Filtro in appello: per la Corte d’appello di Reggio Calabria va interpretato in maniera restrittiva

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Come va interpretata la “non ragionevole probabilità di accoglimento” di cui all’art. 348 bis c.p.c.?

Secondo la Corte di appello di Reggio Calabria la disposizione, inserita dall’art. 54 comma 1 lett. a) d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. con mod. in l. 7 agosto 2012 n. 134, e che si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge suddetta (ossia dall’11 settembre 2012), là dove fa riferimento alla “non ragionevole probabilità di accoglimento” dell’appello va intesa in termini restrittivi, nel senso di circoscrivere l’operatività del filtro ai soli appelli pretestuosi o manifestamente infondati (sia per ragioni di rito che per ragioni di merito).

In favore di tale interpretazione depongono sia (a) il dato letterale dell’art. 348-bis, in base al quale è sufficiente, per evitare la pronunzia di inammissibilità, che l’appello abbia anche una sola probabilità di accoglimento, (b) sia criteri di ordine logico-sistematico, data la prevista adozione in luogo della forma (più impegnativa) della sentenza dello strumento (più agile) dell’ordinanza succintamente motivata (che ben si attaglia agli appelli che non hanno alcuna chance di accoglimento), (c) sia ancora la ratio legis (in considerazione, per un verso, della funzione acceleratoria attribuita al filtro, e per altro verso dell’effetto, non voluto dal legislatore, dell’aumento esponenziale dei ricorsi per cassazione, che inevitabilmente provocherebbe l’allargamento delle “maglie” del filtro in appello).

 

Corte appello Reggio Calabria

28 febbraio 2013

CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRIA

Sezione civile

La Corte d’appello di Reggio Calabria, sezione civile, riunita in

camera di consiglio con l’intervento dei signori magistrati:

dott. Andrea Pastore – Presidente

dott. Gaetano Amato – consigliere

dott. Antonella Stilo – consigliere est.

ha pronunciato la seguente

ordinanza

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 429/2012 R.G.

App., vertente

TRA

M.C., nata a San Pietro di Caridà il 7 febbraio 1939

(c.f.: …), rappresentata e difesa per procura in atti dall’avv.

Franco Grillari, ed elettivamente domiciliata in Reggio Calabria,

via S. A. n. 38, presso lo studio dell’avv. M. Pedone;

appellante

E

Curatela del Fallimento di S.F., in persona del curatore avv.

M.A.E., rappresentata e difesa per procura in atti dall’avv.

Francesca Orefice, ed elettivamente domiciliata in Reggio Calabria,

via G. S. n. 14/B, presso lo studio dell’avv. Giovanna Morello;

appellata

NONCHE’

D.A., D.D., D.G., D.M.F., S.M.C., R.A., D.S., D.S., D.G., L.P.,

L.P., L.P., L.A., L.C.A., S.G.;

appellati contumaci

Letti gli atti e sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 28

febbraio 2013;

osserva

(Torna su ) FATTO

§1. Giova premettere ai fini della decisione che ai sensi dell’art. 348-bis comma 1 c.p.c., “Fuori dai casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello, l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”.

La disposizione, inserita dall’art. 54 comma 1 lett. a) d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. con mod. in l. 7 agosto 2012 n. 134, e che si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge suddetta (ossia dall’11 settembre 2012), ruota dunque intorno al concetto della “non ragionevole probabilità di accoglimento” dell’appello.

Tale formula, ad avviso della Corte, va intesa in termini restrittivi, nel senso di circoscrivere l’operatività del filtro ai soli appelli pretestuosi o manifestamente infondati (sia per ragioni di rito che per ragioni di merito).

In favore di tale interpretazione depongono invero sia il dato letterale dell’art. 348-bis, in base al quale è sufficiente, per evitare la pronunzia di inammissibilità, che l’appello abbia anche una sola probabilità di accoglimento, sia criteri di ordine logico-sistematico, data la prevista adozione in luogo della forma (più impegnativa) della sentenza dello strumento (più agile) dell’ordinanza succintamente motivata (che ben si attaglia agli appelli che non hanno alcuna chance di accoglimento), sia ancora la ratio legis (in considerazione, per un verso, della funzione acceleratoria attribuita al filtro, e per altro verso dell’effetto, non voluto dal legislatore, dell’aumento esponenziale dei ricorsi per cassazione, che inevitabilmente provocherebbe l’allargamento delle “maglie” del filtro in appello).

