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Ultimamente ho avuto modo di supervisionare diversi ricorsi per cassazione, su richiesta di Colleghi alle prime armi.
In tutti i casi ho rilevato lo stesso tipo di errore cioè il travisamento del vizio di falsa applicazione di legge (360 n. 3 c.p.c.).
Questa confusione nasce dal fatto che, in effetti, c’è falsa applicazione di legge anche quando il giudice sbaglia nel ricostruire il fatto. Facciamo un esempio.
Il giudice, disattendendo la CTU cinematica, attribuisce l’intera responsabilità dell’accaduto all’attore e dunque rigetta la domanda che questi aveva proposto ex art. 2054 secondo comma (cioè di pari concorso).
E’ evidente che qualora il giudice avesse tenuto conto della CTU, avrebbe dovuto applicare il principio del pari concorso ex art. 2054 secondo comma. Tuttavia, questa, nell’ottica del ricorso, non è una falsa applicazione, in quanto ciò che si contesta in via diretta è la ricostruzione del fatto. La falsa applicazione deriva cioè indirettamente dal giudizio di fatto compiuto dal giudice di merito.
Quindi verrebbe dichiarato inammissibile un ricorso per cassazione che censurasse con il n. 3 detto vizio.
Oggi, in un caso del genere, non sarebbe facile censurare una motivazione di quel tipo, in quanto l’art. 360 n. 5, per come interpretato dalla giurisprudenza, si riferisce ai fatti principali o secondari di cui è stata omessa la valutazione, nonostante siano stati oggetto di discussione.
Una strada percorribile potrebbe essere quella del 116 c.p.c., in relazione al 360 n. 3, prospettando che l’imprudente valutazione del materiale probatorio si è tradotta di una errata ricostruzione del fatto e quindi in una falsa applicazione di legge. Occorre tuttavia dimostrare che l’errata valutazione è al tempo stesso grave e decisiva.
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La supervisione del ricorso per cassazione.
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