l c.d. principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione

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4.2. Il c.d. principio di autosufficienza

E veniamo al tema scottante, quello che mi ha fatto passare non poche notti insonni. Che cosa si intende esattamente per autosufficienza del ricorso per cassazione? A mio parere non c’è migliore risposta di questa per comprendere il significato e la portata del principio in esame: “il ricorso deve consentire al consigliere relatore di stabilire la fondatezza/infondatezza del ricorso mentre viaggia in treno per recarsi a Roma”. Non ricordo dove l’ho letta, ma rende bene l’idea. D’altra parte è questo il senso di affermazioni come queste: «l’atto di impugnazione deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito, ed altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, e che il ricorrente ha perciò l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione[1]».

Ciò è possibile:

  • se il ricorso contiene un’esauriente esposizione dei fatti di causa;
  • se la decisione impugnata viene riportata nel ricorso nei suoi aspetti essenziali;
  • se i motivi, allorquando fanno riferimento ad atti o documenti, ne riportano testualmente il contenuto rilevante per la loro intellegibilità.

Se tutto questo è inserito nel ricorso, il più delle volte (non sempre) il collegio è in grado di decidere se esso sia fondato oppure no. Qualora appaia fondato, la consultazione del fascicolo d’ufficio o di parte servirà solo per avere conferma del fatto che quell’atto o quel documento aveva proprio il contenuto trascritto nel ricorso e che esso era stato depositato ritualmente, nel rispetto delle forme e dei termini previsti dalla legge o fissati dal giudice di merito.

Il principio di autosufficienza comporta la crescita elefantiaca dei ricorsi? Teoricamente sì, in pratica non più di tanto. In base alla mia esperienza non è necessario, come è stato detto, trasformarsi in monaci amanuensi[2], bensì è sufficiente trascrivere quella parte di atto o documento funzionale alla verifica della fondatezza della censura.

Facciamo degli esempi.

  • se devo dimostrare di avere sollevato in comparsa di costituzione e risposta l’eccezione di prescrizione non è necessario trascrivere tutta la comparsa, ma solo quella parte in cui è stata affrontata l’eccezione de qua;
  • se devo dimostrare di avere censurato in appello una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado non devo trascrivere tutti i motivi di appello, ma solo quello relativo a quella statuizione;
  • se devo censurare il modo in cui il giudice ha interpretato una clausola risolutiva espressa non devo trascrivere tutto il contratto, ma solo la clausola interessata;
  • se devo dimostrare di avere eccepito l’incapacità di un testimone subito dopo il suo esame non c’è necessità di trascrivere tutta la deposizione, è sufficiente riportare la verbalizzazione dell’eccezione;
  • se devo dimostrare che una lettera aveva il contenuto di un atto di messa in mora è sufficiente riportare il brano in cui viene diffidato l’adempimento.

E così via.

Questo onere di trascrizione parziale (e non integrale) può essere sostituito dal riassunto o addirittura dalla semplice indicazione dell’atto o del documento? Il riassunto, in base a qualche decisione, è consentito, ma non è assolutamente il caso di rischiare. Consiglio vivamente di trascrivere verbatim la parte dell’atto o del documento. Alla luce della giurisprudenza della Corte formatasi anche dopo il mese di dicembre 2015, è invece altamente sconsigliata la semplice indicazione dell’atto o del documento, checché ne dica il Protocollo siglato tra CNF e Primo Presidente.

Vediamo allora meglio le fasi dell’autosufficienza.

La prima fase è quella della trascrizione parziale o, se serve, integrale dell’atto, del verbale o del documento interessato. Consigliata, come già detto, è la fotoriproduzione. Ai non “smanettoni” consiglio questa suite di applicazioni on line: www.smallpdf.com che dà la possibilità di fare molte conversioni, tra cui da pdf in word e da pdf in jpg che sono quelle che utilizzo più frequentemente. La prima conversione serve quando si ha a che fare con un pdf che non permette il copia/incolla, ad es. perché scansionato. La seconda, invece, rende semplice la fotoriproduzione come nell’esempio che segue:

La seconda fase è quella della «localizzazione interna». Per localizzazione interna si intende l’indicazione della pagina, del paragrafo, del rigo da cui è stata estrapolata la citazione. Quindi scriverò qualcosa del tipo: «A pag. 8, rigo decimo, dell’atto di appello, l’appellante censurava la sentenza di primo grado nella parte in cui rigettava l’eccezione di prescrizione, sulla base del seguente testuale motivo di impugnazione ………...».