§2. Tanto premesso, è da rilevare che nel caso in esame il Tribunale di Palmi ha rigettato la domanda proposta da M.C. al fine di conseguire la declaratoria dell’intervenuto acquisto per usucapione della proprietà del fabbricato sito in S. Pietro di Caridà, e catastalmente identificato al foglio 8, particella 703, sub 3, 4, 5, 6 e 7, sulla base delle seguenti argomentazioni:

i) l’attrice “ha inizialmente affermato di essere in possesso del bene per cui è causa quantomeno a far data dal 1982, data coincidente con la scrittura privata con cui essa ha acquistato la proprietà del suolo su cui poi sarebbe stato edificato il fabbricato” oggetto di domanda;

ii) successivamente, a seguito delle contestazioni mosse dalla Curatela del Fallimento di S.F., nella memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c., ha precisato la domanda nel senso che il suo possesso era iniziato in ogni caso all’inizio degli anni ’80, e che la scrittura de qua ne rappresentava esclusivamente la sua ufficializzazione;

iii) la scrittura privata in questione risale al 1992 e non al 1982;

iv) appare inverosimile che si intenda con essa formalizzare un possesso già acquisito a distanza di ben 10 anni;

v) in ogni caso è da escludere che alla data di instaurazione del giudizio l’attrice possa aver esercitato un possesso ultraventennale sul fabbricato, posto che lo stesso nel 1992 doveva essere ancora edificato a cura del venditore S.F. (cfr. scrittura di vendita in atti);

vi) le testimonianze rese nel corso dell’istruttoria appaiono temporalmente contraddittorie ed in ogni caso generiche, avendo i testimoni asserito che la M. abita nel fabbricato in controversia “da una vita” (cfr. dichiarazioni del teste L.R.), ovvero da circa quarant’anni (v. dichiarazioni del teste T.P.A.);

vii) non può invocarsi l’istituto dell’accessione del possesso ex art. 1146 comma 2 c.c., non essendo stata fornita a monte la prova del possesso del fabbricato in capo al venditore, e non potendosi all’uopo ritenere sufficiente il titolo di proprietà (peraltro, limitato ad una quota, per come dedotto dall’attrice).

§3. M.C. ha proposto appello avverso tale sentenza, affidandosi ad un unico articolato motivo, con il quale ha in sintesi sostenuto:

a) che il Tribunale ha erroneamente ritenuto non provata la domanda di usucapione, sul presupposto della contraddittorietà e della genericità delle dichiarazioni testimoniali;

b) che il giudice di primo grado non ha infatti tenuto conto che si tratta “di dichiarazioni precise e concordanti sulla durata del possesso utile ad usucapionem e sulle modalità di esercizio pubblico ed esclusivo del possesso”, e che quantificare (coma fa il teste T.P.) in “circa quarant’anni” la durata del possesso significa indicare un periodo di tempo sufficientemente preciso, certamente più ampio di quello richiesto dall’art. 1158 c.c., che coincide con l’affermazione (dell’altro teste) secondo cui tale possesso dura “da una vita”;

c) che con le scritture del 18.01.1992 e del 18.09.1992, prodotte in primo grado, si è inteso semplicemente consacrare la sua immissione nel possesso dell’immobile, in realtà avvenuta di fatto all’inizio degli anni ’80;

d) che, anche a voler far risalire il suo possesso all’anno 1992, trova ad ogni modo applicazione, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’istituto dell’accessione del possesso, dato il tenore dell’atto per notaio M.C. del 15.04.1972 (con cui L.P. ha venduto a S.F. la propria quota indivisa pari ad 1/3 di 14/30 della particella 100 del foglio 8, da cui è derivata la particella 678, e successivamente l’attuale particella 703), evincendosi da tale atto che lo Spagnolo è nel possesso dell’immobile sin dal 15 aprile 1972, e che ha demolito il precedente fabbricato e costruito il fabbricato attuale per conto della stessa M., cui ha ceduto poi il possesso.

§4. L’appello è manifestamente infondato, e va pertanto dichiarato inammissibile.

Tale decisione si fonda sulle medesime ragioni, inerenti alle questioni di fatto, addotte dal Tribunale a sostegno della sentenza impugnata.

Ed infatti, il giudice di primo grado ha, del tutto correttamente, ritenuto:

i) che la scrittura privata di vendita del suolo sul quale è stato poi edificato il fabbricato per cui è causa risale al 1992 e non 1982, così come dedotto in citazione;

ii) che è inverosimile che con la scrittura privata de qua si sia inteso “ufficializzare” un possesso già acquisito ben dieci anni prima;

iii) che le dichiarazioni dei testimoni non sono idonee a dimostrare il possesso ultraventennale del fabbricato (essendo oltretutto dette dichiarazioni documentalmente smentite dalla scrittura di vendita del 1992 in atti, da cui si desume che all’epoca il fabbricato doveva ancora essere ancora edificato, per cui non è configurabile all’atto del deposito dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado il dedotto possesso ultraventennale del fabbricato medesimo);

iii) che è inapplicabile l’istituto dell’accessione del possesso, giacché difetta la prova del possesso del fabbricato oggetto di domanda in capo a S.F., emergendo dall’atto notarile del 15 aprile 1972 semplicemente il trasferimento allo Spagnolo della proprietà e del possesso di una quota indivisa, pari ad 1/3 di 14/30, sul “fondo Castello”, allora identificato catastalmente con la particella 100 del foglio 8.

