Giudizio d’appello: qualora il giudice di primo grado abbia rigettato la domanda per distinte ed autonome ragioni, la parte appellante ha l’onere di specificare i motivi in ordine a tutte?

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Si supponga che il giudice rigetti una domanda di condanna per responsabilità professionale posto che l’attore non ha provato il comportamento colposo, il nesso di causalità tra questo e l’evento lesivo e il danno stesso.

I motivi di impugnazione debbono riguardare tutti e tre le rationes decidendi? La risposta è affermativa e in mancanza anche di un motivo l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile. Leggiamo questa sentenza della Corte d’appello di Bari pubblicata ieri per esteso.

È noto che, secondo consolidati orientamenti della S.C., la specificità dei motivi di appello (finalizzata ad evitare un ricorso generalizzato e poco meditato al giudice di seconda istanza) esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico giuridico delle prime, ragion per cui alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice (tra le ultime, v. Cass. 23742/2004, 8926/2004, 1456/2004).

La richiesta specificità dei motivi di appello (art. 342 c.p.c.) impone all’impugnante l’onere di contrapporre le proprie argomentazioni a quelle svolte nella sentenza al fine di incrinare il fondamento logico giuridico di queste (Cass. 967/2004).

Il fondamento di tale onere si basa sul fatto che le statuizioni di una sentenza non sono scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono, sicché è necessario che l’atto di appello contenga tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, non essendo al riguardo ammissibile che l’esposizione delle argomentazioni venga rinviata a successivi momenti o atti del giudizio (Cass. 6396/2004).

Una volta individuate le coordinate giuridiche che debbono presiedere alla soluzione del problema in rassegna, può passarsi all’esame della concreta fattispecie da dirimere.
Se si legge con attenzione la motivazione della sentenza impugnata, ci si accorgerà che la decisione assunta si fonda su una triplice ratio decidendi. Innanzitutto il tribunale ha ritenuto non provata la sussistenza del comportamento colposo dei danneggianti; in secondo luogo il primo giudice ha ritenuto non provato anche il nesso di causalità; infine lo stesso giudice ha ravvisato carenza di prova circa l’esistenza e l’entità del danno risarcibile.

Come appare evidente dall’esame delle argomentazioni usate dal tribunale, la domanda è stata rigettata perché è stata ritenuta la mancanza di prova circa tre autonomi e distinti fatti costitutivi del diritto azionato (il comportamento imputabile, il nesso di causalità, l’esistenza ed entità del danno).

A fronte di tale motivazione l’appellante ha sottoposto a censura soltanto le parti che hanno ravvisato il deficit probatorio con riferimento al comportamento colposo ed all’esistenza ed entità del danno; è stata, invece, completamente ignorata la parte della motivazione in cui l’infondatezza della domanda era agganciata anche alla mancanza di prova circa l’esistenza del nesso di causalità.

Poco importa che il primo giudice non abbia parlato espressamente di carenza di prova sul nesso di causalità, giacché quel che rileva che abbia argomentato in tal senso. Infatti, se si legge la parte della motivazione in questione (si allude all’ultimo capoverso di pag. 4 ed ai primi tre periodi di pag. 5: la numerazione è di questo giudicante, dal momento che le pagine della sentenza impugnata non sono numerate), ci si accorge che il tribunale, nel motivare l’ulteriore profilo di infondatezza della domanda, espressamente afferma che esso ” non è in grado di accertare se l’esito negativo della controversia sia attribuibile in via esclusiva al comportamento dei difensori o se viceversa la causa avrebbe avuto in ogni caso esito negativo per l’attrice “. In altre parole, il primo giudice, verificata l’assenza di prova circa l’esistenza delle lesioni riportate nell’incidente stradale (che costituiva l’unico danno lamentato dalla Di G. nel relativo giudizio), aveva precisato che non era in grado di pronosticare l’esito di quel giudizio (valutazione indispensabile in un’ipotesi di risarcimento per perdita di chance).

Orbene, questa corte rileva che tale argomentazione di per sé sola era idonea a fondare il rigetto della domanda, in quanto evidenziava l’insussistenza di un fatto costitutivo (il nesso di causalità), rispetto al quale l’onere della prova incombeva sull’attrice.

Da quanto finora detto discende che l’indagine circa la verifica della specificità dei motivi di impugnazione va svolta con riferimento ai casi di sentenza fondata su una pluralità di rationes decidendi, autonome ed indipendenti, ciascuna delle quali in grado di fondare, di per sé sola, la decisione assunta. Con riferimento a tale specifica ipotesi, il giudice di legittimità è fermo nell’affermare che l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa In altre parole, l’accoglimento dell’impugnazione non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, onde la sentenza resterebbe pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa (v, tra le tante, Cass. 389/2007, 20118/2006, 2811/2006, 23090/2005, 20450/2005, 18090/2005, 18240/2004).

Ora poco importa l’individuazione della sanzione conseguente al vizio di cui si discute (atto di impugnazione che non investa tutte le autonome rationes decidendi cui è ricorso il giudice per fondare la decisione impugnata), se cioè si tratti di inammissibilità per carenza di interesse (come opina parte della S.C.), ovvero, come sembra preferibile a questa corte, se trattasi di inammissibilità per mancata ottemperanza dell’onere di specificazione dei motivi (onere da intendersi rapportato a ciascuna delle autonome rationes decidendi, in grado da sole di fondare la decisione assunta); quel che rileva è che il vizio sussiste (v. quanto detto in precedenza) e comporta la dichiarazione di inammissibilità dell’appello principale.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.




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