Tuttavia, noi sappiamo che il processo è fondato su preclusioni. Supponiamo che la censura lamenti l’omesso esame di un fatto decisivo risultante da un documento. Come fa la Corte di Cassazione a verificare che quel documento fu ritualmente depositato in giudizio? Ecco allora che l’avvocato dovrà anche precisare come e quando fu depositato. E quindi scriverà qualcosa del tipo: «Il documento era stato depositato unitamente alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c. in data ….». L’avvocato iper-cauteloso (sempre per usare l’espressione del Prof. Consolo) potrà anche specificare che i termini di cui al sesto comma erano stati concessi ad una certa udienza. Questa terza fase la possiamo chiamare «modale».

La quarta fase la possiamo definire della «localizzazione esterna» il cui scopo è quello di consentire ai consiglieri di verificare che effettivamente era stato proposto proprio quel motivo di appello o che nelle conclusioni era stata effettivamente formulata una certa domanda. Questa indagine avviene in teoria in due step: nel primo, il consigliere verifica che l’atto o il documento sia stato depositato nel fascicoletto. Nel secondo, verifica che l’atto o il documento sia proprio quello che si trova nel fascicolo d’ufficio o di parte. Quindi scriveremo qualcosa del tipo: «Il documento si trova depositato nel fascicoletto come allegato n. 1. L’originale è inserito nel fascicolo di parte, che verrà depositato ex art. 369 c.p.c., ed era stato allegato come documento n. 12».

Riassumendo l’autosufficienza consiste:

  • nella trascrizione parziale o integrale (a seconda dei casi);
  • nella localizzazione interna (pagina, rigo, articolo, paragrafo, ecc.);
  • nella specificazione delle circostanze di tempo e luogo in cui avvenne la produzione dell’atto o del documento o la verbalizzazione della richiesta, eccezione, domanda;
  • nella localizzazione esterna (fascicoletto e fascicolo d’ufficio o di parte).

Qualcuno di voi potrebbe aver avuto esperienza di ricorsi e rimanere sorpreso da quanto appena scritto, per la semplice ragione che pur non avendo rispettato alla lettera quanto sopra riportato il suo ricorso è stato esaminato nel merito e magari accolto. Non lo nego. Ma bisogna fare i conti con il numero dei magistrati che sono oltre cento. La circostanza che uno, due tre dei nostri ricorsi siano stati giudicati ammissibili nonostante il mancato rispetto di quelle prescrizioni, non significa che quindi esse valgano per tutti. Non dimentichiamoci mai dell’insegnamento impartito dal filosofo Bertrand Russel con la storia del “tacchino induttivista”[3].

[1] Cass. 7335/2020 solo per citare una delle più recenti.

[2] L’espressione è del Prof. E. Ricci, Sull’«autosufficienza» del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l’avvocato cassazionista come amanuense, in Riv. dir. proc., 2010, 736 e ss., in nota a Cass. 18 settembre 2009, n. 20236.

[3] «Fin dal primo giorno questo tacchino osservò che, nell’allevamento in cui era stato portato, gli veniva dato il cibo alle 9 del mattino. E da buon induttivista non fu precipitoso nel trarre conclusioni dalle sue osservazioni e ne eseguì altre in una vasta gamma di circostanze: di mercoledì e di giovedì, nei giorni caldi e nei giorni freddi, sia che piovesse sia che splendesse il sole. Così arricchiva ogni giorno il suo elenco di una proposizione osservativa in condizioni più disparate. Finché la sua coscienza induttivista non fu soddisfatta ed elaborò un’inferenza induttiva come questa: “Mi danno il cibo alle 9 del mattino”. Questa concezione si rivelò incontestabilmente falsa alla vigilia di Natale, quando, invece di venir nutrito, fu sgozzato».

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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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