass. 22708/2010.
[23] Cass. 20625/2009.
[24] Cass. 16441/2001.
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