Avv. Mirco Minardi
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Il cliente conviene in giudizio i propri difensori lamentando che questi avevano impugnato tardivamente la sentenza del Tribunale che aveva pronunciato la sua soccombenza in un giudizio di opposizione a dichiarazione di fallimento, così impedendo loro di svolgere le difese contro la dichiarazione di fallimento.
La domanda di risarcimento viene rigettata in primo e secondo grado, ma la Corte Cassa la sentenza affermando i seguenti principi:
a) Nelle prestazioni rese nell’esercizio di attività professionali al professionista è richiesta la diligenza corrispondente alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 c.c., comma 2) vale a dire è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipi di prestazione dovuta. La valutazione dell’esattezza delle prestazioni da parte del professionista, naturalmente, varia secondo il tipo di professione.
b) Per gli avvocati, la responsabilità professionale deriva dall’obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole (Cass., 30.7.2004, n. 14.597). Il problema si è già posto con riferimento alle ipotesi di inadeguata o insufficiente attività come difensore, per omissione di impugnazioni, ecc., o nella violazione di regole ricavabili dal codice deontologico, come quelle del mancato assolvimento dell’obbligo di dare al cliente le informazioni chieste e della violazione del segreto professionale (Cass. 23.3.1994. n. 2701).
Nella specie, secondo la Corte, l’avvocato aveva l’obbligo di attivarsi per la tempestiva proposizione dell’impugnazione o per la tempestiva indicazione ai clienti dell’impossibilità di provvedervi. Infatti, la circostanza che la procura per il giudizio di 1° grado (e, implicitamente, per quelli successivi) fosse stata rilasciata anni prima non ha rilevanza alcuna per il principio della permanenza di poteri con essa conferiti fino a revoca o rinuncia.
Cassazione civile, sez. III 20/11/2009 n. 24544
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
D.Q.G. e C.V. convenivano in giudizio gli avv. D.S.C. e S.C., innanzi al Tribunale di Catania, esponendo di aver subito gravi danni a causa della negligenza professionale di questi ultimi.
Gli attori lamentavano in particolare che i convenuti avevano impugnato tardivamente la sentenza del Tribunale che aveva pronunciato la loro soccombenza in un giudizio di opposizione a dichiarazione di fallimento, così impedendo loro di svolgere le difese contro la dichiarazione di fallimento.
I convenuti si costituivano ed eccepivano l’incompetenza per territorio del Tribunale di Catania, nonchè il difetto di legittimazione processuale degli attori; nel merito, contestavano la domanda e ne chiedevano il rigetto.
Con sentenza del n. 3724/2000 il Tribunale di Catania, ritenuta la propria competenza, dichiarava che il mandato era stato conferito dopo la scadenza del termine per proporre appello e rigettava la domanda compensando interamente tra le parti le spese processuali.
Con atto notificato il 12.3.2001, D.Q.G. e C. V. convenivano D.S.C. e S.C. innanzi alla Corte d’Appello di Catania e proponevano appello avverso detta sentenza chiedendone la parziale riforma.
Costituitisi in giudizio, entrambi gli appellati chiedevano il rigetto dell’appello, con conferma della sentenza di primo grado e con vittoria delle spese processuali di entrambi i gradi.
La Corte d’Appello dichiarava: 1) che la decisione non era stata appellata con specifico motivo di impugnazione;
2) che non era rilevante accertare se agli appellati si dovessero assegnare i termini di cui agli artt. 183 e 184;
3) che alcuna richiesta in tal sensi era stata fatta;
4) che non era stata neppure prospettata una nullità ex 354 c.p.c..
La Corte rigettava quindi il gravame proposto da D.Q. G. e C.V. nei confronti di D.S. e S. avverso la sentenza del Tribunale di Catania e condannava gli appellanti alle spese.
Proponevano ricorso per cassazione D.Q.G. e C. V. con sei motivi.
Resistevano S.C. e D.S.G..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “violazione o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 2236 e 2697 c.c., artt. 91, 92 e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, prospettata dalle parti o rilevabile d’ufficio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.
Sostengono i ricorrenti che dalla mancanza di procura per l’appello non si poteva trarre l’esclusione (non altrimenti motivata) della responsabilità dei convenuti e che nella citazione di 1^ grado esisteva regolare procura per tutte le fasi del giudizio.
Il motivo è fondato.
Nelle prestazioni rese nell’esercizio di attività professionali al professionista è richiesta la diligenza corrispondente alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 c.c., comma 2) vale a dire è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipi di prestazione dovuta. La valutazione dell’esattezza delle prestazioni da parte del professionista, naturalmente, varia secondo il tipo di professione.
Per gli avvocati, la responsabilità professionale deriva dall’obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole (Cass., 30.7.2004, n. 14.597). Il problema si è già posto con riferimento alle ipotesi di inadeguata o insufficiente attività come difensore, per omissione di impugnazioni, ecc., o nella violazione di regole ricavabili dal codice deontologico, come quelle del mancato assolvimento dell’obbligo di dare al cliente le informazioni chieste e della violazione del segreto professionale (Cass. 23.3.1994. n. 2701). Nella specie, l’avvocato D.S. aveva l’obbligo di attivarsi per la tempestiva proposizione dell’impugnazione o per la tempestiva indicazione ai clienti dell’impossibilità di provvedervi.
Infatti, la circostanza che la procura per il giudizio di 1^ grado (e, implicitamente, per quelli successivi) fosse stata rilasciata anni prima non ha rilevanza alcuna per il principio della permanenza di poteri con essa conferiti fino a revoca o rinuncia. La C.A. non ha rilevato questi fattori della responsabilità e la cui decisione, come rilevato nel ricorso per cassazione, è ingiustificatamente carente sul punto e deve essere cassata con rinvio.
I motivi 2, 3, 4, 5 e 6 si riferiscono ad un giudizio di danno ed il loro esame è devoluto al giudice del rinvio.
In conclusione, deve essere accolto il primo motivo ed assorbito l’esame degli altri con rinvio anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Catania in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito l’esame degli altri. Cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Catania in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2009
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