I requisiti di forma e contenuto del ricorso per cassazione e del controricorso (I parte)

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Estratto dalla rassegna 2021 dell’Ufficio del Massimario – Cons. dott. Salvatore Saija

Il tema dei requisiti di contenuto-forma del ricorso e del controricorso, previsti in via generale dagli artt. 365, 366 e 370 del codice di rito, impegna abitualmente la S.C. in numerose pronunce, trattandosi in definitiva di vagliare la sussistenza o meno delle più tipiche cause di inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, oppure del primo atto responsivo dell’intimato.

Ed in proposito, pare opportuno qui ribadire che il rispetto dei requisiti di contenuto-forma previsti dall’art. 366 c.p.c. non è fine a se stesso, ma è strumentale al dispiegamento della funzione che è propria di detti requisiti (così, Sez. T, n. 01150/2019, Saija, Rv. 652710-02), sicché l’atto è da considerare inammissibile quando non soltanto non rispetti i requisiti in discorso, ma quando dal loro mancato rispetto discende l’irrealizzabilità del loro fine.

Ciò premesso, sul piano generale, si segnala anzitutto Sez. 1, n. 21831/2021, Scotti, Rv. 661927-01, che ha affermato che il protocollo d’intesa fra la Corte di cassazione e il Consiglio nazionale forense non può radicare, di per sè, sanzioni processuali di nullità, improcedibilità o inammissibilità che non trovino anche idonea giustificazione nelle regole del codice di rito. Ne consegue che non può essere considerato improcedibile il ricorso ove il ricorrente non abbia provveduto alla formazione di apposito fascicoletto contenente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, atteso che l’onere del ricorrente di cui all’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., come modificato dall’art. 7 del d. lgs. n. 40 del 2006 è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, anche mediante la produzione del fascicolo di parte del giudizio di merito, mentre per gli atti e i documenti del fascicolo d’ufficio, è sufficiente il deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, ferma in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6 c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi.

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Significativa è anche Sez. U, n. 32415/2021, Grasso Giuseppe, Rv. 662880- 01, secondo cui il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, comma 1, c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa.

Il rispetto delle disposizioni sul contenuto-forma del ricorso riveste particolare rilevanza anche sotto il profilo della responsabilità aggravata, tanto vero che Sez. 3, n. 22208/2021, Di Florio, Rv. 662202-01, ha ribadito che la proposizione di un ricorso per cassazione fondato su motivi palesemente inammissibili, rende l’impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art. 6 CEDU) e dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie; essa, pertanto, costituisce condotta oggettivamente valutabile come “abuso del processo”, poiché determina un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali e si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., la quale configura una sanzione di carattere pubblicistico che non richiede l’accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’agente ma unicamente quello della sua condotta processualmente abusiva, consistente nell’avere agito o resistito pretestuosamente (sost. conf., Sez. 2, n. 38528/2021, Falaschi, Rv. 663164-01).

Venendo in particolare ai requisiti specificamente previsti dall’art. 366 c.p.c., nel corso del 2021 sono intervenute importanti pronunce specialmente inerenti al principio di autosufficienza del ricorso, essendosi registrate dapprima tre sentenze della Corte EDU, e successivamente ulteriori prese di posizione della S.C., anche a Sezioni Unite.

Prima di approfondire le questioni, è qui opportuno evidenziare che il requisito in discorso, di matrice giurisprudenziale, viene oggi per lo più ricondotto alla disposizione normativa di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., ma spesse volte esso viene trasposto sul piano della esposizione sommaria dei fatti, processuali e sostanziali, di cui all’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., la cui funzione è però quella di rendere immediatamente intellegibili le censure mosse alla decisione impugnata.

La funzione del requisito dell’autosufficienza attiene invece, a nostro avviso, al piano più propriamente probatorio, mirando essenzialmente alla dimostrazione, da parte del ricorrente, della tempestività della produzione del documento invocato a sostegno dell’impugnazione nel giudizio di merito (salvo che non si tratti di documento producibile, per la prima volta, nel giudizio di legittimità, ex art. 372 c.p.c.), fermo lo scopo illustrativo-descrittivo del contenuto del documento stesso (in ciò, i requisiti di cui ai nn. 3 e 6 dell’art. 366 c.p.c. finiscono spesso con il sovrapporsi).

Non è un caso che, di frequente, il principio di autosufficienza venga ricondotto, nelle massime ufficiali, all’una o all’altra fonte normativa.

In quest’ottica, si segnalano anche alcune pronunce rese fino all’autunno del 2021. Così, in tema di pretesa responsabilità del Ministero dell’Economia quale azionista di maggioranza di Alitalia, Sez. 3, n. 15276/2021, Olivieri, Rv. 661628- 02, ha affermato che il ricorso per cassazione con il quale si censura la ritenuta non configurabilità della responsabilità dell’amministrazione dello Stato ex art. 2497, comma 1, c.c. da parte del giudice di merito, deve contenere una esaustiva e puntuale descrizione delle condotte materiali tenute dall’ente pubblico, integranti “attività di direzione e coordinamento” ai sensi della predetta norma, non essendo consentito al giudice di legittimità sopperire a tale lacuna mediante l’esame della sentenza impugnata o degli altri atti regolamentari, con la conseguenza che, in mancanza di tale indicazione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di compiuta esposizione del fatto ex art. 366, c. 1, n. 3 c.p.c.

Ancora Sez. 3, n. 19989/2021, Scrima, Rv. 661839-01, ha affermato che ove si denunci il vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione di consulenza e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione.

Come si vede, dunque, il principio in questione viene in tal caso più ricondotto al disposto dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., più che al n. 6 della stessa disposizione.

Nello stesso senso, Sez. 1, n. 24048/2021, Falabella, Rv. 662388-01, ha affermato che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d’inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso.

Fine prima parte


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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