Ciò posto, deve dunque ribadirsi che l’appello in esame non ha alcuna ragionevole probabilità di accoglimento.

§5. Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in applicazione dei parametri introdotti dal decreto del Ministro per la giustizia del 20 luglio 2012 n. 140 come da dispositivo. Peraltro, ai sensi dell’art. 133 T.U. 115/2002, considerato che la Curatela è ammessa al patrocinio a spese dello Stato, il pagamento delle spese processuali dovrà essere eseguito a favore dello Stato.

(Torna su ) P.Q.M.

P.Q.M.

La Corte, visto l’art. 348-bis c.p.c.,

-dichiara inammissibile l’appello proposto, avverso la sentenza del Tribunale di Palmi n. 7/12 del 10.01/13.01.2012, da M.C. nei confronti della Curatela del Fallimento di S.F., in persona del curatore avv. M.A.E., e di D.A., D.D., D.G., D.M.F., S.M.C., R.A., D.S., D.S., D.G., L.P., L.P., L.P., L.A., L.C.A., S.G.;

-condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate in complessivi euro 2.160,00, oltre CPA ed IVA, disponendo che il pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 133 TU 115/2002, sia eseguito a favore dello Stato.

Così deciso in Reggio Calabria, nella camera di consiglio della sezione civile della Corte di Appello, in data 28 febbraio 2013.

Il Presidente

dott. Andrea Pastore


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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5 commenti:

  1. Carlo

    sarà un caso, ma l’inizio del declinio dell’avvocatura (il vero declinio) è iniziato circa 15 anni fa, più o meno in concomitanza con l’istituzione dei GdP

  2. Emanuele Mori

    Cfr. il parere del CSM 22.2.1012 (sul sito istituzionale), ed in particolare la nota :

    “7 L’occasione potrebbe portare ad una rimodulazione del’art. 342 cpc, codificando i principi tralatici
    dell’interpretazione giurisprudenziale sui motivi di appello, in ordine alla necessità di un’esatta individuazione dei capi e punti di sentenza su cui si vuole sia ricondotto il riesame, nonché l’indicazione delle ragioni precise e concrete delle censure che sono portate alle statuizioni concernenti i capi e i punti oggetto di gravame.”
    In sostanza, è bastata una nota in calce ad un parere del CSM, perchè il ministro assentisse ad una corrispondente “rimodulazione” dell’art. 342, quasi trascrivendo il testo della nota (che però, bisogna ammettere, è più chiaro della norma rimodulata) !!!

  3. Ugo

    Vorrei sollevare una questione che -benchè importante- mi sembra dappertutto un obliterata. Appello di una sentenza del Giudice di Pace da proporre ad una sezione distaccata. Dove si propone? Sembrerebbe che sino al 13.settembre 2013 le sezioni distaccate destinate alla soppressione siano attive. Quindi se nell’atto di appello cito prima del 13/9/2013 dovrei citare presso la sezione distaccata. Trovo però in rete una circolare (sembra che ne esistano altre) del presidente del Tribunale di Tempio Pausania che stabilisce la necessità per le udienze non ancora fissate di ritenerle già di competenza della sede centrale. Allora, penso, cito a dopo il 13 settembre 2013.. Orbene se vi fosse una proroga della operatività delle sezioni distaccate? se la legge fosse dichiarata nel frattempo incostituzionale? E non sarebbero guai di poco conto visto che la incompetenza (anche meramente connessa alla ripartizione degli affari trra sede centrale e sede distaccata) in appello comporta l’inammissibilità della impugnazione! Chiedo aiuto visto che i termini mi stanno scadendo.
    Grazie

  4. Alfonso

    Purtroppo il nuovo appello segna un altro passo nel verso la negazione della giustizia. il legislatore si ostina irrazionalmente a volere recuperare l’efficienza e ridurre i tempi del processo civile con assurde modifiche al rito (in quanto unico sistema privo di costi sul bilancio dello stato). E così ci ritroviamo ad avere la giustizia civile di primo grado in mano a giudici onorari i quali non sempre (o quasi mai!) rendono Giustizia ai cittadini ed ora un giudizio di appello rimesso alla assoluta discrezionalità del giudice del filtro che ha l’ingrato compito di smaltire l’arretrato ed evitare l’accumulo di nuove pendenze. Con buona pace dei cittadini che cercano giustizia.
    Già, Giustizia.
    Perdonate lo sfogo.
    @carlo: il declino, mi creda, è iniziato con l’istituzione del giudice unico di primo grado.



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