Nuovi motivi di opposizione all’ordinanza ingiunzione: un breccia nella giurisprudenza della S.C.?

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E’ noto che nel processo civile non possono introdursi nuove domande se non in limitatissime ipotesi. E’ altrettanto noto che nei processi di opposizione alle ordinanze ingiunzione non possono essere sollevati nuovi motivi dopo l’atto introduttivo.

La violazione di questi principi determina l’inammissibilità delle nuove domande e dei nuovi motivi, rilevabile d’ufficio dal giudice, posto che il divieto de quo non è disponibile alle parti, né al giudice trovando il suo fondamento in esigenze di carattere superiore.

Questo lo stato dell’arte da quando è avvenuta la riforma del 1990/1995.

Con sorpresa, dunque, leggiamo la sentenza della Cassazione n. 16764/2010 la quale afferma, invece,che la parte può introdurre nuovi motivi di impugnazione all’ordinanza ingiunzione dopo l’atto introduttivo purché vi sia accettazione del contraddittorio.

Nel caso di specie, all’udienza del 24 novembre 2003 l’attore aveva eccepito la violazione del regolamento regionale e la convenuta aveva chiesto “termine per controdedurre alla eccezione formulata in data odierna”, come aveva fatto nell’udienza successiva, depositando note con le quali aveva contestato nel merito la fondatezza della nuova ragione di opposizione.

Questo per il Giudice di pace prima e per la Corte di Cassazione, poi, rendeva rituale la proposizione dei nuovi motivi.

La pronuncia, per “farsi forte”, cita due sentenze che, tuttavia, non sono conferenti: la prima, infatti, aveva affermato il principio con un obiter dictum che richiamava giurisprudenza anteriore alle riforme del 1990/1995, la seconda era riferita ad una fattispecie anteriore alla legge 353/1990.

Detto per inciso: il principio va apprezzato, perché quando non determinano il rallentamento del processo e non violano il diritto al contraddittorio le preclusioni dovrebbero subire un allentamento funzionale al diritto di difesa. Non è dunque condivisibile la rigidità che spesso connota la giurisprudenza della Corte e di merito. Si pensi al caso in cui la parte introduca un documento dopo lo scadere delle preclusioni istruttorie; documento che, tuttavia, venga utilizzato dall’altra parte come argomento contro la stessa parte che lo ha prodotto. Per quale ragione, in questi casi, il documento tardivamente prodotto dovrebbe essere dichiarato non utilizzabile? C’è forse stato un rallentamento del processo? No. C’è forse stata la violazione del contraddittorio? No.

Questa sentenza apre uno spiraglio. Vedremo cosa accadrà in futuro.

Cassazione civile, sez. II 16/07/2010 n. 16764

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza indicata in epigrafe è stata annullata l’ordinanza ingiunzione n. 56500, emessa il 23 settembre 2002 dal Presidente della Regione Molise nei confronti di D.M., per avere nel (OMISSIS) violato norme in materia di prevenzione degli incendi. A tale decisione il Giudice di pace è pervenuto rilevando che il provvedimento era stato adottato dopo la scadenza del termine di un anno, stabilito dal regolamento regionale n. 2/2001 per la conclusione dei procedimenti sanzionatori di competenza dell’ente.
La Regione Molise ha proposto ricorso per cassazione, in base a due motivi. D.M. si è costituito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la Regione Molise lamenta che l’opposizione proposta da D.M. è stata accolta per una ragione che egli non aveva fatto valere con l’atto introduttivo del giudizio, ma soltanto nella prima udienza di comparizione.
La censura va disattesa.
Risulta dagli atti di causa – che questa Corte può direttamente prendere in esame, data la natura del vizio denunciato – che effettivamente il mancato rispetto del termine di un anno, stabilito dal regolamento regionale n. 2/2001 per la conclusione dei procedimenti sanzionatori di competenza dell’ente, è stato indicato da D.M., come ragione di illegittimità dell’ordinanza ingiunzione, per la prima volta nell’udienza di cui all’art. 184 c.p.c.: nell’atto di opposizione la tardività del provvedimento era stata prospettata sotto il ben diverso profilo dell’inosservanza del termine di sessanta giorni, fissato dall’art. 644 c.p.c., per la notificazione dei decreti ingiuntivi. Tuttavia la sentenza impugnata non può essere considerata affetta da extrapetizione, come la ricorrente sostiene. Infatti la giurisprudenza di legittimità – cui il collegio ritiene di conformarsi, stante la sua coerenza con il principio dispositivo che regola anche i giudizi in materia di sanzioni amministrative – è prevalentemente orientata nel senso che i motivi di opposizione dedotti in corso di causa possono essere presi in considerazione, se in proposito vi sia stata accettazione del contraddittorio da parte del convenuto (v., tra le altre, Cass. 9 marzo 2004 n. 4781, 20 aprile 2005 n. 8293): il che nella specie è avvenuto, poichè nell’udienza del 24 novembre 2003 l’attore aveva eccepito la violazione del regolamento regionale e la convenuta aveva chiesto “termine per controdedurre alla eccezione formulata in data odierna”, come aveva fatto nell’udienza successiva, depositando note con le quali aveva contestato nel merito la fondatezza della nuova ragione di opposizione.
Con il secondo motivo di ricorso la Regione Molise deduce che erroneamente il Giudice di pace ha ritenuto che la legittimità dell’ordinanza ingiunzione fosse condizionata al rispetto del termine di un anno, stabilito ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, dal regolamento n. 2/2001.
La censura è fondata.
La disciplina applicabile, a proposito dell’emissione delle ordinanze ingiunzioni, è esclusivamente quella contenuta nella L. 24 novembre 1981, n. 689, la quale non stabilisce alcun termine, sicchè il provvedimento deve essere ritenuto senz’altro legittimo, se notificato al destinatario entro il termine di prescrizione quinquennale previsto dall’art. 28 della stessa legge. Non può quindi venire in considerazione la L. n. 241 del 1990, art. 2, che nel testo vigente all’epoca consentiva alle pubbliche amministrazioni di determinare il termine di conclusione dei procedimenti di loro competenza e lo fissava, in mancanza, in trenta giorni (v. Cass. s.u.
27 aprile 2006 n. 9591). Ed è altresì ininfluente che la Regione Molise, nell’erroneo presupposto di averne facoltà ai sensi di tale disposizione, abbia stabilito un diverso termine, mediante un atto di natura regolamentare, inidoneo in quanto tale a derogare alla disciplina dettata dalla L. n. 689 del 1981 (cfr. Cass. 1 marzo 2007 n. 4873, 20 febbraio 2008 n. 4329).
Rigettato pertanto il primo motivo di ricorso e accolto il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice – che si designa nel Giudice di pace di Campobasso – cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo;
cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa al Giudice di pace di Campobasso, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2010


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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