Diffida ad adempiere: questioni interpretative della domanda giudiziale (Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza n. 27520 del 19/11/2008 – Avv. Raffaele Plenteda)

Mirco Minardi

Avv. Raffaele Plenteda

Avv. Raffaele Plenteda –  www.plentedamaggiulli.it

L’istituto della risoluzione per inadempimento del contratto pone all’interprete del diritto numerose questioni applicative, non solo dal punto di vista strettamente sostanziale, ma anche sotto il profilo processuale.

La facoltà, riconosciuta alla parte non inadempiente, di agire per l’adempimento del contratto ovvero per la sua risoluzione, la possibilità di ottenere l’effetto risolutivo per le vie giudiziali oppure “di diritto”, attraverso il ricorso a meccanismi quali la diffida ad adempiere, nonché, infine, l’esperibilità dell’azione di risarcimento del danno unitamente alla domanda di adempimento o di risoluzione ovvero autonomamente, impongono un’attenta opera di interpretazione della domanda giudiziale, rivolta a qualificare correttamente l’azione esercitata e funzionale all’emanazione di una pronuncia giudiziale che, nel rispetto del principio dispositivo, non risulti viziata da “extra-petizione” o “ultrapetizione”.

Il problema della corretta ricostruzione della domanda giudiziale è ulteriormente complicato nell’ipotesi in cui entrino in gioco ulteriori figure tipiche della materia contrattuale, quali la caparra confirmatoria ovvero allorché parte attrice, facendo ricorso ad una impropria terminologia giuridica, getti nel calderone istituti giuridici distinti dalla risoluzione, come il recesso unilaterale.

La sentenza in commento si segnala proprio per l’attività di esegesi della domanda di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno compiuta dalla Corte di Cassazione con riferimento ad un caso in cui veniva un rilievo un contratto preliminare di compravendita rimasto inadempiuto anche a seguito di diffida ad adempiere.

Nel formulare la domanda giudiziale, l’attore aveva impropriamente indicato il proprio recesso unilaterale come motivo legittimante la risoluzione del contratto. Avuto riguardo agli elementi del petitum e della causa petendi, da interpretarsi in correlazione tra loro, la Corte ha ritenuto che, in presenza di un chiaro riferimento all’inottemperanza ad una diffida ad adempiere, la domanda giudiziale rivolta ad ottenere il definitivo scioglimento del vincolo contrattuale deve essere qualificata in termini di azione dichiarativa dell’avvenuta risoluzione del contratto, a ciò non ostando il ricorso ad una terminologia impropria da parte dell’attore e l’erroneo riferimento a distinti istituti giuridici.

La seconda questione di interpretazione della domanda affrontata dalla Corte di Cassazione ha riguardato il rapporto tra la domanda di risarcimento danni conseguente allo scioglimento del vincolo contrattuale e la richiesta di trattenere la caparra confirmatoria.
I Giudici di Piazza Cavour risolvono la contraddizione (apparente o più probabilmente reale) in modo forse sin troppo favorevole alla parte attrice: vengono “salvate” entrambe le istanze affermando che la richiesta di trattenere la caparra confirmatoria debba essere intesa in funzione di garanzia per l’adempimento delle statuizioni risarcitorie.

Una simile soluzione interpretativa, per la verità, appare un po’ forzata. Essa ha il merito di garantire una risposta completa alle richieste di tutela avanzate dall’attore, ma ciò, forse, a scapito del principio della domanda, che pone a carico della parte l’onere di definire in maniera corretta non solo il petitum, ma anche la causa petendi.

Massima redazionale

Qualora venga richiesta in giudizio la risoluzione di diritto di un contratto per inottemperanza della controparte ad una diffida ad adempiere, non osta all’accoglimento della domanda l’improprio riferimento al recesso, quale motivo legittimante della risoluzione, che sia contenuto nell’atto di citazione.
La domanda, che deve essere interpretata tenendo conto degli elementi, in correlazione tra loro, del petitum e della causa petendi, deve essere qualificata in termini dell’azione dichiarativa della risoluzione di diritto e non in termini di recesso.
Qualora, inoltre, a siffatta domanda di risoluzione consegua la domanda di risarcimento danni, la richiesta di trattenere la caparra confirmatoria deve essere intesa in funzione di garanzia per l’adempimento delle statuizioni risarcitorie senza che possa configurarsi vizio di extra o ultra petizione; ricostruita in tali termini, pertanto, tale richiesta è compatibile con la domanda di risarcimento del danno

Il testo integrale della sentenza è leggibile sul sito web www.plentedamaggiulli.it


Share
Mirco Minardi

Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




Lascia un commento

  • (will not be published)

XHTML: Puoi usare questi tags: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

*