Il divieto dei “nova” in appello: continua implacabile la marcia verso l’ingiustizia del processo.

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Il processo civile è sempre più ingiusto. Non fatevi ingannare da qualche piccola apertura, come la modifica dell”art. 153 in tema di rimessione in termini, ovvero dell’art. 101 in tema di contraddittorio sulle eccezioni rilevabili d’ufficio. Quelle sono piccole cose a confronto del rigido sistema di preclusioni complessivo. Lo dimostra il divieto dei nova documentali in appello, ai sensi del novellato art. 345, terzo comma, peraltro espressione e conferma di un ingiusto diritto vivente.

Il legislatore ordinario, spinto dalla smania della concentrazione e della velocità a tutti i costi, da molti anni vede come modello il processo del lavoro e solo qualche intervento in extremis, di volta in volta, impedisce di fare il copia incolla. Qualcuno dovrà pur far notare, però, che lì vi è una realtà completamente diversa:

(a) per la tipologia delle controversie, che vedono contrapposte una parte debole, il lavoratore, e una parte forte, il datore di lavoro;
(b) per i poteri officiosi del giudice, funzionali alla ricerca della verità materiale.

Nel processo ordinario, invece, le controversie sono le più disparate e il giudice non è tenuto a ricercare la verità materiale. Per il legislatore, giusto processo significa che la sentenza viene emessa in tempi rapidi, nel principio del contraddittorio e della difesa, da un giudice terzo e imparziale. Che poi la decisione sia anche giusta, nel senso che riconosce diritti esistenti e nega diritti inesistenti, è un fatto del tutto irrilevante; ci si accontenta di questo ragionamento:

(a) se la decisione è emessa da un giudice terzo ed imparziale;

(a1) se il giudice ha correttamente applicato la legge;

(a2) se le parti sono state messe in condizione di contraddire e di difendersi;

(a3) se la decisione interviene in tempi rapidi,

(b) allora il processo è giusto.

Così, il debitore che produce la quietanza di pagamento il giorno successivo dalla scadenza del II termine del 183 dovrà pagare due volte il debito e la sentenza sarà “giusta” in quanto emessa a seguito di un “giusto processo”.

La produzione dei documenti in appello, che si sarebbero potuti produrre in primo grado, poteva rappresentare un mitigatore della rigidità del sistema di preclusioni che non tollera errori di alcun genere. Si poteva sanzionare il comportamento della parte in altri modi, ma non certo impedendo di far valere la verità.

Certo, un limite ci deve pur essere, altrimenti si impedirebbe qualunque preclusione. Ma questo limite ben poteva essere rappresentato dal giudizio di II grado, oltre il quale la parte non può essere giustificata per non avere prodotto un documento che poteva produrre.

Ma in questi tempi di decadenza si preferisce la velocità alla giustizia. E velocità allora sia.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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