Sezioni Unite e danno non patrimoniale: quel principio di offensività che non convince.

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Continua il nostro esame della sentenza delle Sezioni Unite e più la leggiamo più non ci piace. Analizziamo il passo sulla offensività, quale condicio per la risarcibilità del danno non patrimoniale. Scrive la Corte:

“3.11. La gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili.
Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.
Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Pregiudizi connotati da futilità ogni persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere della tolleranza che la convivenza impone (art. 2 Cost.)”.

L’offesa, secondo le Sezioni Unite deve essere “grave”, “cagionando un pregiudizio serio”, in quanto il sistema impone una soglia minima di tolleranza e il pregiudizio non deve essere “futile”.

Appare evidente come tra il futile e il grave ci sia di mezzo … non il mare ma quasi. Prendiamo la colpa. La colpa può essere lievissima, lieve, grave. Affermare che l’offesa deve essere grave in quanto non possono essere risarciti pregiudizi futili, significa scordarsi tutto il grigio che sta tra il nero ed il bianco. Grave significa grave. Futile è futile. Dire che il pregiudizio non deve essere futile, non significa che deve essere grave, in mezzo c’è il pregiudizio lieve.

In dottrina era già stata affermata la necessità di introdurre una soglia minima di offensività. Scrive la prof. Navarretta nel suo saggio “Ripensare il sistema dei danni non patrimoniali” in Responsabilità civile e previdenza, 2004, pp. 1-26.:

“…ciò che conta rilevare è che il coinvolgimento in concreto di un diritto inviolabile richiede che l’offesa all’interesse non sia di minima rilevanza. Non si tratta cioè di accertare in positivo la gravità della lesione, ma di escludere in negativo pretese capricciose legate ad offese minime che urtano solo l’ipersensibilità individuale, non colpiscono il nucleo inviolabile dell’interesse e sono inidonee a superare il limite della tollerabilità civile.

L’intensità in concreto dell’offesa e la sua oggettiva tollerabilità, del resto, sono criteri che non servono soltanto a giudicare isolatamente se l’interesse leso sia offeso nel suo contenuto inviolabile, ma consentono altresì di bilanciare gli eventuali interessi in conflitto e permettono di costruire una regola di responsabilità per i danni non patrimoniali rispettosa della libertà personale.

Il principio di tolleranza, infatti, fondamento stesso delle libertà e del pluralismo, esprime, fra i suoi differenti significati giuridici (50), anche l’idea che esiste “una specifica quota di […] veleno verso se stessi che si può [e si deve] incamerare” senza poter lamentare un danno meritevole di protezione. Garantendo un livello minimo di tolleranza delle esternalità negative, tale principio assicura, in una coesistenza pluralistica degli interessi, che la piena tutela risarcitoria della dimensione personale, esistenziale e finanche emozionale dell’uomo non determini una costante minaccia per la libertà di agire e per le singole libertà personali.

Solo, dunque, affiancando alla solidarietà verso le vittime il principio di tolleranza è dato fornire una protezione estesa alla dimensione più soggettiva e personale dell’uomo, senza alterare la coesistenza pacifica di una pluralità di soggetti e di una pluralità di interessi.

Anche la Prof. Navarretta, pertanto, concorda almeno sul fatto che “non futile” non significa “grave” quando scrive:

“Non si tratta cioè di accertare in positivo la gravità della lesione, ma di escludere in negativo pretese capricciose legate ad offese minime che urtano solo l’ipersensibilità individuale, non colpiscono il nucleo inviolabile dell’interesse e sono inidonee a superare il limite della tollerabilità civile”.

Puntualizzato questo, ritorniamo sul concetto di offensività con tre esempi.

1° caso.
Tizio si reca al bar; ordina e consuma una pasta, un cappuccino, una spremuta d’arancia e se ne va senza pagare. Valore 5,80 euro. Il titolare del bar Caio ha azione contrattuale nei suoi confronti?

2° caso.
Tizio parcheggia la sua fiammante Fiat Punto del 1996 regolarmente entro le righe blu. Un autobus di linea si allarga un po’ troppo e gli frantuma lo specchietto laterale. Valore 47,00 euro. Tizio ha diritto al risarcimento del danno?

3° caso.
Tizio si reca in un ufficio sito in condominio, ma a causa della rottura dell’ascensore rimane bloccato per cinque ore. Si scoprirà che la manutenzione non veniva fatta da cinque anni. Tizio ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, per la limitazione della libertà personale a causa della condotta colposa del condominio?

Mentre nel primo e secondo caso è pacifico che il giudice non debba valutare la gravità del pregiudizio, e pertanto liquidare il danno cagionato, anche se di pochi spiccioli, nel terzo caso, secondo le Sezioni Unite, si deve valutare la gravità dell’offesa.

Viene da chiedersi: perché?

Perché i valori della persona che (a questo punto in teoria) si collocano all’apice dei valori costituzionali possono essere impunemente lesi qualora la lesione sia lieve, mentre il diritto all’integrità del patrimonio deve essere tutelato anche per 1 euro?

Viene da pensare che quella sensibilità verso la persona sia più uno slogan e che si faccia ancora fatica ad abbandonare una prospettiva rigidamente patrimonialistica del diritto. Perché di fatto, per quanto la si voglia tirare, la coperta rimane comunque corta, perché il codice civile non è stato pensato per tutelare la persona nei suoi aspetti non patrimoniali. Il codice civile è improntato ad una visione rigidamente patrimonialistica. Il danno non patrimoniale era legato al reato. Punto e basta. Ecco allora i salti mortali per rinvenire “combinati disposti” al fine di risarcire ciò che il codice civile in effetti non intende risarcire.

Diciamo come stanno le cose: attualmente ci troviamo pressappoco come negli anni ’70-80 in cui si cercava di far passare la nozione di danno alla salute in sé per sé considerata. Nozione che oggi diamo per scontata, ma che allora non lo era per niente. La differenza è che oggi siamo di fronte a danni di tipo esistenziale. Forse tra dieci anni rideremo delle discussioni di oggi, tanto ci apparirà scontato il loro risarcimento. Ma oggi è ancora così.

Ce lo sapremo ridire.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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Un commento:

  1. Gelsale

    grazie per le notizie sempre aggiornate e ben spiegate, e utili ,sulla questione spinosa in materia di risarcimento danni(morali, esistenziali, ecc.)



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